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Fausto Bertoli pittore




Fausto Bertoli, “Paesaggio”
Fausto Bertoli, “Paesaggio”

E’ ricordando l’esortazione espressa da Gaetano Panazza in occasione di vasta rassegna triumplina mirante a meglio conoscere personalità artistiche ritenute minori, ma degne d’essere rese al giusto valore, che si riuniscono le aride notizie su Fausto Bertoli (Bovegno 1909-Brescia 1941). La morte lo ha rapito quando, preceduta da esiti apprezzabili, la sua maturità artistica stava per produrre rigogliosa fioritura. Affreschista presso Eligio Agriconi, aveva frequentato la Scuola di San Barnaba, maestro Virgilio Vecchia, condiscepoli fra altri G.B. Simoni, Mario Pescatori, Alessandro Pianeti, Giulio Greppi, Ignazio Guarneri, G.B. Cattaneo, altri ancora con Dolci, Di Prata, e Ragni proiettati verso una notorietà che per alcuni ha valicato il tempo delle tragedie di metà novecento. Bertoli invece si è spento per febbre tifoide al manifestarsi dei primi bagliori del conflitto e la sua memoria si è dissolta nel turbine travolgente l’umanità. Aveva esordito in manifestazioni nel 1927 partecipando al concorso indetto dalla Bottega d’Arte di Dante Bravo, aveva proseguito aderendo alle Triennali bresciane, alla prima, fino alla quarta rassegna del Sindacato provinciale di Belle arti (1934-1938) ed anche ad alcune esposizioni indette con vari colleghi.

Bertoli ritratto da Salodini
Bertoli ritratto da Salodini

Attraverso le testimonianze rilevabili nei cataloghi di quelle mostre e nelle recensioni è possibile tratteggiare l’itinerario creativo ispirato al paesaggio, alla natura morta e alla figura. Individuare i luoghi frequentati dal giovane pittore, i Ronchi, a San Fiorano in particolare, dei quali ha trasposto nella tela luci mattinali, l’algido candore invernale, l’accostarsi di antichi casolari dei piccoli borghi punteggiati i verdi declivi. Delle figure, rilevante il ritratto di “Luigina”. I meriti dell’autore sottolineati tra altri dagli autorevoli Nino Fortunato Vicari e Pietro Feroldi attestanti che l’arte sua, essenziale e cromaticamente sobria, non ha bisogno di alcun discorso per essere intesa, gli stilemi compositivi ispirati ai toscani del Quattrocento tradotti in una visione pacata, piena di sentimento per quei gialli ocra, per quei viola consumati e preziosi. Francesco Carlo Salodini ha invece ritratto i lineamenti dell’amico, trasparenti un intimo intensamente meditativo. Fugace apparizione postuma di opera del pittore valtrumplino è stata rilevata in occasione della “Mostra postuma dei soci” dell’Associazione artisti bresciani ordinata nell’ottobre 1970, ricorrendo il XXV di fondazione del sodalizio di via Gramsci. Tre anni più tardi alcuni esponenti del gruppo originato negli anni Trenta, ricongiunto prima nelle mostre del Bruttanome, dopo lungo silenzio si sono ripresentati al pubblico, e con loro han voluto tornassero condiscepoli scomparsi, fra i quali Fausto Bertoli, nel nome dell’amicizia che unisce in vita, oltre la vita. Al di fuori di quell’esigua schiera di appassionati, prossimi all’esaurimento, quanti ricordano il pittore di Bovegno? A sospingerlo nella dimenticanza ha forse contribuito la sua stessa natura riservata, più ancora la troppo breve esistenza che ha negato più corposa produzione ormai difficilmente reperibile, eccezion fatta per il quadro di “Paese” appartenente alle collezioni dei Musei cittadini.