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Finestre, vetri, labirinti di luce lattiginosa. Il pittore esistenzialista che precedette Hopper. Il video


La linea della finestra malinconica, dalla quale una luce polverosa e diffusa si appoggiava sugli oggetti e sull’umanità, suscitando nello spettatore un senso profondo di malinconia, giunse direttamente dai Paesi Bassi. Ben prima di Vermeer che rese la luce delle finestre urbane come impossibili affacci sul paesaggio, come diffusori di una luminosità piena di struggente e insanabile malinconia, giacchè nulla uàò essere cercato, se non l’accettazione della propria condizione. Anche in Hopper niente può salvarci. Nè lo sta stare, né il fuggire. Né frantumare l’involucro vitreo di cui siamo prigionieri, poichè non c’è luogo in cui la nostra anima sappia dirigersi. Non c’è più nemmeno l’urlo di terrore di Munch. La linea nordica, che poi giunge ad Hopper per essere perfezionata in chiave metropolitana, apparve precocemente nella pittura dei Paesi Bassi, come in Van Eyck, almeno fin da Quattrocento.

Jan Van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434, olio su tavola, 81,8×59,7 cm. Londra, National Gallery

 
Jan Vermeer, 1657 circa, olio su tela, 83×64,5 cm, Gemäldegalerie, Dresda

Comunque sia queste inquietudini degli ambienti piccolo borghesi, privi di vie di fuga, questo tedio mortale non esistono o sono assai rare nella pittura Italia antica. Le finestre presenti nei quadri italiani, almeno fino all’Ottocento, generalmente inquadrano un paesaggio, in grado di portare il giusto tono emotivo al dipinto. Dramma, vero e secco. O redenzione. O consolazione.Forse quella polvere inquietante è visibile ne La vocazione di San Matteo del Caravaggio. Ma Cristo è giunto per chiamare tutti all’esterno e salvare l’uomo dal nulla.
Proprio grazie al successo di Hopper, negli ultimi decenni è stato notevolmente recuperato un suo precursore, un pittore malinconico e nichilista danese che dipinse interni e finestre, finestre e interni, corridoi che finivano con finestre, con labirinti domestici. E ancora vetri chiari, interni fantasmatici con riflessi vitrei, magari sovrapposti. Vilhem Hammershoi era nato nel 1864 a Copenaghen. Aveva studiato disegno dall’età di otto con Niels Christian Kierkegaard e Holger Grønvold, oltre la pittura con Vilhelm Kyhn, prima di iscriversi alla Royal Danish Academy of Fine Artes. I dipinti di grande atmosfera di Vilhelm Hammershøi, sia esterni che interni, sono avvolti da una luce malinconica che rischiara stanze belle e scarsamente arredate. Appare spesso anche la figura di una donna sola. anche la figura di una donna. I suoi colori e le tecniche pittoriche scelte sottolineano la natura introversa e contemplativa della sua arte. Hammershøi ha ricevuto, durante la propria attività riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, ma dopo la morte, nel 1916, è stato un dimenticato. Tuttavia, dagli anni ’80, i suoi dipinti sono diventati popolari e oggi è uno degli artisti scandinavi di questo periodo più riconosciuti a livello internazionale, proprio perchè egli appare come un precedente notevole di Hopper.
Abbiamo in precedenza menzionato il primo maestro di Hammershøi, quel Niels Christian Kierkegaard (24 settembre 1806 – 14 agosto 1882) che non fu soltanto disegnatore e litografo, ma soprattutto cugino del filosofo Søren Kierkegaard, considerato il primo esistenzialista. Secondo l’esistenzialisma, il punto di partenza dell’individuo è caratterizzato da ciò che è stato definito “l’atteggiamento esistenziale”, o un senso di disorientamento, confusione o terrore di fronte a un mondo apparentemente privo di significato o assurdo. La pittura del danese ne pare la diretta emanazione.