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Gli artisti che dipingono con feci, sangue, sperma, urina e tampone vaginale

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Sangue. Urina. Feci. Persino sperma. Quando l’artista ricorre, per creare le proprie opere, alle secrezioni del corpo umano. Molto spesso lo fa per stupire, provocare, denunciare, scandalizzare. Ma non sempre è così.
L’impiego dell’urina, ad esempio, si verifica in pittura già nel Settecento, e le motivazioni in questo caso sono meramente tecniche. L’urina dei bambini occupava, è noto, un posto di rilievo nel ricettario della raffinatissima Rosalba Carriera.
Rosalba utilizzava questo liquido fisiologico – al quale si riconoscevano angeliche virtù –  per la preparazione di delicati pastelli, che avrebbero consentito di produrre una gamma cromatica intermedia rispetto ai colori fondamentali importati da Parigi, e di conferire preziose, soavi tonalità ai volti e agli abiti degli effigiati. Nell’ambito di ciò che appare come un processo alchemico – la trasformazione delle sostanze collocate ai più bassi livelli della scala delle qualità in elemento nobile -, la pittrice utilizzava anche l’urina d’adulto decantata, che aveva la funzione, attraverso l’ammoniaca in essa contenuta, di aggredire più decisamente la materia di partenza, sottraendole il colore, che sarebbe poi finito nel piccolo cilindro del pastello.
Una prova della straordinaria trasformazione? Il risultato più eclatante è collegato alla realizzazione del color oro. “Bisogna prendere una libra di terra oriana soda – consiglia Rosalba Carriera – la quale farete stemperare in 18 libre d’orina. Fate bollire questo miscuglio in un calzerotto di rame per un’ora e dopo vi getterete dentro una mezza libra di allume di feccia. Osservate bene che il calzerotto di rame sia grande abbastanza, poiché il colore darà all’aria, e potrebbe versarsi. Lasciatelo bollire ancora per una mezzora, cavatelo poi dal fuoco, e lasciatelo riposare, e deporre. (…) Questo colore dipingendo sulla seta fa lo stesso effetto che l’ocra nella pittura ad olio; essa però è più bella, ed ha più durata”.
Altra formula riguarda la preparazione del giallo limone. “Si stritola bene la grana di Avignone, si mette in un vaso, e si empie con dell’orina chiarificata, nella quale sia stata sciolta avanti mezza libra d’allume in polvere. Dopo averlo ben bene turato mettetelo al sole o al caldo di un forno un mese. Questo colore si gomma colla gomma arabica, e ve ne va molta”.
Ben diverso l’uso che fa dell’urina un autore contemporaneo, il fotografo statunitense Andres Serrano. L’immersione del soggetto in un fluido corporeo è ricorrente nei suoi lavori. E’ il caso di Piss Christ (1987), in cui un piccolo crocifisso di plastica veniva, appunto, immerso in un bicchiere riempito di urina dello stesso artista. L’opera destò grande clamore e vibrate proteste, e fu accusata di blasfemia. Serrano – che si è sempre dichiarato credente – fu difeso però anche da una parte della critica cattolica, secondo la quale Piss Christ andava interpretato come un atto di denuncia contro il disprezzo dell’uomo di oggi per la divinità.
“Perché utilizza l’urina?” è stato chiesto al fotografo durante un’intervista. “Ho cominciato con il sangue ed il latte – è stata la risposta. – Poi mi sono stancato di avere a disposizione solo il rosso e il bianco. Mi serviva un terzo colore, ed ho pensato al giallo della piscia. Quando mi sono stancato della piscia, ho pensato allo sperma”.
Nasce così la serie Ejaculation. “C’è stato qualche problema tecnico all’inizio – racconta Serrano, – perché continuavo a ‘sparare’ e a mancare il bersaglio. Stampavo, e il risultato era solo uno schermo nero. Mi sono reso conto che avevo bisogno di un motore per la macchina. Con quel dispositivo, quando sentivo che stavo per venire azionavo la macchina, che scattava a ripetizione e con tempi velocissimi, trentasei esposizioni diverse, e solo una di esse andava bene”.
Da segnalare che due opere di questo artista, Blood and Semen III, creata con sangue e liquido seminale, e Piss and Blood, creata con urina e sangue, sono diventate le copertine di due dischi dei Metallica, rispettivamente Load e ReLoad.ù
 

La copertina di ReLoad, disco del 1996 dei Metallica. L’opera riprodotta è di Andres Serrano, ed è stata eseguita con sangue ed urina
La copertina di ReLoad, disco del 1996 dei Metallica. L’opera riprodotta è di Andres Serrano, ed è stata eseguita con sangue ed urina

Usa lo sperma anche il tedesco Martin von Ostrowski, ma per dipingere, in sostituzione dei pigmenti tradizionali. Già balzato agli onori della cronaca per aver realizzato un ritratto di Hitler servendosi dei propri escrementi, nel 2008 ha allestito allo Schwules Museum di Berlino una mostra di una trentina di quadri eseguiti con liquido seminale, accumulato fin da cinque anni prima. In tutto, ha dichiarato Von Ostrowski, un migliaio di orgasmi, considerato che per ogni tela gli sono state necessarie circa quaranta eiaculazioni.
Dipinge con il proprio sangue (sia pure mescolato con i comuni colori), invece, Pete Doherty. La rockstar ha esposto a Londra nel 2007 lavori piuttosto scioccanti, sia per la modalità esecutiva che per i soggetti (in uno di essi, ad esempio, era effigiato un prigioniero chiuso in cella, con un evidente rimando autobiografico alle vicende giudiziarie, legate all’uso di alcol e droga, di cui Doherty è stato protagonista).
Un grande artista come Jan Fabre, per parte sua, privilegia la rappresentazione, in chiave simbolica, del liquido ematico. In un autoritratto del 2006, I let myself drain, egli si raffigura mentre sanguina dal naso lordando un’opera di un antico maestro. “Mi sono confrontato con la storia dell’arte attraverso il mio stesso sangue – ha spiegato Fabre, – per concretare una lezione di umiltà e l’idea di orgoglio”.
Non parleremo in questa sede, se non brevemente, dell’impiego rituale del sangue che si verifica in arte dagli anni Settanta del secolo scorso, a cominciare dall’arte autolesionista e dell’Azionismo viennese – pensiamo ad Arnulf Rainer, o a Rudolf Schwarzkogler, morto, qualcuno sostiene, in seguito ad un tentativo di autocastrazione – per sfociare poi nella Body art. Qui il sangue dell’artista non è pigmento, ma sgorga dalle carni dell’artista medesimo durante truculente performance.
Ci limitiamo ad alcuni esempi. Chris Burden si fa sparare una pistolettata nel braccio; Gina Pane si tagliuzza la pelle con una lametta affilata; Claudio Cintoli teatralizza nascita e morte attraverso un’azione basata sul sangue mestruale. Flavio Caroli ricorda “Marina Abramović nel 1976, a Kassel, dare forti colpi con il ventre ad alcune strutture che le passavano davanti. Presto il suo corpo fu pieno di tumefazioni e di ferite sanguinanti, tanto che la invitammo, ma inascoltati, a fermarsi”.
Un’arte di autocrudeltà che ha numerosi adepti pure oggi. Franko B, milanese residente da lungo tempo a Londra, estrae il sangue dalle sue stesse vene, si imbratta con esso e lo mischia agli altri fluidi organici: urina, sperma, saliva. Per preparare le proprie performance, l’artista arriva a raccogliere anche due litri di sangue al giorno per quattro, sei settimane, e dopo alcune esibizioni ha dovuto essere ricoverato in ospedale
Franko B durante una performance
Franko B durante una performance

“Per me – sottolinea – il sangue è qualsiasi cosa. Il mio sangue è il mio corpo. La gente muore per esso, va in guerra per esso. Il cancro è sangue. Quando lo sento, mi dà un senso di libertà, specialmente il fatto che sia il mio; rifiuto il sangue animale, o qualsiasi altro sangue, perché non potrei avere relazioni con esso”.
Si accennava prima, a proposito di Cintoli, dell’utilizzo in arte del sangue mestruale. Se ancora Serrano è autore di un’opera intitolata Menstruation, se nel 1971 la pittrice femminista americana Judy Chicago realizza Red Flag, quadro che mostra in primo piano una vagina da cui viene rimosso un tampone insanguinato, è forse la britannica Tracey Emin l’autrice del lavoro più noto su questo versante. La sua installazione My Bed – il letto dell’artista disfatto e cosparso di mutandine macchiate di sangue, nonché di contraccettivi – è stata nominata nel 1998 per il Turner Prize.
tampone
 
letto sporco
Notevoli pure l’onirico Fresh Blood: a Dream Morphology di Carole Schneemann, e la serie Disasters della neozelandese Ria Lee, con ballerine dal tutù sporco di rosso e ragazze in piscina colpite a tradimento dalla medesima “catastrofe”.
Né manca chi dipinge con il proprio sangue mestruale. Come Tamara Wyndham, che lo trasferisce sulla tela premendo sulla stessa la vulva. Più “tradizionale” la tecnica di Vanessa Tiegs, che ricrea con tale sangue eleganti immagini floreali, poi lucidate con acrilico, in una sorta di “riabilitazione” e di rottura di un millenario tabù. Tiegs è una delle componenti della comunità di “pittrici mestruali”, assai attiva anche online, attraverso un frequentato sito (www.livejournal.com/community/blood_art).
 
Uno dei quadri di Pete Doherty dipinti col sangue
Uno dei quadri di Pete Doherty dipinti col sanguemestruale

 
Mary Barnes, la grande artista
che iniziò dipingendo con le feci
 
mary barnes-merda e salubrità mentale 2
 
Straordinaria la vicenda di Mary Barnes. La donna, un’infermiera inglese affetta da psicosi acuta e schizofrenia, nel 1965 fu accolta nella rivoluzionaria comunità “Philadelphia Association” fondata da R. D. Laing, lo psicoanalista ideatore del movimento dell’anti-psichiatria.
All’interno della struttura, Mary, che fin dall’infanzia aveva evidenziato una radicata tendenza coprofiliaca, produsse la sua prima opera d’arte: una coppia di seni, dipinti con le feci spalmate con le dita sul muro della propria stanza. Ad essa ne seguirono molte altre: poi, la Barnes si convertì alla pittura ad olio, e divenne ben presto un’artista affermata. Il successo coincise con la guarigione. Espose in importanti mostre, scrisse libri, fu la protagonista di un’opera teatrale, nonché “ambasciatrice” per il mondo delle teorie di Laing.
Tra le principali fonti d’ispirazione di Mary Barnes va citato Jean Dubuffet. E non è un caso che Dubuffet – il “padre” dell’Art brut – fosse estremamente affascinato dalla “creatività” dell’escremento, visto non come un artificio culturale, ma piuttosto come un materiale puro. Per Dubuffet era vitale che nella lotta tra materia e forma fosse la prima a dominare, ritenendo che la forma sia un prodotto della cultura, mentre la materia rappresenti una forza anti-culturale che gode di un contatto profondo con le condizioni intrinseche del principio creativo.
Né vanno dimenticati, in questo contesto, altri percorsi, come quello, celeberrimo, della Merda d’artista di Piero Manzoni o la Cloaca del belga Wim Delvoye: una macchina che, riempita di cibo, lo “digerisce” ed espelle feci.
 
Sulle pareti della cella della torre
una drammatica storia d’amore
disegnata con le deiezioni
Nel 1947 si scoprì nel Torrione medievale di Spilamberto, piccolo centro in provincia di Modena, una cella di cui si ignorava l’esistenza e, al suo interno, un repertorio di immagini e scritture che ne occupavano le pareti. Si pensò all’opera di un carcerato il quale aveva voluto lasciare il ricordo di una storia da lui vissuta da protagonista o testimone. Tra le diverse interpretazioni, trovò maggiormente credito quella che vedeva nel misterioso “Messer Filippo detto il diavolino” (come riporta una delle iscrizioni) un mercante spagnolo che, giunto a Spilamberto, aveva sedotto la bella castellana ricevendo per punizione dal tradito signore la prigionia e la promessa della decapitazione.
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Alcuni dei dipinti realizzati da “Messer Filippo detto il diavolino” sulle pareti della cella del Torrione di Spilamberto: secondo la tradizione con il sangue, più probabilmente ricorrendo alle feci e, forse, al cerume delle orecchie
Alcuni dei dipinti realizzati da “Messer Filippo detto il diavolino” sulle pareti della cella del Torrione di Spilamberto: secondo la tradizione con il sangue, più probabilmente ricorrendo alle feci e, forse, al cerume delle orecchie

 
La leggenda vuole che il recluso passasse il tempo a dipingere all’interno della cella il rapporto di odio-amore nei confronti di quella dama, usando il proprio sangue come materia prima, e che ancora oggi nelle sere d’estate, in circostanze particolari, si oda il lamento del fantasma del “diavolino”.
Recenti studi hanno collocato la vicenda negli anni fra il 1523 e il 1547, inquadrandola con precisione negli avvenimenti storici dell’epoca. Filippo altro non sarebbe se non un fedelissimo di Caterina Cybo, duchessa di Camerino, innamorato di lei e a conoscenza dei suoi segreti e degli ambiziosi progetti politici che ella coltivava. Ed è per il timore di essere tradita, che Caterina avrebbe deciso di far rinchiudere in prigione lo scomodo spasimante, affidandolo ai marchesi Rangoni di Spilamberto. Così al poverino non sarebbe rimasto altro che lasciare quel drammatico “fumetto”, unico documento della sua tragedia personale.
Molto interessanti sono stati gli esiti delle analisi fisico-chimiche operate sul colore e sulla composizione dell’intonaco della cella, che hanno permesso di delineare in che modo il prigioniero intervenne sulle pareti.
Le pitture sono a secco: le figure e le didascalie appaiono nella maggior parte dei casi di un colore bruno rossastro, anche se in alcune cornicette si nota una tinta molto più scura, che in certi punti diventa nera. Il fatto che le didascalie siano scritte con un tratto tondeggiante e chiaramente leggibile induce a pensare che messer Filippo non utilizzò le dita, ma uno strumento di fortuna (probabilmente un bastoncino di legno appuntito).
Attraverso analisi specifiche è stata evidenziata la presenza nello strato pittorico di una sostanza proteica e di una seconda sostanza organica, provenienti da diversi materiali (alimentari e non) che il recluso poteva procurarsi durante la detenzione. Il legante che gli consentì di scrivere doveva essere per forza una sostanza collosa: una brodaglia di legumi, oppure secrezioni corporee, come le sue feci, o il cerume delle orecchie. Forse sarebbe stato più romantico continuare a pensare che il nostro sfortunato prigioniero avesse utilizzato il proprio sangue…
 
 

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