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“E’ di Raffaello!”. Commissione attribuisce l’opera al maestro. L’origine misteriosa dello strappo


Un massello di muro e un putto di straordinaria bellezza. Di fatto sovrapponibile a una figura di celeste bambino che regge un festone di frutti di un affresco di Raffaello: l’Isaia della chiesa di Sant’Agostino a Roma (1513 circa). A giudizio di una commissione tecnica che ha coordinato il lavoro di pulitura e studio di questo ampio e ben inquadrato lacerto parietale appartenente all’Accademia di San Luca, a Roma, anch’esso è riconducibile a Raffaello. L’opera fu donata alla corporazione dei pittori romani, nel 1834, dall’artista e mecenate francese Jean Baptiste. Il putto reggifestone è stato realizzato con la tecnica dell’affresco. (cm 41,5 x 110). Il prelievo – da una sede ignota – dovette avvenire nei primi decenni dell’Ottocento con la tecnica del distacco a massello, cioè con un’asportazione di parte del muro.

Il dipinto, dal quale sono stati rimossi alcuni interventi di restauro – evidentemente a secco, che risalirebbero agli anni Sessanta del Novecento, avrebbe rivelato oggi, alla Commissione di restauro e studio sostenuta dalla Mecenati della Galleria Borghese – Roman Heritage Onlus – una qualità pittorica straordinaria, del tutto compatibile con la tecnica utilizzata da Raffaello nelle sue opere certe – un dato, questo, suffragato dalle indagini diagnostiche e chimiche. Lo studio ha visto coinvolto team di specialisti composto da Paolo Violini, maestro restauratore del laboratorio di restauro dei Musei Vaticani; Silvia Ginzburg, docente di Storia dell’arte moderna dell’Università degli Studi di Roma Tre, e dall’ingegnere nucleare Claudio Falcucci. A favore del riconoscimento dell’autografia, nel passato – contro chi sosteneva che il distacco fosse una splendida copia ottocentesca, realizzata a partire dal putto di Isaia, presente nella chiesa di Sant’Agostino (nella foto qui sotto)

si era espresso anche il noto restauratore Pico Cellini.

Il frammento oggi sottoposto ad indagine aveva suscitato, nel passato più di una perplessità , non per la qualità pittorica – eccelsa – ma poichè esso si presentava perfettamente composto, secondo una consolidata modalità di ricostruzione e impaginazione dei lacerti nelle copie antiquarie realizzate dai pittori romani alla fine del Settecento e agli inizi dell’Ottocento, con tecniche antiche. La tesi contraria all’autografia rilevava che la matrice originale andasse ricercata nell’affresco della chiesa di Sant’Agostino. Si sosteneva, pertanto, che il Putto reggifestone dell’Accademia di San Luca fosse stato realizzato, a partire dal disegno ricavato dall’affresco, ma che non fosse di Raffaello, per quanto di ottima fattura. I sostenitori dell’autografia affermavano, invece, che esso fosse stato ricavato dalla rimozione di una precedente stesura dell’Isaia con putti reggifestone, che, secondo il Vasari, era stato distrutto da Raffaello stesso non soddisfatto del lavoro.

Il Putto reggifestone fu poi oggetto di un’autentica fascinazione raffaellesca, in tanti autori dell’Ottocento. In particolare lo “strappo” fu amatissimo dal pittore francese Gustave Moreau, che ne ricavò una copia, secondo il proprio stile (qui sotto)