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Henk Helmantel: "Vi racconto come vivo e come dipingo in questo modo"



intervista di Stefania Mattioli

Può sembrar curioso pensare agli uomini come esseri di passaggio nella vita degli oggetti. D’altro canto, le cose ci sopravvivono; transitano di mano in mano caricandosi di nuovi significati, uniscono tacitamente persone che nemmeno si son conosciute e luoghi geograficamente distanti. E’ per questo che Henk Helmantel ne è attratto, da sempre. Ciò che lo interessa non è tanto la storia degli oggetti stessi, che rappresenta da più di trent’anni con ostinata precisione, quanto il carattere, la loro epidermide. Oggetti che egli colleziona e osserva con antico rigore, quasi devozionale, per captarne ogni linea, ogni caratteristica di superficie e di forma.


A colpire sono il suo sguardo bucolico, i modi schietti di chi non ama perdere tempo.

Helmantel vive e lavora in campagna, a Westeremden, dove è nato nel 1945. Qui, con le sue mani (mi mostra la foto) ha ricostruito fedelmente una casa medioevale partendo dalle fondamenta. Circondato dalla sua collezione di vasi romani, preziose antichità cinesi e altri cimeli, dipinge con dedizione e caparbietà, per restituire al pubblico quello stesso patrimonio accumulato per bramosia estetica, come se la tela fosse una teca espositiva itinerante.

La casa-atelier del pittore, perfettamente ricostruita in stile medievale, con materiali d'epoca
La casa-atelier del pittore, perfettamente ricostruita in stile medievale, con materiali d’epoca

L'artista al tavolo di lavoro
L’artista al tavolo di lavoro

“A contare per me non è tanto la varietà degli oggetti ma l’esperienza che vivi osservandoli, l’intensità con cui li percepisci visivamente. Ha presente i mirtilli? La loro forma, il colore? Mi piace coglierli non solo per gustarli ma semplicemente per osservarli e godere di tale meraviglia. Davanti alle cose provo una sorta di stupore che si rinnova ogni giorno e la pittura è per me un mezzo per ri-creare la natura”.

Identico è lo stupore che sperimenta lo spettatore innanzi alle sue tele, catturato dall’alchemico equilibrio compositivo che si stabilisce fra forma, spazio e luce; dal tempo sospeso, dall’atmosfera metafisica e dalla maestria di questo artista capace di realizzare immagini di una bellezza potente quanto raffinata. “Mi accorgo che continuo a ridipingere tre o quattro volte la stessa pentola o la stessa ciotola, ma ogni volta provo un forte stimolo ad ottenere il massimo delle possibilità offerte dall’oggetto”.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la sua pittura non ha quasi nulla a che vedere con il realismo; ad interessarlo davvero è l’armonia, e per ottenerla egli manipola la realtà a suo piacere. “Il quadro è l’interpretazione personale della realtà, la realtà offre troppe informazioni. Questi dati vengono trasformati dal cervello e dalle mani sino ad ottenere una nuova realtà pittorica”. Come suggerisce Marjolein de Vos nel saggio in catalogo, “un dipinto è fatto per essere guardato ma rappresenta anche un modo di osservare”. Ecco, questo sono i quadri di Helmantel, la messa in scena di un “modo di osservare” il mondo e di viverlo mediante la contemplazione.

Le sue nature morte non alludono a colte citazioni di Vanitas (caducità di tutte le cose), sono altresì mera esaltazione di un’esperienza estetica personalissima. Vero è che egli si ispira a Rembrandt e Vermeer, che è soggiogato dal luminismo fiammingo del ’600. A fare la differenza, rispetto al passato, è però il suo approccio mentale. Le nature morte antiche, dove gli oggetti rappresentati potevano significare opulenza, ricchezza o essere ammonimenti alla fugacità dell’esistenza, poco o nulla hanno a che fare con quelle del Nostro. Anche se l’apparenza inganna, attenzione a non cadere nel tranello: “Le mie tele

– precisa – non sono opere del passato. Chi le giudica tali non le analizza come si deve”.

A spiegare l’essenza di questa pittura è Deederik Kraaijpoel, che scrive: “Dalle opere di Helmantel non si sente provenire nessun chiacchiericcio allegro; si tratta di un mondo serio, statico. (…) Ogni cosa è ferma al suo posto. La sua arte è studiata, distaccata, quasi un sollievo”. L’uso maniacale del pennello, dei pigmenti, lo porta ad ottenere risultati sorprendenti al punto che gli oggetti, in particolare i vetri romani, non solo sono riconoscibili come tali, ma addirittura classificabili: ossia, è possibile stabilirne epoca, provenienza, stato conservativo. E’ come se, attraverso la pittura, egli perpetuasse il loro status di reperto archeologico, conferendogli nuova ed immortale esistenza.

casa e artisti

Prima di salutarci c’è tempo per un’ultima curiosità: quali sono i maestri italiani a cui si ispira, quelli prediletti? “Giotto, Beato Angelico, Mantegna, sono i vostri pittori che più amo, in assoluto. Caravaggio? Lo trovo ‘esagerato’. Troppo intenso. Apprezzo invece la tavolozza raffinata di Morandi, l’abilità disegnativa di Leonardo e Michelangelo”.

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