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I roridi fichi, il cui lembo di pelle scostato apre alla verità, dolce e cruda, del peccato – e le papille rosseggiano e il sontoso raggio ne accarezza voluttuosamente la carne e ogni grumo — furono d’uso frequente nell’ambito dell’apparato lessicale simbolico delle nature morte, dei quadri di mercato o nell’illustrazione di scene allegoriche d’osteria. Del resto lo stesso sostantivo utilizzato volgarmente per identificare l’organo sessuale femminile unisce il nome del frutto – a cui la parte anatomica, osservata da tergo, somiglia inequivocabimente – al verbo ficcare, cioè inserire.
Per di più le foglie di di quella pianta avevano assunto una specializzazione antropologica nell’ambito della geografia corporea degli antenati mitici, Adamo ed Eva, ai quali, per coprire la vergogna della propria sessualità, ebbero la possibilità di schermarsi con un’ampia foglia di fico, tra l’episodio della consumazione del frutto dell’albero della conoscenza e punitiva cacciata dall’Eden. Il genesi non riferisce di quale frutto si trattasse, ma l’iconografia utilizzò la mela poichè il nome latino di questo frutto – malum – era identico al nome latino del male. Quale fosse l’albero della conoscenza del bene e del male, non è dato a sapere, ma già in antico esso fu messo in relazione con il fico, albero della sessualità femminile. Nell’affresco realizzato da Ambrogio Lorenzetti nella chiesa di San Galgano, a Montesiepi di Chiusdino, il grande pittore, ai piedi di una Maestà (1334-1340), dipinge un’opima e voluttuosa Eva, in veste da camera, che, con un cartiglio, ammette la propria colpa originaria – “fei peccato per passione”, peccai per passione- e fornisce un’interpretazione inequivocabile dalla natura di quella passione, legata all’Eros. Con la mano sinistra, Eva, dal volto incorniciato da un paio di invitanti trecce biondo rossicce, sdraiata come un meretrice, le gambe che appaiono sotto la stoffa, in trasparenza, alza un rametto terminale della pianta di fico, dal quale spicca il frutto autentico del peccato, traslazione vegetale dell’apparato riproduttivo femminile.
Al punto che se dovessimo leggere quell’episodio di consumazione del frutto proibito di natura sessuale come peccato originale in un senso esteso, riusciremmo a mettere a fuoco il fatto che la comunità e la chiesa percepivano l’atto sessuale e la sessualità, come un esercizio ancora ferino, il cui prodotto possibile, un bambino, andava lavato ritualmente per togliergli il peccato d’origine, cioè l’essere nato da una congiunzione sessuale.
Il fico, per forma e per precedenti visivi risulta pertanto collegato – e ciò avviene piuttosto spesso nell’iconografia occidentale – alla sfera sessuale femminile, alla nascita e alla vita, come elemento vegetale primario seguito dalla zucca, dal melone e dalle more, intese come frutti di bosco. Questa connotazione è accolta in antico dalla stessa leggenda di Romolo e Remo che, nel corso della rinascita figurata dei due gemelli – l’approdo della cesta, a cui furono affidati, a un sicuro lembo di terra fluviale – dall’oscurità della sorte riemergono, come trasportati dalle acque amniotiche alle cavità femminili della pianta, come se fossero venuti alla luce una seconda volta. Prosperità, carnalità, fecondità e ricchezza, con lo scivolamento nell’eccesso della lussuria contrassegnano il frutto nell’iconografia.
Propro in funzione della funzione apotropaica dei quadri di frutti – che dovevano allontanare la povertà, propiziando l’abbondanza – il collegamento del fico con la fecondità appare piuttosto diffuso, specie ne XVI e XVII secolo e ciò appare spesso una citazione furbesca, nelle nature morte o nei quadri di mercato. Piuttosto evidente è invece una congiunzione carnale umanissima tra una zucca e un fico in una parte degli affreschi floreali e decorativi, realizzati da Giovanni da Udine nella Loggia di Psiche, a Villa Farnesina, a Roma (1517-1518, sotto la guida di Raffaello: Una zucca capricciosa, grigia e nerboruta, pittoricamente modellata fino a configurare la carnosa sommità del glande, comprime le labbra di un fico, attraverso l’inizio di una penetrazione che lo dischiude, fino a mostrare la dolce carnosità dell’interno. L’apparato decorativo di Giovanni da Udine gioca certamente il ruolo di antologia di immagini propiziatorie, come appare dalla zucca che s’apre sulla testa di mercurio. – cfr il nostro link interno www.stilearte.it/la-zucca-nellarte-simbolo-e-propiziatrice-di-prosperita-fecondita-e-ricchezza1/ –
Altro esempio di inequivocabile valore semantico è contenuto nell’Allegria Compagnia – o Amanti Folli – del pittore bolognese Bartolomeo Passerotti o Passarotti, realizzato tra il 1550 e il 1570. Fingendo un sermone contro il vizio, Passerotti, in realtà intorbidisce le acque, puntando al coinvolgimento emotivo dello spettatore e trascinandolo in una dimensione orgiastica primitiva, come evocano il maschio e la femmina di colore, che appaio dal fondo nero con lo sfavillio degli sguardi, ricordando allo spettatore avveduto la natura primordiale della pulsione erotica. A giudizio di Maurizio Bernardelli Curuz, il quadro è la trasposizione, in positivo, di un antico proverbio latino – molto diffuso nel medioevo e nel Rinascimento- : Sine Bacco et Cerere friget Venus, senza vino (Bacco) e pane (Cerere) l’amore (Venere) non si scalda. Qui l’artista mette tutto disposizione dell’eros, quel cibo e quel nettare che sono in grado di accendere la coppia. La vecchia Cerere, alla quale un anziano impougna il seno, è accanto a uno sguaiato Bacco canterino. Sul tavolo appaiono, affiancati, pane e un bicchiere di vino, mentre al centro appaiono tre simboli sessuali: il fico aperto – la natura della donna – e la trasposizione del sesso maschile – testa d’aglio e piedino di porco -.
Si discostano da questo tipo di rappresentazioni, pur se mantengono una natura sensuale, specie quando il frutto viene semiaperto, le nature morte che presentano i fichi in semplice associazione con l’uva e le castagne, rappresentazione pittorica che ricorda più semplicemente la stagione autunnale.
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…Vorrei aggiungere che nella rappresentazione di Adamo ed Eva della cappella Sistina Michelangelo inserisce appunto il fico come albero a cui si avviluppa il serpente-donna, e direi anche i frutti che sta passando a Eva….