L’acqua c’è ancora. E’ necessario fare attenzione e procedere con circospezione per evitare eventuali buche o pozzi a caduta. Ci si addentra in uno dei cinque budelli scuri, utilizzzando le pile. Il fine è capire a cosa servissero.
I misteriosi canali che giacciono silenziosi sotto il paesaggio della valle di Bet She’an, in Israele, rappresentano una scoperta che unisce archeologia, storia tecnologica ed economia medievale. Si tratta di una rete di tunnel idraulici ricavati nella roccia tufacea del corso del Nahal ʿAmal, datata al XIV–XV secolo, cioè al periodo del sultanato mamelucco (1260–1517 d.C.). Tali strutture sembrano non aver avuto – come si suppone – scopi irrigui o difensivi.

Il team di ricerca, guidato da Amos Frumkin dell’Università Ebraica di Gerusalemme, ha identificato cinque ingressi paralleli scolpiti nella roccia tufacea, in un tratto del torrente Nahal ’Amal, risalenti – secondo le analisi con metodo Uranio-Torio – al periodo tardo mamelucco. La presenza di stalattiti formatesi subito dopo la scavatura suggerisce che il passaggio dell’acqua fosse già operativo in epoca prossima alla costruzione. Il sistema, dato il materiale e la morfologia, appare progettato per fornire energia meccanica – non semplicemente per trasportare acqua per irrigazione – e per alimentare mulini azionati da ruote orizzontali, destinati alla frantumazione della canna da zucchero.

Questi mulini servivano a spremere i gambi di canna da zucchero, che venivano schiacciati tra rulli di pietra o di legno azionati dalla forza idrica. Dal processo di frantumazione si otteneva un succo denso e dolce, che veniva poi filtrato e concentrato mediante bollitura in grandi caldaie di rame. L’evaporazione dell’acqua lasciava un residuo di cristalli solidi: lo zucchero grezzo, che successivamente veniva purificato e compattato in pani per l’esportazione. L’intera filiera – dalla macinazione alla cottura – era dislocata nei pressi delle fonti idriche, in complessi industriali che richiedevano una costante disponibilità di energia e di manodopera specializzata.
L’industria dello zucchero nel Levante era allora una delle attività economiche più redditizie, soprattutto tra la fine del periodo crociato e l’età mamelucca. La Bet She’an Valley costituiva il principale centro di coltivazione della canna da zucchero del territorio, e la produzione del prezioso dolcificante rappresentava una delle fonti di ricchezza più importanti per le élite. L’esportazione verso il Mediterraneo orientale e l’alto valore commerciale del prodotto giustificano l’investimento in infrastrutture complesse, capaci di garantire un funzionamento continuo delle macine anche in zone aride o dove l’acqua non era abbondante.
Gli studiosi ritengono che i tunnel convogliassero l’acqua salmastra del Nahal ’Amal – inadatta all’irrigazione o al consumo – verso le installazioni dei mulini da zucchero. La pendenza regolare e la chiusura sotterranea del canale favorivano una pressione stabile e continua, utile ad azionare le pale e garantire energia costante. Il dato cronologico, coincidente con il picco della produzione locale, rafforza l’ipotesi che il complesso servisse specificamente all’industria saccarifera. È probabile che, in epoca successiva, queste stesse strutture siano state riutilizzate per mulini destinati ai cereali, segno di continuità tecnica e di adattamento economico.
Il ritrovamento offre una nuova prospettiva sull’ingegneria medievale del Medio Oriente. Non si tratta solo di grandi acquedotti o di opere monumentali, ma anche di sistemi sotterranei sofisticati, che dimostrano un livello elevato di conoscenza tecnica: lo scavo nella roccia vulcanica, la gestione dei flussi idrici e la capacità di sfruttare l’energia naturale in ambienti difficili. Il controllo dell’acqua appare come una forma di potere e di intelligenza economica. Attraverso lo zucchero e le sue infrastrutture, i Mamelucchi si rivelano non solo dominatori militari, ma anche protagonisti di una proto-rivoluzione industriale ante litteram.
Gli autori della ricerca avvertono tuttavia che non è ancora possibile dimostrare con certezza l’uso esatto dei tunnel. Le ipotesi sono fondate su confronti morfologici e dati cronologici, ma mancano prove dirette di macchinari o ruote. Nuove esplorazioni potrebbero chiarire meglio la funzione delle cavità e dei canali secondari, o rivelare ulteriori sistemi di derivazione.
In ogni caso, la rete idraulica del Nahal ’Amal illumina una pagina poco nota della tecnologia medievale: un paesaggio arido trasformato in centro di produzione e innovazione, dove l’acqua, la pietra e l’ingegno umano si fondono in un racconto che restituisce dignità tecnologica e culturale a un’epoca spesso sottovalutata.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Water History (2025), con DOI 10.1007/s12685-025-00368-7.








