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Dante. Come fu suggestionato dall’Aldilà degli Etruschi, dei Romani e degli Egizi


Mostra dossier “…che mi fa sovvenir del mondo antico”. Archeologia e Divina Commedia. Fino al primo novembre 2021. A cura di Marinella Marchesi
Attraverso materiali di varie provenienze, tutti appartenenti al patrimonio del museo Museo Civico Archeologico di Bologna, il percorso analizza personaggi e tradizioni miti-storiche del mondo antico, riprese e rielaborate in chiave cristiana nella costruzione dell’Aldilà della Divina Commedia.
La narrazione del viaggio che Dante intraprende il 25 marzo del 1300 attraverso i tre regni oltremondani è infatti un insieme perfetto di influssi e apporti culturali, filosofici, teologici e letterari che provengono non solo dal mondo classico – quelli sicuramente più evidenti – ma anche dalle aree orientali del bacino del Mediterraneo, filtrati dalle tradizioni ebraica, greco-romana e cristiana e dalle successive dottrine medievali.

Pettorale funerario, Nuovo Regno (1539-1075 a.C.), Faïence,
Le dee Iside e Nefti sono raffigurate ai lati di un foro per ospitare uno scarabeo del cuore
Bologna, Museo Civico Archeologico

La mostra si apre, perciò, con un rapido sguardo al complesso sistema dell’Aldilà egizio, nelle cui regioni si svolgeva il cammino dell’anima e al contempo il viaggio notturno del sole, molto probabilmente noto a Dante solo per via indiretta, forse anche attraverso le cosiddette “Visioni dell’Aldilà”, ben diffuse nel Medioevo.

Seguono le immagini e le storie di coloro che precedettero Dante nel viaggio oltremondano: i protagonisti di catabasi, cioè di discese agli Inferi, e di incontri con le anime dei defunti che popolano la letteratura greca e latina e sulle cui tracce si incammina anche il sommo poeta, ricordandoli tutti nel corso della sua narrazione, secondo diverse modalità.

Strettamente connessi a questi, vi sono poi i custodi e i giudici infernali, le cui raffigurazioni, a partire dal mondo antico, hanno attraversato le espressioni artistiche di tutte le epoche. In prevalenza esseri ibridi e mostruosi tratti dalla mitologia classica, già presenti nell’Aldilà greco-romano, subiscono nell’Inferno dantesco una trasformazione in chiave demoniaca e simbolica. Una panoramica conclusiva è infine dedicata alle numerose divinità pagane che Dante reinterpreta attraverso lo sguardo del Cristianesimo, nella profonda convinzione che dietro ai miti classici si celassero verità interpretabili cristianamente: sono quelle divinità cui si appella affinché ispirino la stesura del suo poema – le Muse ed Apollo – e quelle che danno il nome ai pianeti associati a sette dei nove cieli in cui si articola il Paradiso.

Echi dell’Oltretomba egizio
La civiltà egizia offre, attraverso testi e immagini che li illustrano, una delle più articolate descrizioni a noi note dei “regni” dell’Aldilà e del viaggio che i defunti dovevano percorrere attraverso di essi. I Testi delle Piramidi dell’Antico Regno, che compaiono all’interno delle sepolture regali, seguiti nel tempo dai Testi dei Sarcofagi del Medio Regno e dal Libro dei Morti del Nuovo Regno, che impongono il culto di Osiride sia in contesto privato che regale, narrano le vicissitudini del defunto lungo il cammino che lo porterà alla rinascita, dopo aver superato molte prove e fatto cattivi incontri. Allo stesso tempo questi testi costituiscono una vera e propria guida, senza la quale la conquista della meta finale risulterebbe quasi impossibile per il defunto.

La salvezza, per gli Egizi, passa quindi attraverso strade infestate da demoni mostruosi pronti a incenerire o divorare i defunti, giudici preposti a valutare la correttezza dell’operato umano, collocati a guardia di porte che si aprono su luoghi infuocati. In ogni momento del loro viaggio, i defunti rischiano la dannazione, prima e dopo la prova della pesatura del cuore, e questa dannazione consiste nella loro consegna a geni multiformi che li possono incatenare, imprigionare, mutilare, torturare.
Tuttavia, la conquista del regno di Osiride, paragonabile ad una terra fertile in cui le anime raggiungono un benessere simile a quello dei dignitari terreni, non era l’ultimo obiettivo dei defunti, che continuavano a sperare di salire, un giorno, sulla barca di Ra, il sole, per poter
ritornare alla luce, come descritto nel Libro dell’Amduat.

Nella visione egizia, dopo il tramonto il sole percorreva su una barca il mondo sotterraneo, dal quale usciva il mattino dopo per tornare in cielo. Suddiviso in caverne, ciascuna delle quali articolata in registri, questo mondo era popolato da divinità, demoni ibridi, serpenti ma anche da defunti, che ogni notte anelavano alla visione del sole, così da essere riscaldati per qualche istante dalla sua luce. Il Libro delle Caverne, insieme ad altri testi dell’Aldilà, descrive come nella parte sotterranea di questo mondo risiedano i dannati, sottoposti alle più diverse pene e a svariati supplizi. Ad essi il sole non rivolge il proprio sguardo, impegnato nel proprio percorso di rinascita, verso l’alba di un nuovo giorno.

Gli influssi che questo complesso sistema teologico ed escatologico ebbe sulle altre culture del bacino del Mediterraneo sono molteplici e vanno dalla tradizione greca a quella neoplatonica fino allo stesso Cristianesimo.
Non si possono non ravvisare in Dante echi di questa concezione dell’Aldilà, echi la cui provenienza è ancora dibattuta. È comunque molto probabile che molti di tali elementi, tra cui la cosmologia dantesca, derivino dalle “Visioni dell’Aldilà” medievali, modellate sull’Apocalisse di Paolo, un testo apocrifo di età tardo-antica scritto in Egitto, risultato della fusione di molteplici culture, tra cui proprio quella egizia, insieme a quelle ebraica, cristiana, greco-romana e vicino-orientale.

La catabasi e i suoi protagonisti
All’inizio del suo cammino, poco dopo l’incontro con Virgilio, Dante dichiara alla propria guida di sentirsi indegno di affrontare il viaggio oltremondano, non reputandosi all’altezza dei nobili predecessori Enea e San Paolo. Ad essi la grazia divina aveva concesso di esplorare i regni dell’Oltretomba prima della morte, per portare a compimento una precisa missione provvidenziale. È dunque chiaro fin dal principio come il viaggio di Dante si inserisca in una ricca e lunga tradizione narrativa di discese agli Inferi – le catabasi – le quali hanno origine, nell’ambito della letteratura classica, dall’evocazione delle anime dei defunti – la nekyia – di cui è protagonista Ulisse nell’XI canto dell’Odissea.

Cratere a calice attico a figure rosse del Pittore di Methyse, 460-440 a.C.
Provenienza: Vulci
Sul lato principale è raffigurato Teseo, in armi oplitiche, che si accomiata dalla madre Etra.
Bologna, Museo Civico Archeologico

Dante, che non conosceva il greco, non ha accesso diretto ai racconti omerici, ma trae le proprie conoscenze sull’Aldilà greco e sui personaggi che l’avevano percorso ancora in vita dagli autori latini: primo fra tutti Virgilio, poi Ovidio, Lucano e Stazio.

Nella Commedia sono quindi esplicitamente ricordate le catabasi di Teseo e di Ercole e il poeta incontra tra i dannati Orfeo e Ulisse, le cui note esperienze oltremondane non sono tuttavia mai menzionate nel poema.

Candelabro, 430-410 a.C.
Bronzo
Provenienza: Spina
La cimasa raffigura Enea che sorregge e guida il padre Anchise durante la fuga da Troia.
Narra il mito che Anchise, cugino del re di Troia Priamo e il cui nome significa “storto” o “curvo”,
fosse stato reso zoppo da un fulmine lanciato da Zeus, che l’aveva voluto punire per essersi
vantato del suo amore con Afrodite. Secondo un’altra versione, la sua punizione fu la cecità.
Bologna, Museo Civico Archeologico

Ma è la catabasi di Enea a rappresentare il modello principe del viaggio di Dante nelle regioni infernali. Il racconto che ne fa Virgilio nel VI libro dell’Eneide costituiva, del resto, un archetipo anche per la letteratura latina, presentando una delle descrizioni più ampie ed organiche, oltre che più antiche, dell’Ade romano.
Moltissime sono le similitudini, nella geografia dei luoghi e nei personaggi che li popolano, tra l’Averno dell’Eneide e l’Inferno dantesco e sono altrettanto numerosi i parallelismi tra Enea e Dante negli atteggiamenti e nelle dinamiche di incontro con le anime o i custodi dell’Oltretomba, seppur piegati alla visione cristiana e al contesto contemporaneo.

Ciondolo con scarabeo etrusco in sardonica zonata, noto come “Gemma Maffei”; prima metà del
V secolo a.C.
Oro
Sullo scarabeo è raffigurato ad incisione il commiato tra Ulisse e Achille, entrambi riconoscibili
grazie ai rispettivi nomi iscritti.
Bologna, Museo Civico Archeologico

Dante è quindi ultimo nella schiera dei protagonisti di catabasi del mondo antico, ma da essi si differenzia per due aspetti sostanziali: da un lato il suo viaggio non si esaurisce con una discesa tra i dannati, ma deve provvidenzialmente trovare compimento in un’ascesa salvifica al Paradiso; dall’altro egli, per la prima volta, non è un eroe, di cui l’impresa nell’Ade celebra la gloria, ma è un uomo in lotta col peccato, che attraverso il viaggio deve trovare la strada per la propria salvezza e mostrarla all’umanità intera.

Statuetta raffigurante il dio Mercurio, seconda metà del I secolo a.C. – I secolo d.C.
Bronzo
Provenienza: Castelvetro (Modena)
Il dio è ben riconoscibile grazie al petaso alato, il suo copricapo distintivo, e al marsupium, la borsa di pelle contenente i soldi, stretto nella mano destra.
Bologna, Museo Civico Archeologico

I custodi infernali
I regni ultraterreni degli antichi, dai quali Dante trae i propri modelli, sono sempre popolati da figure mostruose e ibride che svolgono la funzione di custodi dei luoghi e di guardiani dei passaggi. Si tratta di esseri liminali, la cui funzione è quella di accogliere le anime, giudicarle, accompagnarle al loro destino, per lo più incutendo terrore per le loro caratteristiche fisiche o per la brutalità dei loro modi, incarnando quindi la naturale paura della morte e del passaggio verso una dimensione sconosciuta.

I guardiani dell’Inferno dantesco derivano prevalentemente dall’Eneide: dal poema virgiliano Dante non trae soltanto i personaggi, ma riprende innumerevoli particolari della loro descrizione, nonché diverse ambientazioni. Come esempi, si possono citare la figura di Caronte che si staglia sulle scure onde del fiume infernale; il giudice incarnato da Minosse; la città di Dite sulle cui mura svettano le Furie; il rabbioso Flegiàs e i Giganti confitti nel fondo dell’Inferno. Altro modello di riferimento per Dante nel descrivere questi esseri è Ovidio, con le dettagliate descrizioni delle sue Metamorfosi.

Tuttavia, nella rappresentazione di questi esseri, Dante si distacca dalla tradizione classica, spinto dalla necessità di conferire loro una natura demoniaca, di farli diventare incarnazione del Male, in relazione al peccato, contrapposto al Bene, che conduce alla salvezza. L’assimilazione delle creature mitologiche a demoni infernali non è un’invenzione dantesca, ma il prodotto del pensiero cristiano, quando questo dovette affrontare e spiegare le credenze proprie del mondo classico. I mostri della mitologia pagana ben si prestavano a dare vita a diverse espressioni del demonio, che per i cristiani era caratterizzato da una forza violenta e da una natura bestiale.

Nella convinzione, quindi, che la discesa agli Inferi di Enea fosse realmente e storicamente avvenuta, e che Virgilio ne avesse riportato la descrizione informato da un’antichissima tradizione, travisata dal velo del paganesimo e quindi dall’ignoranza del sapere cristiano, Dante ripercorre i passi dell’eroe troiano, reincontrando quegli stessi guardiani mitologici e reinterpretandoli questa volta nella prospettiva della conoscenza del vero Dio e del destino delle anime a lui fedeli.

Gli dei pagani in Paradiso
La struttura del Paradiso di Dante ripropone la dottrina cosmologica aristotelico-tolemaica secondo la quale la Terra, posta al centro dell’Universo, è circondata da nove cieli, sfere cave contigue tra loro e concentriche, sovrastate e circondate dal decimo cielo, l’Empireo, di tradizione cristiana. I primi otto cieli prendono il nome dal corpo celeste che gira solidalmente con ciascuno di essi, nell’ordine i pianeti Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno e, da ultimo, le Stelle fisse.

Ciascuno dei pianeti diviene nella Commedia simbolo di un grado di beatitudine e strumento realizzatore del disegno divino. Dante era infatti convinto, seguendo le dottrine a lui contemporanee, che gli astri esercitassero peculiari influssi sugli uomini, divenendo mediatori della volontà divina: alla Luna era attribuita l’incostanza; a Mercurio l’amore per la gloria terrena; a Venere la tendenza all’amore; al Sole la sapienza; a Marte la combattività, a Giove la giustizia; a Saturno il desiderio di meditazione.

Era opinione peculiare della cultura medievale che gli antichi avessero dato concretezza a questi influssi, personificandoli in divinità cui attribuirono il nome dei pianeti. Dante, dunque, crede fermamente, come i suoi contemporanei, che i miti pagani non fossero del tutto esclusivo frutto d’invenzione poetica, ma che celassero nel profondo verità interpretabili cristianamente. Gli antichi avevano infatti intuito, per quanto approssimativamente e nebulosamente, il vero Dio e ne avevano spiegato le sue varie espressioni ed emanazioni attraverso la creazione di molteplici divinità, rimanendo in un errore che poteva essere sanato solo dalla rivelazione.

È pertanto questa profonda convinzione che porta Dante a chiamare Cristo con l’appellativo di Giove, ad invocare lo Spirito Santo con il nome di Apollo e ad utilizzare il nome di Elios per indicare Dio.