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Gli amici di Brandi


di Maria Teresa Benedetti

Titolo indicativo di una raffinata filosofia dell’esistere e del pensare, Il gusto della vita e dell’arte raccoglie in volume una serie di lettere indirizzate a Cesare Brandi, negli anni dal 1932 al 1983, da un nutrito gruppo di artisti di diverse tendenze, fra i più significativi dell’ultimo mezzo secolo.
Lo spunto è in una frase contenuta in una lettera di Mario Mafai del 1940, che ipotizza un ideale sodalizio, nel quale dibattere idee e propositi, esprimere umori, sentimenti e atteggiamenti del vivere, all’insegna del rapporto con un mentore, come Brandi, di rara autorità intellettuale, sagacia, passione, ironia, sottigliezza di giudizio.
Ne nasce un racconto a più voci, composito e attraente, attraverso il quale le vicende del nostro Paese sono colte da angolazioni inedite, talora gustose, talora amare.
Inoltre Brandi è uno storico d’arte che, pure innamorato di Duccio da Buoninsegna, sa riconoscere il valore dell’opera di Burri, percepire le novità, accogliere le trasformazioni, delineare punti fermi in un percorso non sempre agevolmente individuabile.
Come afferma Vittorio Rubiu Brandi, che ha curato la raccolta, il Professore è una sorta di convitato di pietra, ma la sua presenza è il cuore del volume, poiché attraverso la sua mediazione emerge la ricchezza degli intrecci, delle relazioni intellettuali, filtra il calore di rapporti umani, misti agli slanci e alle depressioni di chi è immerso nell’ardua impresa della tensione creativa.
Dagli scritti emergono le personalità degli artisti: Mafai sempre all’erta, fra entusiasmo e timori (“sono già entro quel processo di annullamento necessario per il buon andamento di se stessi”); De Pisis colto nel disordine di una esistenza bizzarra, le cui ore “volano in un dedalo capzioso e gentile di occupazioni, fra pennelli e pignatte, fiori e amori”, come egli scrive.
A tale deliziosa, sfrontata vitalità si oppone la prosa riservata e laconica di Morandi, che adotta sempre il “lei” nel rivolgersi al suo interlocutore, senza mai aprirsi a una vera confidenza; mentre, d’altro lato, vediamo dilagare il pathos di Manzù, la sua ricchezza emotiva, testimoniata da quel bisogno di lavorare “col demonio che ogni mattina mi porta nello studio con tutte le speranze che per ora rimangono solamente tali”.
Le lettere di Scialoja, appassionate e disperate, raccontano di un amore a un’unica direzione: “vorrei risponderti amaro e stizzito come è la tua lettera, ma non posso perché sento troppo bene che il dispetto è affetto”; Burri, prosastico, divide con Brandi il gusto delle cose semplici: “non vedo l’ora che tutto sia finito e di poter essere con voi davanti a un piatto di bucatini”. E molto altro ci sarebbe da annotare.
L’excursus si conclude con testimonianze riservate alle più giovani generazioni: Pascali, Ceroli, Mattiacci, Tacchi, Ontani; una lettera di Lionello Leonardi, scritta dopo la morte del fratello, sottolinea come le alte qualità di scrittore – anzi, di poeta – del critico “gli hanno concesso un ricalco così sottile e penetrante dell’opera di Leoncillo”.
Il gusto della vita e dell’arte. Lettere
a Cesare Brandi, a cura di Vittorio
Rubiu Brandi, Gli Ori, 2007,
336 pagine, 35 euro.