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Elisa Anfuso –


ELISA ANFUSO E IL TEMPO IMMOBILE
 
Nell’impiego di simboli ricorrenti all’interno delle tue opere prevale l’elemento autobiografico o, invece, siamo di fronte ad un’elaborazione fantastica, ad un’invenzione narrativa?
Inevitabilmente predomina l’elemento autobiografico. Ogni simbolo, ogni riferimento, si fa portavoce di un pensiero, di un sentire e di un vedere che nascono da me, dal mio vissuto, dalle mie percezioni e quindi, inesorabilmente, anche da tutto ciò che mi circonda. Non sento il bisogno di invenzioni narrative al momento, la realtà può offrire più di quanto immaginiamo o sappiamo cogliere.
 
La stanza chiusa: rifugio o prigione? O entrambe le cose?
Entrambe le cose. Abbiamo tutti una stanza così. Un luogo in cui siamo al riparo da tutto il resto, in cui viviamo la nostra pausa dal mondo. Un rifugio che può diventare prigione quando è l’alibi per non voler più uscir fuori. Perché si ha paura, non si ha sufficiente coraggio e qualcosa ci impone di restare lì. E’ la nostra possibilità di scelta che può fare di un rifugio una prigione.
 
Parlami delle tue “ossessioni”: per l’autoritratto – che si fa, insieme, soggetto e oggetto del racconto pittorico – e per la stagione dell’infanzia.
Ad essere sincera non ho mai pensato di fare degli autoritratti. Ho sempre scelto dei soggetti reali che avessero le caratteristiche per vestire i panni di quel soggetto/oggetto. E nessuno di loro mi somigliava. Eppure, senza che ne fossi consapevole, è uscito fuori qualcosa di me che tutti hanno sin da subito notato. Forse proprio perché racconto di storie che mi appartengono ed in cui riconosco la bambina che sono stata. L’infanzia è un tempo ma è anche un luogo. E’ una stanza un po’ rifugio un po’ prigione. E’ il rifugio per quella parte di noi che vuole rimanere il più possibile fedele a se stessa e non lasciarsi cambiare dall’incontro/scontro col mondo che sta fuori. L’infanzia è il tempo in cui non abbiamo ancora una pelle a proteggerci.
 
Fermare il tempo. Forse solo l’arte consente, in qualche modo, la realizzazione di un simile miracolo.
In effetti, l’arte, in ogni sua espressione, può congelare un’emozione, renderla condivisibile, darle una forma. Il mio tempo si ferma nel momento in cui dipingo, raccolgo tutto ciò che ho intorno, implodo nei miei stessi pensieri e sento, per un po’, di rimanere sospesa, congelata con la mia emozione.
 
Nei tuoi lavori si colgono rimandi alla pittura antica, in ambito sia iconografico – penso alle allegorie – che formale. Quali sono gli autori del passato a cui ti senti più debitrice?
Piero della Francesca, Mantegna, Hayez, Van Eyck, i Preraffaelliti. Tutti in qualche modo accomunati da un certo simbolismo più o meno manifesto e da una sorta di “congelamento” del tempo che sposta la realtà in un piano differente e sembra lasciarla lì, sospesa.
 
Il sogno, infine. Offrirne, tramite un quadro, l’esplicitazione, è per te un atto intellettuale od istintivo? C’è, in altre parole, più testa o più cuore? Volontà di offrire significati precisi o un dispensare di messaggi del subconscio, che il fruitore – sull’onda delle suggestioni ricevute – potrà liberamente interpretare?
In ciò che dipingo prevale il cuore, “croce e delizia” della mia vita. Sono istintiva, emotiva, tutt’altro che intellettuale. Il mio cuore fa crociate epiche contro la mia testa. In queste opere, più che significati precisi ci sono visioni precise, sentimenti, riflessioni, percezioni che in ognuno potrebbero aprire porte differenti e in differenti modi. Ascolto sempre con grande attenzione le interpretazioni del mio lavoro, e più che sorprendermi mi affascinano. E mi arricchiscono.
 
 
 
Elisa Anfuso è nata nel 1982 a Catania, dove vive e lavora.