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Giuseppe Spagnulo trasforma la materia in lirica


di Roberto Gramiccia

Il “materialismo lirico” di Giuseppe Spagnulo, come lo definisce con illuminante capacità di sintesi Marisa Vescovo in uno scritto in catalogo dedicato al grande artista, pugliese di nascita e milanese di adozione, si colloca orgogliosamente entro una weltanschauung immanente, indifferente alla ricerca di altri stimoli che non siano interni alla materia, allo spazio, alla forma e alla storia, ma anche alla ricerca quotidiana di un appagamento interiore fondato su una sua personale religione.

Giuseppe Spagnulo, Senza titolo, 2010 sabbia di vulcano, ossido di ferro nero, carbone
Giuseppe Spagnulo, Senza titolo, 2010
sabbia di vulcano, ossido di ferro nero, carbone

Giuseppe Spagnulo, Cartone, 1972 cartone cuoio, carbone
Giuseppe Spagnulo, Cartone, 1972
cartone cuoio, carbone

Giuseppe Spagnulo, Panorama scheletrico del mondo, 2008 sabbia vulcanica, ossido di ferro e carbone su carte sovrapposte
Giuseppe Spagnulo, Panorama scheletrico del mondo, 2008
sabbia vulcanica, ossido di ferro e carbone su carte sovrapposte

La preghiera laica di Spagnulo viene recitata tutti i giorni nel suo studio milanese ai Navigli, che più che un atelier è un’attrezzatissima officina meccanica fornita di altoforno. Questa preghiera è il lavoro. E il suo lavoro – e ciò è un lusso – non produce merce, valore di scambio e plusvalore. Produce, invece, la splendida anomalia dell’arte. E lo fa ingaggiando una lotta quotidiana senza quartiere con l’acciaio e il ferro, aggrediti col fuoco e lo scalpello.
Questo grande scultore ruba alla materia – nemica e complice – la salienza della forma plastica. E lo fa da ruvido amante che usa la forza della sua passione, non come violenza arbitraria, ma come produttiva intenzionalità erotica. Perché l’eros è il contrario della morte e, attraverso di esso, ogni giorno gli uomini di valore celebrano il rito quotidiano che alla morte li oppone.
“Il mio materiale prediletto è sempre stata la terracotta – dice Spagnulo. – Poi sono passato al ferro e all’acciaio. In entrambi i casi è il fuoco (sia pure in modo antitetico, là indurendo, qua ammorbidendo) il vero anello di congiunzione della mia ricerca. E’ questo che mi interessa di più, perché attribuisce all’intervento una dimensione quasi erotica”.
Attraverso di essa si compie l’impresa. Che, come tutte le grandi imprese, non è un fatto solo materiale, ma spiritualissimo. E lo spirito è quello che serve ad affrontare le sfide, perché senza di esso a vincere è la piccola depressione del quotidiano o l’illusione della fuga edonistica, che sono espressioni di un’umana sensazione di inadeguatezza, di deperibilità e, alla fine, di morte.
Insomma, per vivere, se non si è sciocchi, bisogna essere eroi, fragili eroi, perché la fragilità è intrinseca alla nostra condizione. Partendo da essa e trasformandola in azione, si è realmente uomini liberi e vivi, uomini che non hanno bisogno di padroni e nemmeno di servi. Più l’impresa è titanica, più racchiude in sé la testimonianza della forza necessaria a volgere la fragilità in energia creativa.
E non è chi non veda come sia titanica la fatica di questo artista sanguigno e senza esitazioni. Le sue materie sono il ferro, l’acciaio forgiato, la sabbia di vulcano, il carbone, l’ossido di ferro, il cuoio. Sempre, su di esse, è dato leggere i segni dell’amorosa lotta: rugosità, eccedenze, solchi, rotture, soluzioni di continuità, fori, congiunzioni e disgiunzioni.
Un’enorme letteratura di segni, di ombre, di luci, di accidenti fisici e poetici, capace di rendere chiaro il suo messaggio: la scultura è da intendere e praticare, prima di tutto, come antiretorica del monumentale e del fintamente rifinito, come sfida dello spirito proteso alla ricerca di un “nuovo” plastico autentico. Un nuovo che, in quanto tale, si fondi sulla materialità della tradizione, per falsificarne gli stilemi, per continuare il cammino senza banalizzazioni tardo-moderniste ma anche senza il fiato corto della fiacca postmoderna. Giuseppe Spagnulo continua la tradizione dei moderni naturalmente, per istintiva disposizione d’animo.
Lo fa in modo così efficace che il suo lavoro sembra smentire l’acutezza delle previsioni di Benjamin de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. In quel testo profetico egli anticipava ciò che sarebbe successo poi: la perdita dell’aura delle opere d’arte nel tempo, appunto, della tecnica e della sua riproducibilità, la perdita contro cui si scagliava Emilio Villa il quale – ne siamo certi – di Spagnulo sarebbe stato un entusiasta cantore.
Giuseppe Spagnulo, Libro, 2010 acciaio forgiato
Giuseppe Spagnulo, Libro, 2010
acciaio forgiato

Giuseppe Spagnulo, Respiro, 1996 acciaio forgiato
Giuseppe Spagnulo, Respiro, 1996
acciaio forgiato

Giuseppe Spagnulo, Ruota, 2009 acciaio forgiato
Giuseppe Spagnulo, Ruota, 2009
acciaio forgiato

Giuseppe Spagnulo, Cartone, 1972 cartone cuoio, carbone
Giuseppe Spagnulo, Cartone, 1972
cartone cuoio, carbone

Se c’è una cosa che caratterizza la produzione di questo autore, infatti – non solo le sculture, ma anche la sua sbalorditiva pittura -, è la costante presenza di aura. I libri, le ruote, i ferri spezzati, i ritratti sono portatori di una bellezza così intensa e disadorna che di essa è arduo capire l’origine. I suoi oggetti e le sue carte alitano mistero, quel mistero che egli frequenta anche quando sembra più che mai un rude e potente facitore d’arte. Arte apparentemente certa e inequivoca, perché fondata sulla stabilità e sul peso della materia.
Se le sculture di Spagnulo sono il frutto di lotte amorose, le sue carte – spesso di grandi dimensioni – non conoscono il ristoro di casti corteggiamenti. Egli è sempre in battaglia. Del resto, basta osservare l’acutezza del suo sguardo e la potenza del suo massiccio facciale per capire quanto, lamarckianamente, il suo fisico e la sua espressione siano stati modificati dal suo stesso fare (faticare) quotidiano.
E così i grovigli labirintici di linee, gli squarci, i fori, lo sporgere delle materie (sabbia, ossido, carbone soprattutto) disegnano il caos di un progetto che esibisce un’infallibile capacità di ritrovare (nel caos) l’equilibrio della forma. Una scommessa sempre vinta che colloca Pino Spagnulo nella scia dei grandi. Lui ne è consapevole ma non se la tira. Come i grandi, appunto, che non hanno bisogno di darsi delle arie.
Giuseppe Spagnulo, Cuboincubo, 1992 acciaio forgiato
Giuseppe Spagnulo, Cuboincubo, 1992
acciaio forgiato

Giuseppe Spagnulo, Cuboincubo, 1992 acciaio forgiato
Giuseppe Spagnulo, Cuboincubo, 1992
acciaio forgiato

 
STIME, QUOTAZIONI E RISULTATI D’ASTA DI GIUSEPPE SPAGNULO PRESSO CHRISTIE’S
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