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Cristina Pesce Rosso dipinge la Montagna incantata. Viaggio nel mito e ritorno alla pittura


Pesce Rosso – Cristina Scalia -, insignita del premio finalisti al Nocivelli 2019, analizza la propria opera

www.premionocivelli.it/opera/el-capitan
“Mi chiamo Cristina Scalia, in arte “Pesce Rosso” e ho 28 anni. Ho un legame con la matita fin da piccola. Una volta capito che non si trattava solo di uno strumento banale, ho cominciato a domandarmi come poter impiegare al meglio il suo potenziale. Cosa che mi ha spinta dapprima a frequentare un liceo Artistico e dopo il corso di pittura in Accademia, nella mia città Catania, dove mi sono diplomata. Dipingo, disegno, ritraggo: cerco di non fermarmi mai. Non mi concentro su un tema specifico, così come non mi servo di un’unica tecnica. Sono una persona curiosa, e credo sia questa la caratteristica che mi spinge a sperimentare e ad interrogarmi. Ci sono temi su cui mi soffermo maggiormente, ma non voglio troppo tenere a freno la mia testa, la mia voglia di fare”.
“Le tematiche che affronto nascono da una mia riflessione, in base a quello che vedo e vivo. Sono legata alla mia terra, la Sicilia, in particolar modo al vulcano Etna, che vivo come e quando posso. Vivere in prima persona “il paesaggio” mi ha permesso di scoprire nuovi lati di me e di cambiare visione, spaziandola ed incrementando ancor più la mia indole curiosa e attiva. Ho unito questo nuovo modo di essere all’arte, che continua ad accompagnarmi, e che mi permette di esprimermi e confrontarmi con l’esterno. Sicuramente, tra i miei progetti futuri, c’è quello di crescere artisticamente, mettendomi alla prova e formandomi di più, magari riuscendo ad entrare in una residenza d’artista. L’ambizione più grande, oltre a quella di crearmi un atelier dove rifugiarmi a lavorare, sarebbe una personale. Riuscire a tenere un corso di disegno è un altro mio progetto, ma su questo ci sto lavorando”.
L’opera “El capitan”
“Provo grande attrazione nei confronti delle montagne. Le reputo entità molto affascinanti, e studiando qualcosa al riguardo, documentandomi, ho iniziato a riflettere sui motivi che spingono l’essere umano a sfidarle. Sono partita da “El Capitan” perché è una montagna molto ambita nello sport dell’arrampicata, e luogo di prodezze sovrumane, ai limiti dell’estremo. La più grande impresa, fino ad ora compiuta, è quella di Alex Honnold, in free solo, dunque in arrampicata libera, a mani nude, senza alcun ausilio di corde di sicurezza o altro. Impresa compiuta su questo mostro roccioso di 2307 metri, e ultimata in sole 4 ore circa. Descritto così, in poche righe, forse non rende bene l’idea, ma basta immaginare almeno per un secondo, un uomo attaccato ad una parete rocciosa con solo mani e piedi, e col vuoto che gli sussurra continuamente all’orecchio, per sudare freddo. E questo, è stato il superamento di un’ulteriore impresa, avvenuta poco prima per merito di Tommy Caldwell, e cioè il primo al mondo ad aprire la via del Dawn Wall, il primo a riuscire ad arrampicare El Capitan, con corde di sicurezza. Il superamento di un’ambizione ne comporta un’altra e così via, apportando miglioramenti, semplificando e velocizzando il metodo. E’ come se l’uomo sfidasse dapprima la natura, e dopo averla vinta, sfidasse se stesso per mezzo di essa. 2307 metri di pura roccia sembrano sgretolarsi nell’immaginazione dell’arrampicatore, e ridursi ad un mero gioco di blocchi, al trovare il sistema più semplice per poter arrivare in cima”.
“La montagna continua ad esserci, ma in maniera sempre più ridotta, riducendosi solo a “mezzo” per poter superare i limiti umani. L’ “impossibile” che si tramuta in “possibile”, riduce la dimensione reale di una montagna e forse anche quella del rischio. Su questa riflessione, ho ridotto e contenuto 2307 metri di roccia, in un spazio di ben 4,3 cm di altezza, tuttavia trattando la descrizione pittorica con precisione. Ma è pura contraddizione costringere un qualcosa di grande e maestoso, in uno spazio così piccolo. Questo pensiero credo sia un punto di partenza per ulteriori riflessioni: quanto l’essere umano sta spingendo i propri limiti e dov’è disposto ad arrivare pur di superarsi? Nel “sublime” l’uomo soccombeva di fronte l’immensità della natura, e ammetteva senza alcuna titubanza il prevalere di quest’ultima su di sè. Oggi invece l’uomo sfida la natura e scommette la sua stessa vita per il superamento di se stesso”.
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