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Giuseppe Porta il Salviati – Quotazioni gratis del grande pittore che unì Firenze a Venezia


Giuseppe Porta detto il Salviati (1520-1525-1575),  Pallade ed Ercole, Olio su tela, Venezia, Biblioteca Marciana. Tra i tondi che adornano la sala anche quelli del Veronese Sotto il profilo semantico e iconologico porta Salviato sottolinea, tanto nella guarra quanto nella contesa dotta tra gli studiosi, il ricorso all'intelligenza e all'uso di argomenti forti e mirati - il cannoni - contro la brutalità dannosa e disordinata di Ercole
Giuseppe Porta detto il Salviati (1520-1575), Pallade ed Ercole, Olio su tela, Venezia, Biblioteca Marciana. Tra i tondi che adornano la sala anche quelli del Veronese e di Tintoretto. Sotto il profilo semantico e iconologico Porta Salviati sottolinea, tanto nella guerra quanto nella contesa dotta tra gli studiosi, il ricorso all’intelligenza e all’uso di argomenti forti e mirati – il cannone – contro la brutalità dannosa e disordinata di Ercole

 

Giuseppe Porta detto il Salviati (1520-1525-1575),  Arte, Mercurio e Plutone, Olio su tela, Venezia, Biblioteca Marciana. Il significato del tondo costituisce una triade legata alla fortuna economica. L'applicazione e la tecnica (rte), condotta dall'intelligenza del commercio (Mercurio) conducono allraggiungimento di Plutone, dio dell'Ade e conservatore dei metalli preziosi. L'allegoria presenta un secondo livelli legato all'alchimia. Attraverso l'applicazione -arte - dell'alchimia - Mercurio - è possibile giungere all'oro della conoscenza e della ricchezza
Giuseppe Porta detto il Salviati (1520-1575), Arte, Mercurio e Plutone, Olio su tela, Venezia, Biblioteca Marciana. Il significato del tondo costituisce una triade legata alla fortuna economica. L’applicazione e la tecnica (Arte), condotta dall’intelligenza del commercio (Mercurio) conduce al raggiungimento di Plutone, dio dell’Ade e conservatore dei metalli preziosi. L’allegoria presenta un secondo livello legato all’alchimia. Attraverso l’applicazione -arte – dell’alchimia – Mercurio – è possibile giungere all’oro della conoscenza e della ricchezza (Plutone)

 

 

Giuseppe Porta detto il Salviati (1520-1525-1575),  La Virtù spezza la Fortuna, Olio su tela, Venezia, Biblioteca Marciana.  Di semplice lettura, il dipinto ricorda che grazie alla serietà, alla costanza, al lavoro e all'impegno è possibile vincere sull'aletorietà della Fortuna, che generalmente non premia i virtuosi, ma che deve essere sottomessa
Giuseppe Porta detto il Salviati (1520-1575), La Virtù spezza la Fortuna, Olio su tela, Venezia, Biblioteca Marciana. Di semplice lettura, il dipinto ricorda che grazie alla serietà, alla costanza, al lavoro e all’impegno è possibile vincere sull’aleatorietà della Fortuna, che generalmente non premia i virtuosi, ma che deve essere sottomessa degli stessi con una faticosa applicazione

 

Lucchese d’origine, tosco- romano nella formazione, allievo di Francesco Salviati, che a sua volta, era cresciuto agli esempi di Michelangelo, Raffaello, Andrea del Sarto, assumendo anche modelli bronziniani e del grande Manierismo toscano, Giuseppe Porta detto il Salviati, il Salviatino o il piccolo Salviati, nacque a Castelnuovo di Garfagnana nel 1520 e morì a nel 1575 a Venezia, divenuta sua città d’adozione. Lodato, tra gli altri da Vasari, che ne Le vite gli dedica un’ampia disamina, da Bernardo e Torquato Tasso, da Sansovino e da numerosi altri grandi personaggi dell’epoca, ebbe il merito di fondere, a Venezia, i modi centro-italici con le tradizioni pittoriche venete. Operò anche accanto al Veronese, a Tiziano e a Tintoretto. La sua importanza è dimostrata anche dal fatto che, tra tutti gli altri pittori veneti, fu chiamato da Giulio Camillo a realizzare dipinti – dei quali oggi non resta più traccia – per il Teatro della Memoria.


Grazie all’intercessione di un parente, ben inserito negli ambienti politico-culturali, riuscì ad approdare, come allievo, alla bottega del celebre Francesco Salviati, in onore del quale decise di assumere proprio “Salviati” come nome d’arte. Nel 1535 era a Roma assieme al maestro, dove si dedicò alla decorazione esterna delle facciate di vari palazzi; è in questo periodo che i due poterono studiare da vicino le opere di Raffaello: sarà questo un fatto centrale in quella definizione di maniera che così come stabilita dai due artisti di concerto al Vasari guarderà alla maniera dello stesso Raffaello oltre che di Michelangelo.

Nel 1539 il Porta lasciò Roma per recarsi prima a Firenze (dove ebbe appunto a conoscere il Vasari), poi a Bologna e quindi, nel luglio dello stesso anno a Venezia. Venezia fu il luogo in cui scelse di vivere e di operare.

Il suo primo lavoro autonomo fu quello che gli garantì la maggior fama, ovvero l’incisione posta a frontespizio del volume “Le sorti intitolate giardino d’i pensieri”, libro divinatorio pubblicato da Francesco Marcolini nel 1540, di cui il Porta curò anche le illustrazioni interne: tali vignette formavano un repertorio di tipi e di situazioni figurative a cui si ispirarono i maestri della nuova generazione (Tintoretto, Bassano, ecc.); lo stesso frontespizio, di per sé, è da molti studiosi considerato un vero e proprio manifesto del Manierismo.

Alla partenza di Francesco Salviati, nel 1541, il Porta cominciò a dedicarsi con maggior costanza alla decorazione di palazzi veneziani, tra cui Palazzo Loredan (San Marco) a S. Stefano. “Nel palazzo di San Marco – scrive Vasari – ha dipinto nella sala del doge le sibille, i profeti, le virtù cardinali e Cristo con le Marie, che gli sono state infinitamente lodate. E nella già detta libraria di San Marco, fece due storie grandi, a concorrenza degli altri pittori di Vinezia” Fu in quel periodo e in quel luogo che, infatti, che lavorò alla splendida Sala della Libreria della Biblioteca Marciana assieme, fra gli altri, al Veronese ed al Tintoretto: sono del pittore castelnuovese una delle file di tondi del soffitto ed un Prometeo sulla parete destra.

Nel 1548 gli venne commissionata per la Basilica dei Frari la pala d’altare “Presentazione di Gesù al Tempio”. Nel 1565 il Porta tornò a Roma per completare gli affreschi Vaticani, lasciati incompiuti dal maestro Francesco Salviati; nell’anno successivo venne eletto membro effettivo dell’Accademia del Disegno a Firenze. Tornato a Venezia, fu chiamato ad affrescare un soffitto di Palazzo Ducale, oggi sfortunatamente perduto. Negli ultimi anni si dedicò prevalentemente a studi di matematica. Ebbe anche interessi alchimistici e architettonici, lavorando graficamente sui capitelli. Alcune opere di Palladio furono sottoposte dallo steso autore a Port Salviati per riceverne un giudizio.

 

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GIUSEPPE PORTA  IL SALVIATI, NELLA TESTIMONIANZA CRITICA E BIOGRAFIA DI GIORGIO VASARI

Andrea Vasari, Vite, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568:  “Fu allievo di Francesco Salviati Giuseppo Porta da Castel Nuovo della Garfagnana, che fu chiamato anch’egli per rispetto del suo maestro, Giuseppo Salviati. Costui giovanetto, l’anno 1535 essendo stato condotto in Roma da un suo zio, segretario di monsignor Onofrio Bartolini arcivescovo di Pisa, fu acconcio col Salviati, appresso al quale imparò in poco tempo, non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente. Andato poi col suo maestro a Vinezia, vi prese tante pratiche di gentiluomini, che essendovi da lui lasciato fece conto di volere che quella città fusse sua patria, e così presovi moglie, vi si è stato sempre et ha lavorato in pochi altri luoghi che a Vinezia. In sul campo di S. Stefano dipinse già la facciata della casa de’ Loredani di storie colorite a fresco molto vagamente, e fatte con bella maniera; dipinse similmente a San Polo quella de’ Bernardi, et un’altra dietro a San Rocco, che è opera bonissima. Tre altre facciate di chiaro scuro ha fatto molto grandi, piene di varie storie: una a San Moisè, la seconda a San Cassiano e la terza a Santa Maria Zebenigo. Ha dipinto similmente a fresco in un luogo detto Treville, appresso Trevisi, tutto il palazzo de’ Priuli, fabrica ricca e grandissima, dentro e fuori, della quale fabrica si parlerà a luogo nella vita del Sansovino”.


“A Pieve di Sacco ha fatto una facciata molto bella et a Bagnuolo, luogo de’ frati di Santo Spirito di Vinezia, ha dipinto una tavola a olio, et ai medesimi padri ha fatto nel convento di Santo Spirito il palco, o vero soffittato del loro refettorio, con uno spartimento pieno di quadri dipinti, e nella testa principale un bellissimo cenacolo. Nel palazzo di San Marco ha dipinto nella sala del doge le sibille, i profeti, le virtù cardinali e Cristo con le Marie, che gli sono state infinitamente lodate. E nella già detta libraria di San Marco, fece due storie grandi, a concorrenza degli altri pittori di Vinezia, de’ quali si è ragionato di sopra. Essendo chiamato a Roma dal cardinale Emulio, dopo la morte di Francesco, finì una delle maggiori storie che sieno nella detta sala dei re, e ne cominciò un’altra, e dopo essendo morto papa Pio Quarto, se ne tornò a Venezia, dove gli ha dato la Signoria a dipignere in palazzo un palco pieno di quadri a olio, il quale è a sommo delle scale nuove. Il medesimo ha dipinto sei molto belle tavole a olio: una in San Francesco della Vigna, all’altare della Madonna; la seconda nella chiesa de’ Servi all’altar maggiore; la terza ne’ fra’ minori; la quarta nella Madonna dell’Orto; la quinta a San Zacaria e la sesta a San Moisè, e due n’ha fatto a Murano, che sono belle e fatte con molta diligenza e bella maniera. Di questa Giuseppe, il quale ancor vive e si fa eccellentissimo, non dico altro per ora, se non che, oltre alla pittura, attende con molto studio alla geometria, e di sua mano è la voluta del capitel ionico che oggi mostra in stampa come si deve girare secondo la misura antica; e tosto doverà venire in luce un’opra che ha composto delle cose di geometria. Fu anche discepolo di Francesco un Domenico Romano, che gli fu di grande aiuto nella sala che fece in Fiorenza, et in altre opere, et il quale sté l’anno 1550 col signor Giuliano Cesarino e non lavora da sé solo”.

 

GIUSEPPE PORTA

 

DETTO

 

IL SALVIATI

 

NOTIZIE BIOGRAFICHE E ARTISTICHE

RACCOLTE

DA GIUSEPPE CAMPORI

 

MODENA 1871.

 

 

 

 

Vol VI degli Atti e Memorie delle Deputazioni di Storia patria
per le provincie modenesi e parmensi.

 

Della vita e dello opere di codesto valente pittore del XVI secolo
discorse il Vasari con succinta e fedele narrazione, e allo storico aretino
tennero dietro il Ridolfì, il Boschini, il Zanetti ed altri infìno al vivente
Carlo Bla ne che ne descrisse la vita nella sua Histoire des peìntres.
Noi verremo compendiando le notizie date dai predetti scrittori, commen-
tandole ed aggiugnendovi quanto di nuovo ci occorse di rinvenire in
queil’ argomento.

Nacque il Porta in Castelnovo di Garfagnana e in età giovanile
da un suo zio, segretario di mons. re Onofrio Bartolini arcivescovo di Pisa,
fu condotto a Roma nel 1523 ed ivi posto alla scuola di Francesco Rossi
detto il Salviati pittore fiorentino, donde venne a lui pure il soprannome
di Salviati. Fece egli così rapidi avanzamenti nell’arte, che il maestro
lo prese in affezione e se lo associò nei viaggi e nei lavori che prese a
fare in Bologna, in Firenze e in Venezia. In quest’ ultima città dove
venne la prima volla nel 1839, per quanto scrive il Ridolfì, invitatovi
da Federico Priuli ad istigazione del Sansovino: trovò così lieta accoglienza
e così larga copia di commissioni che vi fissò la dimora e vi prese moglie,
separandosi dal maestro che dopo aver compiuto i lavori per cagione dei
quali era stato chiamato, fece ritorno a Roma.

La pratica falla dal Porta col maestro suo di dipingere grandi storie
a fresco, gli riesci molto utile in Venezia dove era invalso l’uso di colo-
rire di tal maniera le muraglie esteriori delle case. Così dipinse la fac-
ciala del Palazzo Loredano a Campo S. Stefano, quella del palazzo
Bernardi a S. Polo, e una casa dietro S. Rocco, opera bonissima dice il
Vasari. Parimente a fresco di chiaroscuro fece varie istorie in S. Moisè,
in S. Cassiano e in S. Maria Zobenigo e così a Treville presso Treviso
tutto il Palazzo de’ Priuli dentro e fuori, e una facciata molto bella a
Piove di Sacco. Le quali opere, a cagione dell’aria salina del mare, del
tempo, della negligenza e delle intemperie, sono quasi in tutto perite.
Ma in Venezia il Porta imparò non solo la maniera buona del colorire,
ma sì ancora la velocità nell’eseguire; imperocché, oltre gli affreschi
sopraccennati, vi condusse quadri in tela in gran numero per chiese e
per luoghi pubblici e privati, dei quali ha dato contezza il Vasari in
precedenza d’ ogni altro. E dei primi che egli dipinse dopo il suo arrivo
a Venezia, discorre quello storico come segue: « A Bagnolo luogo di frati
di Santo Spirito di Venezia ha dipinto una tavola a olio, ed ai medesimi
Padri ha fattoo nel Convento di Santo Spirito il palco ovvero soffittato
del loro Refettorio con uno spartimento pieno di quadri dipinti e nella
testa principale un bellissimo cenacolo. Nel Palazzo di S. Marco ha
dipinto nella sala del Doge le sibille, i profeti, le virtù cardinali e Cristo
con le Marie che gli sono slate infinitamente lodate, e nella già detta
Libreria di S. Marco fece due storie grandi a concorrenza degli altri
pittori di Venezia » (i).

Sopravvenuta nel 1563 la morte di Francesco Salviali in Roma, fu
egli invitato dal cardinale Marc’Antonio Amulio ad andare a finire l’opera
lasciata abbozzata dal maestro. E andatovi, colorì la grande storia nella
Sala regia in Vaticano dove è rappresentalo Federico Barbarossa che nella
piazza di S. Marco s’inginocchia dinanzi Alessandro III, per la quale
ebbe, dice il Ridolfì, mille scudi in dono dal Papa, e ne incominciò un’altra
come scrive il Vasari che non ci lascia sapere se la finisse. Accaduta
poscia la morie del Pontefice Pio IV, il Porta volle tornare a
Venezia donde, per quanto pare, non si allontanò più se non per brevi
intervalli di tempo. In quella ci Uà , prosegue a dire il Vasari,
gli si diede “a dipingere in palazzo un palco pieno di quadri a olio, il quale è a
sommo della scala nuova. Il medesimo ha dipinto sei mollo belle tavole
a olio, una in San Francesco della Vigna all’altare della Madonna, la
seconda nella Chiesa de’ Servi all’altare maggiore, la terza ne’ Frati
Minori, la quarta nella Madonna dell’Orto, la quinta a S. Zaccheria e
la sesta a S. Moisè, e due ne ha Murano che sono belle e falle con
molla diligenza e bella maniera ».

Allorché il Vasari pose queste parole nella seconda edizione della
sua opera, il Porta era tuttavia vivente, né egli aveva inteso di enume-
rare tutte le opere di lui, ma quelle soltanto che giudicavansi le migliori
e che erano venule a sua cognizione; così noi suppliremo alla mancanza
seguendo le indicazioni dei posteriori scrittori, e forniremo opportuni
schiarimenti al racconto del Vasari slesso.

Delle pitture fatte dal Porta in Venezia ragionarono il Ridolfi, il Bo-
schini, il Zanetti e i compilatori delle Guide. E primieramente quanto
agli affreschi esteriori di cui diede conto il Vasari, il Ridolfi che scriveva
verso la metà del XVII secolo quando quei dipinti si trovavano in istato
di buona conservazione, ne porge un 1 accurato ragguaglio e ad esso rimet-
tiamo il lettore che fosse vago di conoscerne gli argomenti. Noteremo
solamente che gli affreschi della sala nel Palazzo di Treville figuranti la
caduta della manna; portano il nome del loro autore scritto in questa forma:
JOSEPH CARFAGNINVS ANNO 1542.

Segue il Ridolfi a registrare le pilline lavorate da esso Porta per le
chiese di Venezia, cioè: in S. Maria Zobenigo un” Annunziazione all’aliar
maggiore che lutlavia sus^ste ; altro quadro di consimile argomento nella
chiesa dell’ Ospedale degl’Incuràbili citala ancora dal Sansovino (I) e dal
Moschini (2): l’Assunzione della Madonna nella chiesa de’ Servi trasportata
poscia a S. Maria de’ Frari in sostituzione della celebre tavola di Tiziano
dello slesso argomento passala alla Pinacoteca dell’ Accademia: la Purifi-
cazione della Vergine con cinque santi più grandi del naturale e due
figure a fresco del Cristo e di Madalena ai lati dell 1 aliare in cui è col-
locala, nella chiesa suddetta. “Opera, dice il Boschini, la più bella che
facesse » (3); elogio confermalo dal Zanetti che la proclama « opera di
gran carattere, di gran forza e calore e di molta dottrina (4). Sfortunata-
mente essa ebbe a provare i danni del tempo e dei ritocchi e nel presente

 

(1) Venetia città nobilissima edizione del 1663 nelle addizioni a p. 2″2.

(2) Guida di Venezia.

(3) Miniere della pittura.

(i) Pittura Veneziana, p. 175.

secolo fu nuovamente ristaurata dal pittore Gaetano Astolfoni (1). Il quadro
del Salvatore con i SS. Cosma, Damiano, Zaccaria e Battista nella chiesa
di S. Zaccaria, che vi sta tuttora. Due quadri in S. Francesco della Vigna,
uno rappresentante la Madonna col Bambino, S. Bernardo e S. Antonio,
ridipinto da altra mano, con due figure a fresco di un profeta e di una
sibilla ai lati dell’altare; l’altro dei santi Gio. Battista, Jacopo, Girolamo
e santa Caterina, che vi si trovano anche presentemente. Finalmente delle
due tavole fatte per l’isola di Murano, ricordale anche dal Vasari, oggi
non rimane che la Deposizione di croce nella chiesa di S. Pietro martire
riputata, scrive il Ridolfi, delle opere sue migliori, essendo condotta
con belli e naturali effetti, benché paia ad alcuni, che “Giuseppe (Porta)
troppo si obligasse a’ modelli che far soleva di stracci, formandovi ogni
sentimento del corpo”.

1 dipinti da esso condotti nel soffitto del refettorio dei frati di
S. Spirilo, mentovali dal Vasari, furono trasportati nella chiesa e nella
sagrestia di S. Maria della Salute. Veggonsi infatti nei soffitti del coro
le tre grandi storie della caduta della manna, dell’Elia con l’Angelo e
dell’ Abacucco che conforta Daniele nel lago dei leoni: e nella sagrislia
il Trionfo di David vasta composizione divisa in due parti e la Cena.

Dipinse ancora il Porta la volta della sala dinanzi al Pregadi nel
Palazzo ducale, opera che gli procacciò un compenso di 600 ducali e
che fu poscia distrutta da un incendio (3). E nella sala vecchia del doge
eranvi pure di suo pennello, per testimonianza del Ridolfi di cui trascrivo
le parole: «quattro figure dentro alli scudi ducali, la Fede, la Carità,
l’Abbondanza, la Pace, con le armi del Doge Donalo, ed un pietoso
Crocefisso con Nostra Donna e S. Giovanni piangent, dalle parti, e la
Maddalena a piedi; alcune sibille sopra i balconi nel cortile e due bam-
bini sopra d’una porta ». Di tutti questi lavori, dal Crocefisso in fuori,
ora collocato nella chiesa de’ SS. Gio. e Paolo, non rimane più traccia.
Le Guide moderne però accennano come opere del nostro pittore una
Madonna e quattro piccoli ritratti nella camera degli stucchi e due figure
del Salvatore e della Vergine colorite a olio di fianco all’affresco del

 

(1) Soravia Chiese di Venezia, II, 21.

(2) Meschini La Chiesa e il Seminario di S. Maria della salute p. 37.

(3) Questa pittura fu descritta da Fr. Zanni in esametri latini stampali in Venezia dal
(ìiolilo nel 1 o 6 “7 con questo titolo: Explicatio picturae quam naperrime losephus Salviatus
Veneliis in aula ducali eaarurit.

 

S. Cristoforo di Tiziano nella chiesetta ili detto Palazzo. Furono parimente
dipinti dal Porta tre comparti nel soffittoo della Libreria
vecchia di S. Marco, che gli furono pagati sessanta ducati (l): in uno vi
è la Virtù che deride la Fortuna; nell’altro Mercurio
e Plutone, nel terzo varie figure e una in particolare della Milizia che
al dire del Ridollì pare impastata di viva carne. Queste tre pitture furono
tolte dai luoghi loro nel 1866 e portale a Vienna (2): vennero poscia
restituite.

Alle opere citate dal Ridollì aggiungane! (quadri con argomenti
della Passione nelle pareti della cappella del Sacramento in S. Polo,
quattro Sibille in altra cappella di S. Maria Zobenigo e il Battesimo di
G. C-. già nella Chiesa di S. Caterina di Mazorbo, ora nella Pinacoteca
dell’ Accademia. Il Sansovino (3) nomina la pala dei mercanti da vino in
S. Silvestro, la quale scomparve nel 1838 allorché si dette mano al ri-
stauro della chiesa e 1′ altra nella cappella Giustiniani in S. Moisè scom-
parsa anch’essa probabilmente nell’ occasione che si ricostruì quella
chiesa verso la metà del seicento, giacché il Boschini nelle sue Ricche
miniere, della pittura stampate nel 1674 non ne fa menzione.

Passando ora a dare ragguaglio dei lavori eseguiti in Venezia dal
Porta per conto di privali, incominceremo da quelli notati nell’ opera
del Ridolfi, cioè: gli sponsali di S. Caterina martire in casa Loredana da
S. Stefano; una tela con più figure in casa Contarini da S. Samuele;
una presso il cav. Cussoni ; una simile presso i Soranzo da S. Polo
e un Salvatore che va al Calvario accompagnato dalle Marie, picciol quadro
posseduto da Francesco Bergoncio. Il Boschini poi menziona un Redentore
in casa del S. Andrea Trevisani in Murano di cui egli scrive che
a Mezo Muran no’ paga el so valor»; una Madonna presso il Barone
Tassis che possedeva molte altre pitture di questo artista; Amore e Psiche
in casa Grimani (6) e una Betsabea nella Galleria di Paolo del Sera che
fu poi acquistata dal Principe Leopoldo di Toscana (6). Finalmente non

 

(1) Zanetti Op. cilala.

(2) Ceresole, La verité sur les depredations autrichiennes p. 33.

(3) Op. cil. p. 185.

(4) Carla del navegnr piloresco.

(d) Qui il Boschini s’inganna: l’Amore e Psiche è opera di Francesco Salviati, il maestro
del Porta.

(6) Questo dipinto che si vede oggi nella Galleria degli Uffizi in Firenze, si trova segnalato
in un antico Inventario dei quadri esistenti nel Palazzo del Granduca che si conserva nella
Magliabechiana nel modo seguente: « Betsabea figura intiera a sedere coperta con sola camicia
sta lavandosi i piedi, e due femmine che la servano, alla braccia 1 à, larga b. 1 f. »
è da commettersi il bellissimo quadro con pittura rappresentante la Sapienza
e la Fortuna con diverse ghirlande da Lui offerto in dono all’ Accademia
Peregrina alla quale era ascritto (1) e la testa d’uomo segnata nel Cata-
logo dei quadri di Maffeo Pinoli posti in vendila in Venezia. Ignoro la
sorte di questi dipinti dei quali non trovo ulteriore memoria, all’infuori
della Bersabea; né altri ne trovo che ora si possano assegnare al nostro
pittore in Venezia, se non il soffitto di una stanza nel Palazzo Grimani
da S. Maria Formosa, nel quale si figura una disputa fra due divinità
per dare il nome ad Atene (2).

Il Porta somministrò non pochi cartoni ai maestri del musaico per
la chiesa di S. Marco e sovra quelli furono eseguite le storie seguenti:
la Risurrezione di Lazzaro, il Cristo in croce, la Madonna deposta nel
monumento, i profeti David e Isaia, una Visione dell’Apocalissi, il
S. Michele che combatte il Dragone, il lebbroso risanato, il figlio della
Vedova di Naim, la Cananea risanala, e il gran quadro della Genealogia
della Madonna eseguita in musaico dal Bozza. (3).

Niente possiamo aggiugnere a ciò che è noto della grand’ opera fatta
da lui in Roma nella sala regia del Valicano dove ritrasse la storia della
riconciliazione di Federico Barbarossa con la Chiesa. Solo noteremo che
il Cancellieri (4) assegna al Porta anche un piccolo quadro contiguo al-
l’ altro, mentre il Chatlard lo dice incomincialo da Francesco Salviati e
finito da Giuseppe Porta.

Nella dedicatoria della sua Regola per fare la voluta jonica stampata
nel 1532, il Porta scriveva: «Già sono undici anni che mi ritrovava in
Padova a fare alcune pitture ». Egli vi era dunque nel 1541, e parecchio
delle sue pitture si vedono registrale nelle guide di quella città. Il Ros-
selli (5) notava siccome lavori di lui, i due quadri con le figure
dogli apostoli Paolo e Andrea nelle pareti della nave di mezzo in S. Fran-
cesco, che nella Guida posteriore del Moschini si dicono in estremo depe-
rimento; e un ultima Cena in S. Giustina che ora si vede nel Palazzo
vescovile. Un altro quadro dello stesso autore si nota dal Brandolese (7)

 

(1) La Zucca del Doni Ven. 156’i p. 13!>.

(2) Noie alla edizione veneta della Storia della pittura del Lanzi.

(3) Guida di Venezia ecc.

(&) Descrizione delle Sale regia e ducale p. 13.

(5) Nuova descrizione del Vaticano p. 13.

(6) Descrizione delle pitture e sculture di Padova 2. a edizione del 1776.

(7) Pitture, sculture, architetture di Padova 179!) p. 106.

 

nell’ altaar maggiore delia chiesa della Misericordia, il quale rappresenta
la Madonna col Bambino e nel piano S. Sebastiano, S. Gio. Battista ed altri santi.
Il Meschini (1) ci fa conoscere l’esistenza nel Palazzo Selvatico di tre grandi bellissimi quadri dello stessi»
con tre fatti della vita del Battista. Finalmente due tele figurano l’Annunziazione della
Madonna si vedono ora nella Quadreria Municipale di detta città (2).

In Milano nota il Casella (3) due pregevoli (col martirio di
S. Eufemia nella chiesa dedicata ad essa santa, le quali, egli crede, siano
le stesse che furono accennate dal Lattuada come esistenti nella sagrestia
e che altre volte servivano per posterie da organo (4). Due altri dipinti
del medesimo erano annunziati dai Santagostini (5) nelle imposte dell’or-
gano della chiesa di S. Nazaro di della città, dove da una parte era
dipinta la Conversione di S. Paolo e la caduta di Simon Mago dall’altra (G);
ma di questi non troviamo altra memoria. In Bergamo gli si attribuisce
un Cristo nel sepolcro nell’Accademia Carrara (7).

Molto rare sono le opere del Porta fuori a l’ Italia. La Galleria di
Dresda ne ha un quadro di un Cristo morto sorretto da angeli che il
Tiraboschi e il Lanzi dissero proveniente dalla Galleria di Modena, sebbene
il nome di lui non apparisca nell’elenco degli autori dei cento quadri
venduti dal Duca Francesco III all’ Elettore di Sassonia. La Galleria del
Louvre mostra pure un dipinto di lui che rappresenta Adamo ed Eva dopo
il peccato, pervenutovi dalla Collezione del Duca d’ Orleans. Così il Sacri-
fìcio antico che si trova contraddistinto col suo nome nel Catalogo della
Galleria dell’ Eremitaggio in Pietroburgo dell’anno 1774, sarà ancora verosimilmente
al suo luogo. Finalmente si attribuisce allo stesso autore una
bella figura intera simbolica di donna esistente nella Galleria di Modena,
Troviamo pure memoria di altre pitture del Porta perdute o attribuite ad altri.
La quadreria Canonici di Ferrara distrutta da un incendio
nel 1638, ne possedeva un Giudizio di Salomone con una copia fattane

 

(1) Guida di Padova p. 188.

(2) Selvatico Guida di Padova 1869 p. 302.

(3) Nuovo ritratto di Milano 1827 p. 89.

(4) Descrizione di Milano, III. 81.

(5) Catalogo delle pitture insigni di Milano, 1723 p. 68.

(6) Catalogo delle pitture insigni di Milano, 1728 p. 68.

(7) Servitor di piazza 1825 p. 62.

(8) Dizionario di erudizione ecc. T. XLV1I p. 275,
La Galleria del Duca d’Orleans, oltre il quadro
che ora è nel Museo del Louvre, n’aveva un allro figurante il Ratto delle
Sabine al naturale, passato probabilmente in Inghilterra con la maggior
parte dei dipinti di quella celebre collezione. Una Deposizione di croce
era pure collocata nella cappella della famiglia d’ Orleans nella Chiesa
de’ Celestini in Parigi, la quale venduta per 34 ghinee passò in Inghil-
terra (3). Sono parimente perduti quei sei pezzi di pittura a guisa d’arazzi
che formavano un apparato da stanza assai grande con sei favole della
vita di Giasone e varii fregi all’ intorno, opera descritta e lodata dal
Boschini (4) e dallo Scandii che la vide nel palazzo ducale di Modena (b).
Questi arazzi furono acquistati dall’ ambasciatore estense Gio. Pietro Codebò
in Venezia 1′ anno 1G50 per conto del duca Francesco I. (6).
Lo Scanditi encomia in particolar modo una di
queste favole figurante una battaglia « che al sicuro, dice egli, non meno
del dissegno, che della più bella verità, non si può desiderare inventione
espressa con maggior spirito e naturalezza : e quando non fosse nella
Lombardia altra sua opera, questa essendo una delle più eccellenti,
e’ habbia mai fatto, dichiara per se stesso in ogni lempo la vaglia di così
compito Maestro ». Il Tiraboschi dice che essi eransi conservati fino ai
suoi giorni, ma che essendo stali lavali e ritoccati più non vi rimaneva
del Porta che il contorno delle figure (7).

Molto rari sono pure i disegni di sua mano pervenuti infino a noi.
Due di gran pregio si nolano nel Trésor de la Curiosité del Blane. Il
primo della Purificazione della Vergine, pensiero del quadro che è nella
chiesa de’ Frari, il quale aveva appartenuto a Rubens che lo ristaurò, e
passato poscia in potere del Crozal, fu venduto dopo la morie di questo
celebre amatore. L’ allro figurante la Circoncisione con l’oroscopo del
Salvatore, posseduto e restaurato esso pure dal Rubens e messo in vendita
a Parigi con la collezione Miran nel 1823. Un disegno del Porta era
nella raccolta di cose d’arte del conte Algarotli. E nove ne tiene la
Galleria degli Uffizii in Firenze.

 

(1) Raccolta di Cataloghi ecc.

(2) Sarebbe forse questo Ralto lo slesso mentovalo solto il titolo di un Bagno di donne
nel Catalogo dei quadri della Regina di Svezia, dove si dice non finito, ma assai bello?

(3) Le Cabinet de l’amateur Paris 1846 Vol. IV

(4) Funerale fatto da la pitura Venetiana in morte d’ Almerico d’ Este p. 30.

(5) Microcosmo della pittura p 328.

(6) Lettera del Codebò del 29 aprile 1650 nel t * Archivio Palatino.
(1) Biblioteca Modenese VI, 305.

 

Un libro in foglio stampato in Venezia da Francesco Marcolini col
titolo di Sorti nel 1540, e con quello d’ Ingegnose Sorti ripubblicato nel
1550, il quale è una raccolta di quesiti a cui si risponde col mezzo di
carte da giuoco in cui sono figurale tutte le Sorti con le relative spie-
gazioni in terza rima, mostra il frontespizio intagliato in legno in forma di
quadro, opera di bella composizione ed eccellentemente disegnata, con una
tavoletta sottoposta nella quale leggesi: JOSEPH PORTA GARFAGNINVS.
Rappresentansi in essa varie figure parte sedute in terra sul davanti in
diverse altitudini intente a fare il giuoco delle Sorti; altre quattro figure
in piedi nel mezzo, una delle quali tiene una sfera armillare, ed altre in
distanza in piedi e sedute intorno a una tavola occupate anch’esse nel
giuoco medesimo. Nella pagina a tergo scorgesi l’intaglio di una porta
con cariatidi e il titolo dell’ opera nel mezzo, e di sotto il ritratto del
tipografo ottimamente disegnato. Dal vedersi il nome del Porta sottoposto
alla stampa del frontispizio, s’ indusse l’opinione eh’ egli fosse inventore
non solamente di quella, ma delle altre minori altresì sparse nel volume
e ancora ebe le avesse di sua mano intagliate. Né mancarono scrittori
che gli assegnassero altre somiglianti operazioni, cosicché il nome di
Giuseppe Porta andò ad aumentare la serie degli intagliatori italiani. Il
De Angelis sulla fede del Papillon novera una dozzina d’ intagli di cui
lo fa autore, cioè Profeti, Sibille, Psiche che scopre Amore dormiente,
un alchimista nel suo laboratorio, un Crocefisso col nome dell’ autore, e
la stampa delle Sorti (1) Il Brulliot si restringe ad attribuirgli una piccola
incisione in legno che porta il nome: IOSE. SAL. e l’anno 1555 e che
rappresenta Lucrezia seduta e circondata dalle sue donne nel momento
in cui Collatino e Tarquinio entrano nella stanza (2). Il Nagler riporta
‘accennata notizia correggendo la data errata 1555 in 1557 ed aggiugne che
quella slampa trovasi in un libro esemplare intitolato. Vera eccellenza di varie
sorte di ricami a cusire. Venetia Giovanni Ostans (1557) (3), e che delle inci-
sioni in legno di cui si compone quel libro, questa sola di Lucrezia appar-
tenga al Porta; la quale fu riprodotta in facsimile dal Weigel (Holzsclinitte
beriihmler Meisler). Prosegue a dire il Nagler che il nome di Giuseppe

 

(1) Notizie degl’ Intagliatori XIII, 171.

(2) Dictionaire des Monogrammes III, 101. Il disegno originale venne nelle mani del Crozat
e poscia in quelle del Manette.

(3) Codesto libretto fu ristampato nel 1567 in Venezia stessa dall’ Ostans col titolo La
vera perfetione del disegno di varie sorti di ricamo et di cucire ec. Due altre edizioni se ne
fecero pure in Venezia nel 158i e nel 1591. ( G. d’Adda Essai bibiiographique nella Gazelte
des BeauxArts XV. 352).
Salviati si vede anche nell’ incisione di un Cristo con Maria, Giovanni e
Madalèna in foglio grande (1). Ad onta di queste affermazioni noi incli-
niamo a credere che di tutte queste stampe solo il disegno appartenga al
Porta, o siano riproduzióni di opere sue a olio e a fresco, e che ad esso
non ispelti la qualificazione d’ intagliatore. Il Manette assegnando al
Porta il frontispizio e due altre stampe nel libro delle Soni, le giudica
però, quanto all’ intaglio, opera d’ altri (2). Lo Zani molto autorevole in
questa materia, tenne ferma opinione che il Porta non intagliasse, e il
Vasari che si diffonde nell’ enumerare i molti meriti del Porta suo con-
temporaneo anche nelle materie estranee all’arte, tace affatto di questa
sua supposta abilità. Né un minimo cenno ne dierono il Ridolfi e il
Boschini tanto prodighi anch’essi di lodi al pittore garfagnino; che anzi
il primo notando che tre disegni di lui, cioè il Cristo in croce nella sala
dei Dogi, L’istoria della Bibbia, le figure dei filosofi nel libro delle loro
vite e la Lucrezia sovraccennala, che era una delle storie da lui dipinte
nella facciala di casa Loredano, furono messe in istampa, non avrebbe man-
cato di soggiugnere che ciò fu fatto dall’ autore istesso, ove la cosa avesse
avuto alcun fondamento, o ne fosse rimasto memoria e tradizione. Donde
si dovrà concludere che non avendosi alcun argomento per ritenere come
opera del Porta gì’ intagli in legno che gli sono attribuiti, comecché
portino scritto il nome di lui, o perchè tratti da dipinti suoi o perchè
ne fornisse i disegni, egli non può essere annoveralo fra gì’ intagliatori.

Dei disegni e delle pitture del Porla oltre le sovraccennate, furono
intagliate le storie da lui dipinte nella Madonna della Salute, cioè la
caduta della manna nel deserto, Elia nudrito dall’ angelo, e Abacuc che
visita Daniele; due in tondo, il terzo in ovale da Andrea Zucchi per la
Raccolta del Lovisa. Le due prime furono riprodotte nella citata Vita del
Blanc, e il terzo nel libro Le Belle Arti in Venezia del Moschini. A lui,
non sappiamo su qual fondamento, attribuisce il Selva nella Dissertazione
di cui terremo parola più sotto, le statue e i bassorilievi che adornano
le tavole della traduzione di Vitruvio del Barbaro, stampata dal Marcolinì
in Venezia, nonché tutte intere le tavole alle pagini 268 e 260
di quella edizione. Il Marietle volle anche assegnargli i disegni delle
tavole che ornano la Raccolta di novelle fatta da Francesco Sansovino e

 

(1) Die Monogrammisten IV, 68.

(2) Abecedario IV 200. Quest’ aulore nota che sotto il frontespizio delle Sorli scorgesi il
monogramma SK ch’egli interpreta per Karolus; ma nei due esemplari da noi veduti di
questo rarissimo libro non ci è accaduto di rinvenirlo.

 

 

stampata in Venezia nel 1610; ma egli cadde certamente in equivoco,
perchè né il libro, come egli afferma, ne porge indicazione, né la maniera
del disegno è quella usata dal Porta. Forse diedero cagione all’equivoco le
Vite de 9 Filosofi di Diogene Laerzio di cui le tre edizioni di Venezia degli
anni 1602, 1606 e 1 GÌ 1 sono « adornate, come si legge nel frontispizio,
di bellissime et vaghe figure di Giuseppe Salviali accomodale a’ luoghi loro. »
Le quali figure sono le stesse che nel libro delle Sorti si vedono in testa
dei capitoli che pigliano nome dai filosofi antichi. Lo stesso autore diede
per opera di lui, alcuni paesi che si attribuiscono a Tiziano, altro paese con
un uomo seduto appresso una donna, di cui egli possedeva il disegno originale e che fu anche inciso
all’ acqua forte in Francia, e la presentazione
al tempio incisa a chiaroscuro a quattro colori dal P Andreani nel 1608.

Ma se abbiamo negato al Porta la qualità d’ intagliatore, non pos-
siamo contestargli il merito di una estesa cognizione delle scienze matematiche e architettoniche,
di cui diede saggio in un prezioso opuscolo
stampalo in Venezia dal Marcolini nel 1552 con questo titolo: Regola
di far perfettamente col compasso la voluta et il Capitello jonico et d’ ogni
altra sorte per Josephe Salviali ritrovata. Nella dedicatoria al celebre Daniele
Barbaro, l’autore racconta come trovandosi undici anni addietro in
Padova per ragione dell’ arte, impiegasse il tempo che gli sopravvanzava
al dipingere nello studio delie materie che hanno riferenza alle propor-
zioni e alla simmetria. E venuto ad investigare il metodo tenuto da
Vitruvio nella descrizione della voluta jonica, ne pensò uno nuovo che
da Sebastiano Serlio cui lo comunicò in Venezia eli fu lodalo, come il
migliore di quanti si erano immaginati fino allora. Ma essendosi egli avve-
duto dopo qualche tempo che un suo discepolo gli aveva rubato il disegno,
si deliberò di farlo pubblicare per le stampe. Il Barbaro cui il Porta
aveva dedicato il suo tratlatello adottò il metodo da lui proposto con lievis-
sime variazioni; ma nella versione italiana del suo Commentario a Vitruvio
pubblicalo in Venezia nel 1567, non si volle dichiarare esplicitamente
sul merito della priorità in argomento che eccitava allora le gare degli
architetti. « Io non dirò, scriveva, degl’ inventori di questo modo per non
metter molli uomini da bene alle mani. Io confesso d’ averla imparala,
et ne tengo obbligo alli maestri. Iseppo Salviali pittore eccellente, me ne
dedicò uno trattalello, et lo fece stampare: se quelli, i quali me l’hanno

 

(1) Il Cicognara ne accenna un’ altra edizione dell’anno istesso: ma non ne indica lo
stampatore.

 

 

dimostrata prima, l’abbiano pigliata dal Salviati io non lo so » (p. 149).
E in altro luogo afferma avere un amico suo, già molto tempo, levato
copia della invenzione del Salviati e lasciatala in mano di molti che se
ne fanno inventori. Opina il Magrini che in quell’amico si nasconda il
Palladio col quale il Porta ebbe famigliarità forse non mai interrotta (1) ;
ma non è da lacere che in queir anno islesso in cui il Barbaro pubblicava
il suo Commentario, Filiberto de V Orme metteva in luce la sua opera
di architettura nella quale dichiarava come sua propria invenzione del
Porta, allegando d’ averla fatta in Roma molti anni innanzi. La quale
affermazione non è credibile, chi pensi come fossero trascorsi quindici
anni dacché il Porla l’aveva fatta conoscere per le stampe.

Codesta invenzione con poche varietà venne adottata e seguita oltre
che dal Barbaro, dal Vignala dal Cataneo, dal Palladio e da altri. Il
Selva che riprodusse nel 1814 l’opuscolo del Porta coll’aggiunta di un
folio commentario, dopo averne posto in rilievo i pregi, mostra come
questo metodo sia il più conforme alle prescrizioni di Vitruvio, ottenendosi
per esso una voluta che meglio di tutte- le altre si conforma a quelle
dei più bei capitelli antichi. Soggiugne dipoi che se il merito del Salviati
fu noto a pochi e coperto d’ obblio, ne furono causa la straordinaria
rarità dell’ opuscolo, la moltiplicità e la divulgazione delle opere del
Vignola e del Palladio, e la celebrila di questi nomi che offuscò quella
degli altri, sebbene essi non si vantino inventori di quel metodo; facendo
osservare per ultimo come lo stesso de L’Orme abbia nella irregolarità
del suo metodo dato da se stesso una smentita alle proprie pretensioni,
circostanza non avvertita dal Rosso allorquando parve voler rivendicare
all’ architetto francese il merito di quella scoperta.

Il Vasari nel toccare di questo lavoro scrive che le tavole furono
fatte di mano del Porta ed aggiugne che « tosto doverà venire in luce
un’ opera che ha composto della, geometria ». La quale insieme con altre
sue composizioni fu da lui data alle fiamme in una sua infermità, perchè
altri non avesse a giovarsi delle sue fatiche (3).
Applicò ancora ai vari studi dell’astrologia e ne abbiamo testimonianza
certa nei versi di due grandi poeti di quel tempo, Bernardo e Torquato
Tasso. Il primo nel suo Amadù/i lasciò scritto:

 

(1) Memorie intorno la vita del Palladio p 30.

(2) Esercitazioni sulla voluta del capitello jonico Firenze 1817.

(3) Ridollì, Op. cil.

 

15
« Giuseppe Salviati a cui mostraro
« Le stelle i rei e i lor felici effetti,
« Glie come in specchio trasparente e chiaro
«Vede del Ciel tutti i secreti aspetti
« E col nobil pennello a paro a paro
« Va de’ pittor più illustri e più perfetti » (1).
E Torquato nel fine del Dialogo che s’intitola dal Cataneo fa parlare
Paolo Saminiati di questa maniera: « Ma a voi, Signor Paolo, per provar
le proprietà occulte delle stelle, non mancheranno compagni, perchè è
di questa opinione ancora messer Giuseppe Salviati, il quale non solamente
è pittore, ma astrologo eccellente » (2).

Un’altra produzione di questo peregrino ingegno ci viene rivelata da
Temanza, cioè una invenzione per asciugare le paludi da lui presentata
al Magistrato dei beni incolti (3).

La duplice professione delle arti e delle discipline scientifiche procurò
al Porta molte aderenze. Già abbiamo veduto di quante lodi gli fosse
liberale il Vasari, alla testimonianza del quale, questa aggiugneremo assai
più breve ma non meno efficace, che si contiene nelle seguenti parole
di un altro contemporaneo. « Iseppe Salviati adorna parimente la nostra
città. Costui nelle pitture a guazzo eccede ogni altro pittore, colorisce
bene, ha gran disegno, et è vago e dolce nella maniera. La facciata della
casa de’ Loredani a S. Stefano è sua. Nella chiesa de’ frati Minori è un
altare, opera pellegrina e gentile (4) ». Più copiosa è la serie dei letterati
che serbarono onorata memoria del Porla nelle loro scritture, i due Tassi,
il Doni, il Brusantini, Pietro Aretino ed altri. Torquato Tasso nel suo poema
giovanile il Rinaldo pigliando a descrivere una sala di un’ imaginario palazzo
della Cortesia consacra questa ottava del settimo Canto alle lodi del Porta.
« Pendon dipoi dalle parli più belle
Molte imagin rilratte in tutti i lati,
Di sesso e vollo son diverse quelle,
E gli abiti tra loro bari variali.
Né so, se tai le avria già falle Apelle,
0, se tai le facesse oggi il Salviati,
Cbe coi colori e col pennello audace
Scorno a natura, invidia affli altri face. »

 

(1) Canio C. oliava 5G.

(2) Dialoghi Ediz. Le Monnier lìl, 309.

(3) Vile degli Architetti p. 31G.

{ì) Dialogo di latte le cose notabili che sono in Venezia. Ivi 1567.

 

16
V Pietro Aretino ha una lettera, fra le sue messe in istampa, dirizzata a
un compare di cui non segna il nome, ma che è certamente il nostro
pittore, la qual lettera noi riportiamo qui come documento che torna a
gran lode del medesimo.

« Al Compare.

« Messer Giuseppe; io ultimamente ho compreso nelle facciate che
havete dipinte in su il Canal grande, poco di sotto al dove sta Don
Giovanni Mendozza, di Cesare meritamente imbasciatore ; il come nella
imitatone de gli antichi nella Pittura, simigliate i moderni poeti nel comporre,
tal che al divino Bembo che si bellamente intermette gli andari
del Petrarcha, ne i suoi, simigliate voi nello intessere quegli de gli
archi ne i vostri, gratiose le historie, et gioconde le favole; veggonsi
nell’ordine con che distinguete nel disegno le moralità di queste et le
integrità di quelle, alti, ispediti, venuste et adorando fate vedere gli Dei,
et le Dee nel vostro dipingere di chiaro et di scuro alP usanza di Roma,
onde vi giuro per quel vostro fare, che aggiugne a qualunque Polidoro,
et Baldesari da Siena mai fusse ; che non si può desiderare più digrada,
e d inventione ; di quella, di che risplende il di voi pennello, et il
giuditio. Ma perchè io altre volte di ciò vi ho laudato in parole, et in
carte, solo la determino con dire, che ogni vecchio Pittore si potrebbe
mollo ben contentare, di sapere quanto sa la gioventù vostra del dipingere.
Di Maggio in Vinezia d.m.xlviii » (1).

Una ulteriore prova del conto in cui il Porta era tenuto dai suoi con-
temporanei, si contiene nell’aggregazione fattasi di lui all’Accademia
Peregrina di Venezia e poscia alla Fiorentina del disegno, in unione a
Tiziano, al Palladio e ad altri celebri maestri (2).

Venendo al secolo decimosettimo, troviamo gli encomii del pittore
garfagnino neile opere di due letterali artisti, cioè le Meraviglie dell 9 arte
del Ridolfi e la Guida del navegar pitoresco del Boschini. Il primo ne
stese la vita decorata del suo ritratto e con diligenza “diede ragguaglio
delle opere di lui. L’altro si allarga nelle lodi di cui è sempre prodigo
a pittori veneziani per nascita o per elezione di domicilio. Così egli esalta
ìe pitture del Porta nel Refettorio di S. Spirito, la deposizione di croce
in S. Pietro Martire di Murano, la Pala nei Frari, e altre pitture possedute
da privati, e reca a testimonio della stima in che si tenevano le opere

 

(1) Lettere IV, 231.

(2) Vasari, XII, 67.
del Porta, l’autorità di due artisti insigni del suo tempo, Tiberio Tinelli
pittore e Clemente Molli scultore.

L’ultima memoria che s’incontra del Porta sta in una lettera di
Andrea Palladio a Martino Bassi del 3 luglio 1570, nella quale il celebre
architetto scrive aver dato a vedere quella sua invenzione a parecchi
uomini intendenti della materia, fra i quali nomina il Salviati Pittore et
Prospettivo eccellentissimo (1). Poco dovette sopravvivere il Porta alla data
di quella lettera, raffrontando insieme l’ affermazione del Vasari che
determina al 1535 la sua andata a Roma, quando poteva contare venti
anni e l’altra del Ridollì che lo fa morire di cinquant’ anni circa.

Gli scrittori d’arte riconoscono il merito particolare del Porta nell’aver
saputo accoppiare la buona maniera del disegno proprio delle
scuole fiorentina e romana al colorire dei veneziani, nella qual cosa non
ebbe chi lo precedesse o lo imitasse, cosicché fece scuola da se. Ma i
tempi che volgevano a decadenza non gli consentirono di levarsi ai primi
onori così di disegnatore come di coloritore. Imperocché il suo colorire
rispetto ai veneti non può dirsi perfetto e nel disegno appare alquanto
studiato, e seguendo il vezzo dei tempi, segna con soverchia efficacia i
muscoli e i movimenti del corpo. Anche nelle invenzioni, sebbene copioso
e originale, non mostra però nell’ insieme altrettanta felicità come nelle
singole disposizioni delle figure. Ma se per causa di queste imperfezioni
il Porta non può collocarsi nella schiera dei primarii maestri; se egli
non è oggi tenuto in quella stima che ebbero di lui i contemporanei, il
suo nome però forma un” episodio non oscuro nella storia dell’arte, e
nella scuola veneziana tiene quel luogo che per consimili ragioni ebbe
un secolo dipoi nella bolognese Giacomo Cavedone.

 

(1) Bassi Dispai eri in materia d’ architettura. Brescia 1572 p. ìi.