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Cristo della Domenica (particolare), circondato dagli attrezzi che indicano le attività proibite nel giorno di festa. L”affresco è a Tesero nel Trentino
ICONOGRAFIA
CHI LAVORA VA ALL’INFERNO
Nell’insolita iconografia
del Cristo della domenica
gli strumenti della Passione
diventano i quotidiani
arnesi di artigiani e contadini,
elevandosi a monito
contro la violazione
del riposo festivo
di Alberto Zaina
L’insolita, suggestiva iconografia del Cristo della domenica si sviluppa in Italia e in Europa dalla metà del Trecento all’inizio del Cinquecento. Si tratta di una raffigurazione di carattere prescrittivo-ammonitorio che si è rivelata ben presente sulle pareti delle chiese, con una diffusione non molto inferiore ai più noti affreschi delle Danze macabre, dove la Morte conduce alla tomba i vari personaggi-simbolo delle diverse classi sociali, ognuno in coppia con uno scheletro. All’ammonizione il Cristo della domenica aggiunge valore di prescrizione, volendo richiamare i fedeli all’osservanza del precetto festivo.
L’iconografia scaturisce da un particolare “uso” di alcune tipiche immagini della Passione, nelle quali Gesù (che porta la croce, emerge a mezzo busto dal sepolcro o si abbandona nella postura della Pietà) è accompagnato dai simboli della Passione stessa, ossia le “armi di Cristo” (Arma Christi), disposte nella scena attorno alla figura principale (esempi famosi sono quelli contenuti nei dipinti di Memling e del Beato Angelico).
Nel Cristo della domenica le Arma assumono però la funzione di strumenti-simboli del lavoro e delle attività vietate o non consone alla santificazione del giorno del Signore: tant’è che agli scalpelli, alle sgorbie, alle tenaglie, si associano pialle, seghe, zappe, fusi per la filatura, ruote da mulino, barche, torchi da vino, dadi da gioco, scene di caccia.
Il significato è chiaro: l’inosservanza, peccaminosa, del precetto festivo equivale agli strumenti che hanno inflitto a Gesù i dolori della Passione, ed è da evitare perché conduce diritto all’inferno. Tali oggetti a volte colpiscono il Cristo in modo diretto, altre volte sono collegati alle sue piaghe con frecce, altre ancora sono semplicemente collocati sui due lati. Un’iconografia che si innesta in una lunga tradizione di testi letterari apocrifi, tra i quali l’Epistola de la Domenica del VII secolo, la cui popolarità nel tempo è testimoniata dall’esistenza di esemplari a stampa del Cinquecento.
Talora, la figura centrale attorniata dagli oggetti, anziché Gesù è una donna in abiti regali, attorno alla quale sono disposti i simboli delle attività proibite nel giorno di festa. I casi censiti di questo genere sono rari, poco più di una decina, e negli altrettanto rari studi in proposito è prevalsa la tendenza a considerare l’icona come una sorta di “Regina” o “Madonna dei mestieri” con significato apotropaico, del tutto opposto cioè a quello interdittorio del Cristo.
La femmina misteriosa è invece la personificazione della Domenica. Un dipinto con tale soggetto, davvero originale anche se purtroppo assai rovinato, è stato da me individuato nella pieve della Mitria di Nave (Brescia): ad un esame ravvicinato esso lascia scorgere, ai lati di una donna aureolata e vestita di un manto rosso, due diavoli e tracce di strumenti da lavoro. Ben distinguibili sono un ferro da cavallo, un arnese da falegname e alcuni elementi di un congegno.
Nelle visite pastorali post-tridentine, i vescovi ordinavano la distruzione di questi affreschi. Avvenne così, tra gli altri, per quelli assai famosi di Biella e di San Pietro di Feletto, nel trevigiano (l’ordine non fu però eseguito, ed entrambe le opere sono arrivate per fortuna fino a noi). Le ragioni precise della disposizione non venivano esplicitate dalle gerarchie ecclesiali: ciò rispondeva semmai ad un generico atteggiamento di “normalizzazione” degli eccessi derivati da forme di culto non controllate – talvolta sconfinanti nella superstizione, o comunque poco “decorose” – che sopravvivevano in particolare nelle zone periferiche (e non solo in pittura: nell’Itinerarium Cambriacum sono attestate rappresentazioni dei “lavori proibiti” all’interno delle chiese attraverso danze mimetiche che giungevano a livelli parossistici).
L’iconografia qui illustrata conosce la propria massima fortuna in quella peculiare temperie socio-religiosa che Huizinga ha ribattezzato “autunno del Medioevo”, quando, con la ripresa demografica, lo sviluppo delle attività economiche, la ritrovata attenzione alla centralità dell’uomo che prelude alla stagione del Rinascimento, si registra anche una mondanizzazione e rilassatezza di costumi.
Huizinga coniò la sua felice definizione in relazione alla pittura fiamminga. Pittura che tra XV e XVI secolo, con i borghi laboriosi percorsi da feste goderecce di Bruegel e i severi richiami delle parabole di Bosch, ci racconta, tramite artisti di gran fama, un clima assai simile a quello in cui si realizza il Cristo della domenica, interpretato da autori anonimi e di modesto valore, ma non meno efficaci nel trasmettere precisi ed analoghi messaggi.
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