Che Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842) sia stata una delle donne più affascinanti e talentuose del suo tempo, nonché una delle principali interpreti di un’epoca tanto contraddittoria quanto turbolenta, è cosa nota. Ma per riuscire a capire al meglio chi fosse questa pittrice francese è senz’altro indispensabile immergersi nella lettura di “Viaggio in Italia di una donna artista. I ‘Souvenirs’ di Elisabeth Vigée Le Brun 1789-1792”, edito da Electa a cura di Fernando Mazzocca. Questi “Souvenirs” sono il memoriale che l’artista puntualmente pubblicò in diversi volumi, su sollecitazione degli amici fidati e dei parenti, i quali promossero la pubblicazione, basandosi su appunti, diari e lettere della pittrice stessa.
Uno degli indubbi obiettivi di queste memorie era quello di arrestare una volta per tutte le numerosissime calunnie che da tempo ormai, ancora prima della Rivoluzione francese, circolavano sul conto della donna, troppo bella, libera, ambiziosa, testarda, sicura di sé e soprattutto abile nell’arte della pittura per non animare cattive lingue. Oltre ad attribuirle numerosi amanti, in molti la accusarono di non saper creare opere pittoriche e, per questa ragione, di far dipingere un uomo, per la precisione Ménageot, al suo posto. Per l’occasione, anche il marito prese le sue difese pubblicamente con queste parole: “Ma è un’ingiustizia comune agli uomini e alle donne far finta di credere che una donna sia incapace di occuparsi d’altro che di cose frivole, e non perdonarle di voler penetrare nel sacro tempio delle arti e delle scienze”. Per quanto riguarda la sua unione con uno dei maggiori mercanti d’arte del tempo, Jean Baptiste Pierre Le Brun, la pittrice stessa sottolineò che fu un matrimonio senza amore, tormentato, che terminò con il divorzio solamente nel 1794, benché di fatto la coppia fosse separata già dal 1789.
“La sua sfrenata passione per le donne di dubbi costumi, unita a quella del gioco, causò la rovina delle sue sostanze e delle mie”: queste le parole di Elisabeth Vigée Le Brun, confermate dal fatto che la donna non solo giunse in Italia senza denari, ma si vide costretta, cosa ben anomala al tempo, ad inviare in più occasioni al marito ciò che riusciva a guadagnare grazie ai suoi ritratti. Se dunque si può parlare di amore, è certamente quello per la pittura che risulta oggetto delle sue passioni, inclinazione in lei innata, in parte trasmessale dal padre, Louis Vigée mediocre ritrattista del tempo; in breve, grazie a un precoce talento e a una genialità che seppero dar vita ad un intenso stile personale, frutto di una sintesi personalissima della tradizione pittorica italiana e di quella fiamminga, la pittrice fu oggetto dell’attenzione delle classi dominanti. Fu così che divenne una delle ritrattiste più ricercate del suo tempo, anche al di fuori dei confini francesi: alla sua morte lasciò ben seicento ritratti e duecento paesaggi.
Forte fu il legame della giovane pittrice con la corte di Versailles: nel 1777 incontrò per la prima volta la regina Maria Antonietta e ne diventò immediatamente amica, confidente e pittrice prediletta, tanto che nel decennio dal 1778 al 1788 realizzò una trentina di ritratti della sovrana. Questo rapporto con la corte le permise di avere accesso alle regge di tutta Europa nonché di ricevere grandi riconoscimenti, tra i quali quello, inusuale per una donna del tempo, di essere membro dell’Académie Royale de Peinture et de Sculpture. Ma molti furono anche i problemi derivanti dall’amicizia con la regina: il 6 ottobre 1789 (ovvero il giorno dopo che Luigi XVI e Maria Antonietta vennero condotti da Versailles a Parigi) Elisabeth, per sfuggire alla Rivoluzione, scappò precipitosamente dalla Francia alla volta dell’Italia con la figlia Julie e la badante. In cuor suo la donna sperava di poter far ritorno presto in patria, ma così non fu.
Dodici furono gli anni di esilio, in Italia, a Vienna e in Russia. Rientrò in Francia solo nel 1802, ormai incapace di ritrovarsi in una società profondamente mutata, nella quale non le rimaneva che rimpiangere l’ormai scomparso Ancien Régime. E questo le provocò diversi problemi.. Proprio per sfuggire a queste ire, Elisabeth riparò in Italia. Il suo esilio rivive puntualmente (anche se a dire il vero non sempre le date coincidono con la realtà dei fatti) nelle pagine dei suoi “Souvenirs”: da Torino, a Parma, Modena, Bologna, Firenze, fino a giungere Roma negli ultimi giorni del novembre 1789.
Da qui, successivamente, si recò più volte a Napoli. Ma fu la città eterna ad incantare la pittrice ed in particolar modo i resti di epoca romana, nonché le numerosissime creazioni artistiche che ebbe modo di conoscere. Primo fra tutti, l’artista provava un’ammirazione incondizionata nei confronti di Raffaello, le cui opere poté ammirare non solo a Roma ma anche in altre città italiane ed europee da lei visitate. E così accanto all’influenza dei grandi maestri del nord, quali Vermeer, Van Dyck, Rubens e Rembrandt, diventò sempre più forte l’influsso dei pittori italiani: oltre all’urbinate, incisero sulla sua pittura i dipinti della scuola veneziana e quelli di Leonardo e di Giulio Romano, solo per citare alcuni esempi.
I tre anni trascorsi in Italia si rivelarono per l’artista molto fruttuosi, non solo per gli splendidi paesaggi e scenari che la donna ebbe modo di conoscere – e che vennero con passione ricordati nelle pagine dei “Souvenirs” – ma anche per le numerosissime commissioni che ricevette dalle più importanti personalità dell’epoca e che fecero di Elisabeth la ritrattista più richiesta e pagata del tempo. In questo modo riuscì quindi, da un lato a ricostruire il patrimonio che il marito aveva dilapidato e dall’altro ad avere la meglio sull’altra nota pittrice, sua antagonista da sempre: Adélaïde Labille-Guiard. Tra i dipinti di maggiore importanza realizzati durante il soggiorno italiano va senz’altro ricordato l’“Autoritratto” realizzato nel 1789 e donato agli Uffizi: opera emblematica perché non solo perché riprende un tema caro e particolarmente sentito dall’artista, lo scandaglio dell’anima, ma per il confronto produttivo, in questa particolare versione, con l’opera che Elisabeth sta creando, ovvero il ritratto della tanto amata Maria Antonietta.
Una pagina del diario – “Solo quattro opere delle tante che ho dipinto mi danno soddisfazione”
Salutai lo splendido mare napoletano, l’incantevole collina di Posillipo, il terribile Vesuvio, e partii per Roma: avrei rivisto per la terza volta la mia cara città, avrei ammirato ancora una volta Raffaello in tutta la sua gloria. Come giunsi a Roma, mi misi nuovamente all’opera con i miei ritratti, a dire il vero senza troppa soddisfazione. Durante i miei soggiorni napoletani, e ancor più durante quelli romani, rimpiangevo molto di non potere impiegare il mio tempo in qualche quadro il cui soggetto m’ispirasse. Ero stata nominata membro di tutte le accademie italiane, e questo fatto mi spingeva a cercare di essere sempre più all’altezza di onorificenze così lusinghiere; viceversa non avrei lasciato nulla in quel bel paese che potesse accrescere di molto la mia reputazione. Idee simili mi ronzavano spesso per la testa; ho più di uno schizzo nel mio portafoglio, che potrebbe fornirne la prova; ma, sia la necessità di guadagnare del denaro – giacché non mi rimaneva più un soldo di tutto quello che avevo guadagnato in Francia -, sia la mia debolezza di carattere, facevano sì che assumessi continui impegni, con la conseguenza che mi inaridivo limitandomi alla ritrattistica.
E con il risultato che dopo aver dedicato la mia giovinezza al lavoro, con una costanza, un’assiduità piuttosto rare in una donna, amando io la mia arte quanto la mia stessa vita, oggi posso contare su non più di quattro opere (ivi compresi i ritratti) di cui sia realmente contenta. Ciononostante, non pochi dei ritratti che feci durante il mio ultimo soggiorno romano mi procurarono qualche soddisfazione: tra le altre quella di rivedere Mesdames de France, le zie di Luigi XVI, che appena giunte in quella città, mi fecero chiamare e mi pregarono di ritrarle. Non ignoravo che un’artista donna, che si era sempre dimostrata mia nemica [Adélaïde Labille-Guiard, ndr], non so per quale motivo, aveva tentato, con ogni mezzo immaginabile, di oscurarmi nella considerazione di queste principesse; ma l’estrema bontà con la quale mi trattarono, mi fece presto capire il poco effetto che avevano prodotto queste vili calunnie. Cominciai a fare il ritratto di Madame Adélaïde; feci in seguito quello di Madame Victoire.
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