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Adolf Hitler, pittore e artista. Aspirante architetto. I sogni del sanguinario dittatore




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Nella pagina, acquerelli e disegni acquerellati di Adolf Hitler, probabilmente ripresi da Hitler dalle immagini di cartoline e fotografie e raffiguranti vedute di Vienna e di Monaco di Baviera
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Hitler sogna di diventare pittore e di passare successivamente al mondo dell’architettura. Cresce in un ambiente carico di silenzi grevi, che incidono sull’introversione. I rapporti con il padre, impiegato statale alla Dogana, non sono idilliaci, mentre forte è l’affetto che nutre per la madre Clara. Non ancora adulto perde entrambi i genitori. Il padre muore nel gennaio del 1903 per tubercolosi, mentre la madre muore nel dicembre del 1907 a causa di un cancro. E’ questo un momento cruciale per la sua vita e, purtroppo, per i destini di milioni di persone. Durante il periodo scolastico aveva manifestato inclinazione per il disegno e la pittura. Così progetta di frequentare l’Accademia di Belle arti, affascinato dalla pittura e, ancor maggiormente, dall’architettura. Ma avviene un episodio disastroso.
Il giovane Hitler raggiunge Vienna. (…)”dalla mattina presto fino alla notte io correvo da un museo all’altro – scrive ne “La mia vita” – Ma eran quasi sempre i palazzi che mi attiravano a tutta prima. Ero capace di passare delle ore davanti all’Opera o davanti al Parlamento…”. Da qui discende la massima efficacia del pittore nei confronti delle vedute urbane, nella ricostruzione minuziosa delle facciate degli edifici.
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Alla scuola tecnica che Adolf aveva frequentato precedentemente – e che aveva abbandonato poiché si era dimostrato un allievo problematico, dal rendimento scarso, con problemi di integrazione a causa di un carattere turbolento – era di gran lunga il miglior disegnatore della classe. Da questa abilità, ampiamente riconosciuta dai compagni e dagli insegnanti, parte per la costruzione del proprio futuro pittorico. Si reca quindi nella capitale austriaca per “sostenervi gli esami si ammissione in quell’accademia… convinto di poter sostenere facilmente – come racconta egli stesso – tale esame, quasi giuocando”. Ma i fatti non vanno nella direzione prevista: “Ero talmente convinto del successo – racconterà Hitler – che la bocciatura mi colpì come un fulmine e ciel sereno. Ma era proprio così. Come mi presentai dal rettore e gli chiesi di chiarirmi i motivi della mia bocciatura, quel signore mi assicurò che dai disegni che avevo presentato risultava con ogni evidenza che non ero assolutamente adatto a fare il pittore, ma che il mio talento mi portava piuttosto verso il campo dell’architettura”. Una pietosa bugia? Forse.
 
Ma il docente doveva aver osservato, nel segno rigido dell’aspirante allievo, quella petrosità della linea tipica di chi parte dalla griglia chiusa del disegno tecnico. L’architettura sembra pertanto la via confacente a Hitler. Creatività ancorata al piano del disegno tecnico rispetto al quale non viene richiesta la fluidità del segno. Eppure anche questa opportunità finisce per infrangersi nel momento in cui Hitler apprende che “l’ammissione alla scuola di architettura presupponeva la licenza della sezione architettonica della scuola tecnica; ma per l’entrata in questa si esigeva la licenza di scuola media. Tutto ciò mi mancava completamente. L’adempimento del mio bel sogno non era più possibile” .
 
Tutte le proiezioni fantastiche crollano, così, in breve tempo; ma Adolf, abbandonato a se stesso, si trasferisce definitivamente a Vienna. Coincide molto probabilmente con questo periodo il peggioramento del quadro psicologico, dettato da una situazione alienante; sono anni, infatti, in cui il futuro dittatore è costretto a vivere da vagabondo. Per poter guadagnare qualcosa cerca comunque, come pictor minimus, di mettere a frutto la predisposizione per il disegno e la pittura; dipinge allora cartoline e piccoli quadri-souvenir che vende poi lungo le strade con l’aiuto di Reinhold Hanissch, un compagno di disavventure conosciuto nell’ambiente antropologicamente devastato di un pubblico dormitorio. Queste opere raffigurano paesaggi urbani, edifici monumentali e qualche scorcio bucolico che rivela un sensibile uso degli accordi cromatici. A Hitler potrebbe aprirsi uno spazio formativo che potrebbe condurlo a una professione. Ma il suo carattere solitario e risentito, nonchè l’ambiente degradato in cui vive senza condivisione delle umiliazioni che subisce un artista – che risultavano invece condivise in una città artistica come Parigi – lo portano a considerare l’arte come un desiderio e una frustrazione; un rapporto di amore controverso e terribile, come quello che egli intrattiene con il mondo femminile. Gli anni drammatici della vita da clochard meritano un’analisi che ci fa comprendere quanto, nell’ambito della società, la mancanza di meccanismi compensativi di salvataggio delle persone problematiche o in difficoltà possa avere, al di là della necessità morale di un principio di solidarietà, ripercussioni gravissime sulla società stessa. Quello di Hitler è certamente un caso estremo. Ma proprio per questo è da analizzare con estrema attenzione.
 
Dal 1911, il futuro dittatore realizza opere più impegnative. I committenti sono i corniciai – che, non accontentandosi di esibire una cornice orfana, dotano l’opera lignea di un dipinto – e i mobilieri che realizzano divani con quadretti inseriti nello schienale, come ava di moda a quei tempi. Sotto il profilo stilistico, il pittore può essere inserito, come epigono, nel vedutismo ottocentesco.
Nel 1913, Hitler si trasferisce a Monaco per sfuggire al servizio di leva e qui si specializza nella copia di antichi dipinti di soggetto religioso e in paesaggi. Per tutta la vita, il dittatore si sentirà principalmente un artista e le sue biografie narrano che, per assecondare questa vena, quand’era al potere, cercando di rendersi irriconoscibile, raggiunse, qualche volta, le osterie in cui si riunivano gli artisti. E’ anche curioso notare che egli risparmiò la vita ad alcuni pittori comunisti, affermando che, in fondo, l’adesione a un contropotere apparteneva al quadro psicologico di diversi suoi colleghi.
 
Le opere devozionali vengono vendute da Hitler, all’esterno dell’Ufficio di Stato civile del Comune di Monaco, ai novelli sposi, come indispensabile capoletto per affrontare insieme le incertezze della vita. Lo stile pittorico dell’artista denota sempre una forte attrazione verso un rigido ordine compositivo – retaggio indubbio della formazione nel campo del disegno tecnico – mentre i soggetti raffigurati rivelano il carattere fortemente conservatore dell’artista, il quale – e va detto a sua parziale discolpa – deve dipingere per vivere, uniformandosi pertanto alle richieste meno qualificanti del mercato.


Appartiene a questi anni il quadro “Maria Madre con il Santo Figlio Gesù Cristo”, nel quale vengono appunto raffigurati la Madonna che cinge il bambino con entrambe le braccia e che appoggia il mento sul capo del piccolo, in atteggiamento materno di protezione e di amore; protagonisti dell’opera non sono soltanto le due sacre figure, descritte attraverso un accurato rilievo dei dettagli, ma anche il paesaggio bucolico dello sfondo, sognante e simbolico. La precisione con la quale vengono resi i petali delle margherite, alle spalle di Maria, è tipica del disegnatore tecnico che non concede nulla propria soggettività espressiva, ma che intende aderire alla statica oggettività della raffigurazione. Sotto il profilo tecnico, i dipinti sono affrontati, dopo l’accurata stesura di un disegno preparatorio, che poi egli colora.
Nel 1914, con l’entrata in guerra della Germania, Hitler decide di arruolarsi nell’esercito tedesco, senza rinunciare alla pittura. Libero ormai da necessità economiche, a diretto contatto con le brutalità del conflitto bellico, il pittore produce rappresentazioni scarne, crude e desolanti.
E’ importante comunque sottolineare quanto Hitler viva, anche pittoricamente, in un autistico isolamento, che non concede il minimo confronto con gli altri. Non viene sfiorato da alcuna tentazione proveniente dal vecchio impressionismo, dal Cubismo, dal Fauvismo, dal Futurismo, dall’Espressionismo che, anzi, verranno a delinearsi nella sua mente come antagonisti della pittura pura. L’estrema solitudine dell’aspirante artista – conchiuso in una perversa idea di purezza della propria fonte ispirativa – e la spigolosa scontatezza della sua arte porteranno, nel volgere di qualche anno, all’elaborazione di un pensiero assolutamente negativo rispetto a tutto ciò che non appartenga alla tradizione. Egli sviluppa, anche a partire dal proprio segno, una traccia che parte da Durer e da Holbein. Per quanto riguarda Durer egli è conscio che il pittore abbia unito la forza dell’arte tedesca al rinascimento italiano, di ispirazione greca. Tutto ciò che non parte dai quei presupposti e non si sviluppa in un realismo eroico, atemporale, tutto ciò che deforma la linea del reale per soggettive interpretazioni è “arte degenerata”. Accanto a questi elementi, il futuro dittatore amò in particolar modo le scene di vita quotidiana della pittura Biedermeier che rappresentava gruppi familiari tedeschi o austriaci, intenti serenamente nel lavoro al tavolo, nel gioco costruttivo o in amabili colloqui.
E’ da sottolineare il fatto che l’arte Biedermeier contrassegna il periodo della Restaurazione, dopo il crollo del mito napoleonico e costituisce l’ossatura ottocentesca dell’espressione tedesca. In essa appaio contadini e piccolo borghesi; proprio quel popolo a quei tempi poco incline alla politica, riservato e lavoratore che, a giudizio di Adolf, costituiva l’asse produttiva del Paese, ma era dominato, a livello di rappresentanze parlamentari e di Governo, da altre etnie.
 
L’arte, per Hitler, è espressione di ogni singola razza; un’espressione connaturata alla natura particolare di ogni popolo, come spiegava nel 1926 Hans F.K Gunther, autore del libro “Razza e stile” , testo e concetto che dovettero costituire un punto di riferimento e di condivisione ideologica per il futuro dittatore. E il concetto di degenerazione sembra delinearsi, con un termine che ha la valenza di una diagnosi medica e antropologica, in direzione di altre degenerazioni, quelle razziali. La pittura figurativa sconterà, dopo la caduta del Fascismo e del Nazismo – e conclusa la stagione dei realismi socialisti – una lunga,  silenziosa condanna, che, di fatto, non si è ancora conclusa. Il ritorno all’ordine e alla figura assunsero una connotazione non politicamente corretta, mentre le democrazie post-belliche ricollocarono al centro dell’attenzione tutti gli  autori messi all’indice da Hitler e dai suoi collaboratori.
NEL 1936 LA PUBBLICAZIONE DI UNA PICCOLA ANTOLOGIA CRITICA DELLE OPERE DI HITLER
I dipinti di Hitler hanno, per un certo periodo, la funzione di dimostrare la natura ispirata del dittatore, che sembra assumere la funzione del vate. Il 24 aprile 1936 la stampa tedesca annuncia l’uscita di una raccolta di acquerelli. L’analisi critica è condotta da da Heinrich Hoffman, primo fotografo del Reich e l’opera non è ricca: presenta sette acquerelli a colori e un settimo in bianco e nero. I mass media tendono a sottolineare l’abilità dell’artista e al tempo stesso il ruolo fatale della sua mancata accettazione all’accademia. Il destino del mondo sarebbe forse cambiato se l’istituzione formativa avesse aperto le porte al giovane aspirante pittore-architetto.
Con un articolo al quale viene posto il titolo “L’arte come fondamento della forza creatrice in politica, il 24 aprile 1936 Il Volkischer Beobachter analizza, dalle sue colonne, il libro e il suo contenuto, trasformando tutto in un preciso messaggio politico. “Oggi noi sappiamo che non fu per un caso che Adolf Hitler, non contasse tra i numerosi allievi dell’Accademia di pittura di Vienna. Egli era chiamato a un compito più alto che diventare un buon pittore o forse un buon architetto. Il dono per la pittura non è però un un aspetto della sua personalità dovuto semplicemente al caso; esso èun tratto fondamentale appartenente al nucleo della sua essenza. Sussiste un legame intimo e indefettibile tra le opere artistiche del Fuehrer e la sua Grande opere politica. L’artisticità è alla radice del suo sviluppo come politico e come uomo di Stato, (…) Egli ha dato al termine politica il senso di una costruzione e a questo non potè pervenire se non perchè la sua idea politica si era sviluppata sulla base delle conoscenze ricavate da un’attività artistica di cui ha fatto personalmente esperienza creativa”.
L’atteggiamento di Hitler rispetto alle proprie opere del passato e l’attenzione che egli poneva nei confronti degli edifici del barocco tedesco mutarono, negativamente, quando rimase folgorato dalla pulizia e dal rigore magniloquente, del classicismo titanico dell’architetto Paul Troost. Cambiò il suo gusto estetico; cambiarono anche gli schizzi architettonici che amava stendere.
L’architetto Speer, testimone diretto del mutamento, racconta: ” Il suo atteggiamento nei confronti di Troost era simile a quello dell’allievo rispetto all’insegnante e mi ricordava l’ammirazione e l’incapacità di critica che io provavo per il mio maestro Tessenow. Tale aspetto di Hitler mi piaceva molto. Rimanevo stupito che questo uomo, che era oggetto di venerazione da parte dei suoi seguaci, potesse provare, a sua volta, un sentimento di adorazione. Poichè Hitler si sentiva architetto, egli si inchinava, in questa disciplina, alla superiorità del maestro. Certo, nel campo della politica non l’avrebbe mai fatto. Con grande semplicità. Hitler narrava che nel momento in cui aveva visto i lavori di Troost, gli era “caduta la benda dagli occhi. E aggiungeva: ‘Da quell’istante non fui più in grado di sopportare ciò che avevo disegnato, fino ad allora. Che fortuna aver conosciuto quell’uomo.”’
CONDANNA E RESURREZIONE
DELL’ “ARTE DEGENERATA”
Le conseguenze del pensiero artistico del dittatore: la battaglia contro il cubismo, Picasso, il primitivismo e l’espressionismo. Il rogo delle opere. Egli come ex artista si occupò personalmente di indicare le linee della nuova estetica e a condannare i pittori da essa lontana, le cui opere furono esposte nel 1937 alla mostra dell’arte degenerata che richiamò un milione e 200mila visitatori
Con l’avvento del nuovo regime nazionalsocialista in Germania, i nazisti iniziarono un programma di pulizia etnica anche nell’ambito dell’arte,”epurando” i musei tedeschi da tutte le opere moderne: cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste.
Vennero confiscate più di seimila opere, tra quadri e sculture, in parte destinate al rogo, in parte vendute all’asta a musei americani e svizzeri e in parte esposte al pubblico ludibrio nella mostra di Arte degenerata. In questa mostra, inaugurata da Hitler nel 1937, le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e da elevatissime indicazioni di prezzo, costi che i musei avevano precedentemente pagato agli «speculatori ebrei». L’esposizione si proponeva di mostrare al pubblico quei generi artistici non ammessi dalla nuova «razza superiore», definiti appunto come «degenerati». L’apertura dell’esposizione avvenne il giorno dopo l’inaugurazione di una Grande Rassegna di arte Germanica, che comprendeva invece opere gradite al regime. Per effetto indesiderato, e per questo destinato a diventare un boomerang, la mostra di arte degenerata ebbe un successo di gran lunga maggiore di quella di arte ufficiale; la sua apertura dovette essere prolungata ed il pubblico (si conteranno alla fine più di un milione duecentomila persone) fu costretto a lunghe attese prima di vederla, attratto soprattutto dallo scandalismo per il quale essa era stata vietata ai più giovani. Il risultato di tale programma fu l’enorme pubblicità all’estetica “degenerata”, destinata a diffondersi ovunque a distanza di pochi anni, a regime nazista finito.
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I nazionalsocialisti cercarono di riformare l’intera cultura e di assoggettarla alla loro ideologia, con un regime totalitario ed una cultura omologata dall’apparato di potere nazionalsocialista. Il nuovo uomo-modello doveva corrispondere all’ideale razzista e divenne il soggetto caratteristico e dominante dell’arte nazionalsocialista. La visione artistica del Terzo Reich è fedelmente rispecchiata nei quadri di Arno Breker. Culto del corpo, unità razziale e forza militare costituiscono la base dell’ideale dei nazionalsocialisti.
La nuova cultura unitaria, con la riunione di tutti i cittadini nella cerchia della Corte Imperiale Culturale, distrusse la molteplicità culturale in Germania. L’astensione da tale organo significava il divieto a numerosi letterati, ebrei, democratici e artisti di svolgere la propria attività.
Poiché Hitler si sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e dell’architettura, intervenne in modo smodato nelle attività artistiche: impose l’annientamento di ogni influsso stilistico moderno internazionale, che doveva essere schiacciato dalla rappresentazione del patetico eroismo dell’anima e del corpo.
Così si espresse Adolf Hitler durante il congresso sulla cultura, nel 1935: “Sono certo che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista porteranno ricche innovazioni nel campo della produzione artistica e grandi miglioramenti nel settore rispetto ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico. (…) Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Se questa è tale, allora nessun’offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degenerazione e decadenza. Ciò che si rivela il “culto del primitivo” non è espressione di un’anima naif, ma di un futuro del tutto corrotto e malato.
(…) Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all’espressione del “primitivo” nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali “barbari”.
Göbbels, in un primo tempo ammiratore di pittori moderni, ne divenne il critico ferocissimo. Il gerarca, dopo aver accennato qualche velleità d’indipendenza artistica, si schiera prontamente, e con opportunismo, dalla parte di Hitler. Preoccupato per la propria posizione in seno al gruppo dirigente, onde evitare critiche che lo avrebbero fatto cadere in disgrazia, egli appoggia il Führer e lo difende accanitamente nei suoi principi per un’arte ariana e antisemita. Così anche per Göbbels l’espressionismo, il primitivismo, il cubismo ed ogni altra forma d’arte moderna e d’avanguardia diventano bersagli di violenti attacchi.
“Dalla presa del potere ho lasciato quattro anni di tempo alla critica d’arte tedesca per orientarsi in base ai principi del nazionalsocialismo. – scrisse – Dato che neanche l’anno 1936 ha segnato un miglioramento in questo senso, proibisco da oggi una continuazione della critica d’arte nella forma adottata finora. Al posto della critica d’arte esistita finora da oggi viene istituito il resoconto d’arte, e il redattore d’arte al posto del critico d’arte. Il resoconto deve essere molto più una descrizione di un’interpretazione, quindi un omaggio. (…) . Esso richiede cultura, tatto, adeguato animo e rispetto per il volere artistico. (…) All’interno delle liste dei lavori della stampa tedesca la carica del redattore d’arte è legata ad un’autorizzazione particolare, la quale a sua volta è dipendente dalla dimostrazione del possesso di una sufficiente conoscenza del campo artistico all’interno del quale il redattore sarà attivo prossimamente.”
Arte degenerata
Nel 1937 a Monaco i nazisti organizzano un’esibizione di quella che loro chiamavano Entartete Kunst, cioè arte degenerata. Lo scopo della mostra è quello di far sapere ai tedeschi che certe forme e generi artistici non sono accettati dalla razza superiore, quest’arte è degenerata in quanto ebraica, bolscevica o comunque di razza inferiore. Qualsiasi cosa che non rientri nel modo di pensare di Hitler è considerato “degenerato”, perché l’arte deve esaltare lo stile di vita ariano. Gli autori delle opere proibite, dichiarati malati, sono per la maggior parte espressionisti, proprio quegli artisti che oggi tutti riconoscono come personalità di spicco: Ernst Barlach, Max Beckmann, Otto Dix, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Käthe Kollowitz, Max Liebermann, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edward Munch e molti altri senza escludere “il più degenerato degli artisti”, Pablo Picasso.
Inaugurata da Hitler e Göbbels, l’esposizione è accompagnata da un catalogo illustrato, che in un capitolo introduttivo spiega i fini di siffatta manifestazione e presenta l’insieme delle opere raggruppandole sotto vari temi, ad esempio: “Manifestazioni dell’arte razzista giudaica”, “Invasione del bolscevismo in arte”, “La donna tedesca messa in ridicolo”, “Oltraggio agli eroi”,” I contadini tedeschi visti dagli ebrei”, “La follia eretta a metodo” o “La natura vista da menti malate”. Le tele esposte sono circondate da slogan che puntano a metterle in ridicolo, e accompagnate, a titolo di confronto, dai disegni di malati mentali internati.
La mostra dà inizio ad una serie d’eventi artistici nella Germania di quei tempi, che risultano un metodo molto efficace per condizionare l’opinione generale. I nazisti, con sapiente regia ed efficace suggestione propagandistica, distruggono alcune opere d’arte in pubblico, così da creare quelli che spregiativamente vengono appellati “martiri”. Il modo in cui lo fecero funzionò e così tutta l’arte d’avanguardia venne etichettata come incomprensibile.
Con la salita al potere del partito nazionalsocialista nel 1933, in Germania, era già stata proibita l’esposizione di qualsiasi opera delle avanguardie in musei pubblici e gallerie d’arte e gli artisti erano stati messi sotto sorveglianza.
La repressione culturale raggiunse il suo culmine nel 1937, con la mostra di cui ci occupiamo, nella quale furono esposte oltre 650 opere precedentemente confiscate, di 112 artisti che i nazisti consideravano decadenti. La maggior parte delle opere doveva la sua etichetta di degenerata al fatto di provenire da artisti di sinistra, o semplicemente a causa della loro visione antinazista. Altri artisti vennero considerati degenerati per via delle loro origini ebraiche.
L’esposizione delle opere della Entartete Kunst aveva come scopo quello di mostrare al popolo quale forma d’arte veniva da quel momento in poi riconosciuta come “accettata” e quella invece “degenerata”, non ammessa alla nuova cultura. Oggi essa ci dà un quadro dell’intollerante mentalità imposta da Hitler durante il regime nazionalsocialista e della ingiusta svalutazione che egli ha fatto di notevoli personalità e di affascinanti e singolari movimenti artistici, che oggi vengono ancora o nuovamente studiati ed ammirati.
 
Dal discorso di Hitler per l’inaugurazione della “PRIMA GRANDE ESPOSIZIONE DI ARTE TEDESCA”
In questa prima mostra della nuova arte tedesca vennero esposte opere d’arte contemporanea che rispecchiavano il nuovo ideale nazionalsocialista, venerato durante la dittatura di Hitler. Queste opere erano in contrapposizione con quelle della Entartete Kunst; infatti erano destinate a rappresentare la bellezza e il benessere del nuovo regime.
Questo discorso richiama la mentalità imposta da Hitler.
Völkischer Beobachter, 19 luglio1937
“Vorrei quindi, oggi in questa sede, fare la seguente constatazione: fino all’ascesa al potere del Nazionalsocialismo c’era in Germania un’ arte cosiddetta “moderna”, cioè, come appunto è nell’essenza di questa parola, ogni anno un’arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un’ “arte tedesca”, ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un’arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore.”
“ARTE DEGENERATA”
GLI ARTISTI MESSI ALL’INDICE DAL NAZISMO
Ernst Barlach
Willi Baumeister
Max Beckmann
Karl Brendel
Marc Chagall
Otto Dix
Max Ernst
Conrad Felixmüller
Otto Freundlich
George Grosz
Hans Grundig
Richard Haizmann
Erich Heckel
Eugen Hoffmann
Ernst Ludwig Kirchner
Paul Klee
Paul Kleinschmidt
Oskar Kokoschka
Rolf Kurth
Max Liebermann
Ludwig Meidner
Jean Metzinger
Paula Modersohn-Becker
Johannes Molzahn
Wilhelm Morgner
Gabriele Münter
Hanna Nagel
Emil Nolde
Felix Nussbaum
Franz Radziwill
Emy Roeder
Oskar Schlemmer
Karl Schmidt-Rottluff
Kurt Schwitters
Friedrich Skade
Christoph Voll
LA PASSIONE DI HITLER PER BIANCANEVE E SUOI DISEGNI DEI NANI

Cucciolo disegnato da Hitler
Cucciolo disegnato da Hitler

Singolare è la passione manifestata da Hitler per Biancaneve e i sette nani, nella versione disneyana, film proibito in Germania. Il dittatore avrebbe ripreso, attraverso disegni colorati, i personaggi dei nanetti, poiché aveva apprezzato il film d’animazione di Disney (1937). L’opera, per quanto contestata – s’era inteso il fatto che la regina cattiva fosse l’immagine traslata della Germania – aveva un’anima tedesca. Era stata tratta da una fiaba dei fratelli Grimm,i quali avevano preso ispirazione da un’antica storia, ispirata a una drammatica vicenda avvenuta in Germania nel Settecento. Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal aveva perso prematuramente la madre. Suo padre si era risposato con una vedova che aveva pensato di eliminare la figliastra, per favorire i propri figli di primo letto. Prima di essere uccisa, Maria Sophia sarebbe fuggita nei boschi, riparando in una zona mineraria in cui lavoravano bambini o persone di modesta statura che potevano muoversi agevolmente nei cunicoli. L’immagine dei minatori sarebbe stata sovrapposta a quella degli gnomi leggendari, presenti nella letteratura popolare.

PER CONOSCERE IL RAPPORTO TRA HITLER E IL FILM DI BIANCANEVE CLICCARE, DI SEGUITO, SUL NOSTRO LINK

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