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I Buddha Occidentali di Alessandra Urso




Stile intervista Alessandra Urso
Iniziamo con una breve scheda anagrafica. Nell’ambito dell’espressione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?
Si: Scultura figurativa orientata alla ricerca spirituale e pittura ripresa dai graffiti arcaici. Sto studiando da anni la figura dei Buddha estrapolandoli dalla cultura orientale per sintetizzare una forma che sia adatta all’occidente. I Buddha Occidentali, appunto.
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Ci può raccontare imprinting visivi, immagini artisticamente ossessive, che hanno preceduto e assecondato la scelta di intraprendere la strada formativa per diventare artista?
Per rispondere a questa domanda devo risalire ai tempi dell’infanzia, temo.

Alessandra Urso con Liu Manwen
Alessandra Urso con Liu Manwen

Sono nata in una famiglia dove l’arte e la cultura sono sempre state messe al  primo posto. Mio padre, scultore e insegnante di storia dell’arte, amava raccontare aneddoti legati agli artisti di tutti i tempi; aveva l’arte nel sangue ed era impossibile resistergli quando, con la passione negli occhi, faceva rivivere situazioni vissute da artisti di centinaia di anni fa come se fossero qui, ora. Li interpretava come un attore e ci trovava sempre il messaggio più vivo e vicino a noi che potesse esistere.
La casa era piena dei suoi quadri e sculture, ed io, piccolissima, li osservavo assimilandoli come il parametro di tutto ciò che è bello. I suoi quadri attingevano ai graffiti rupestri del Tassili, Inca, messicani e Africani, essendo mio padre un artista che ha raggiunto la sua maturazione negli anni 60 e quindi figlio diretto delle correnti primitivistiche. Come bambina, non potevo di certo capire quei mostruosi mascheroni vudù e figure deformate che componevano i suoi quadri, e trovavo rassicurante andare a spiare nei suoi libri d’arte le Madonne di Antonello da Messina e dei pittori rinascimentali, rimanendo particolarmente colpita dalla Madonna dal velo blu di Messina, appunto.
wbuddha_voltoDal canto mio, ascoltavo le sue “lezioni animate” e contemporaneamente ero affascinata dai cartoni giapponesi! Durante la mia infanzia spopolavano i cartoni di Ufo Robot, con queste figure incredibili di robot-samurai che lottavano per salvare l’umanità ed erano permeati di simboli orientali totalmente estranei alla nostra cultura. Io ne ero assolutamente ipnotizzata, al punto che sospetto di essere stata una giapponese in qualche vita passata.
Quelle storie dunque hanno colpito profondamente la mia fantasia, abbinando processioni di splendide Madonne medievali a fantasmagorici voli di ufo nello spazio; tutto sommato, potrei dire che la ricerca dei Buddha Occidentali sia una sintesi raffinata tra le qualità nobili degli ufo-robot samurai e la bellezza armonica della Madonna di Antonello da Messina…
Un giorno mio padre, per tenermi impegnata, mi insegnò un gioco: scrivere come gli antichi Sumeri. Prese una patata e la tagliò in due: sulle superfici piane della patata incise dei segni allungati come i caratteri cuneiformi e li ricoprì di colore. Dopo di che li stampò sulla carta mostrandomi come si potessero comporre tra loro e creare un ritmo. “Così scrivevano i Sumeri! Ora prova tu” mi disse, e da allora temo di non avere più smesso, componendo forme di tutti i tipi e cercando quasi disperatamente il ritmo in ogni immagine che vedo nel mondo.
Tutto è musica, diceva, e un giorno mi raccontò come avesse scandalizzato la nonna, profondamente religiosa, dicendole che per lui la Bibbia è come un violino: ognuno può suonarla come vuole…

Mi spingeva ad immaginare delle musiche “interpretando” delle opere d’arte.  Mi fece provare, una volta, ad assegnare diversi valori ritmici alla struttura del Partenone: “Le colonne: potenti tamburi africani! Lenti e cadenzati, in un moto circolare. Le scanalature delle colonne: tanti piccoli flauti! Suonati nell’intervallo di tempo dei tamburi. I bassorilievi del timpano: soavi melodie! Canti che narrano le gesta degli eroi.”  E così, da allora, forme e suoni si intersecano nella mia mente in una sinfonia senza fine: un giorno proverò davvero a dar vita a questi suoni, così potrò ascoltare ancora la musica di mio padre.
Come artista devo a lui quasi tutto quello che so; il resto l’ho raccolto strada facendo. Essere figlia sua ha fatto si che iniziassi molto presto a farmi domande precise sul senso della vita. Subito, ho capito che la vita è un’occasione unica di cui non va sprecato un attimo. Per questo, memore dei suoi racconti, pensavo che come artista avrei avuto le stesse possibilità di tutti gli altri, con un’unica occasione per spendere la vita al meglio; per cui stava solo a me riuscirci. Ho deciso di provare, procedendo fino a raggiungere il mio limite: semplicemente, essendo me stessa.
Per questo ho cercato le tracce dell’uomo nella storia e nell’archeologia e il senso della vita nelle sue origini; ho trovato tracce della mia identità in quelle dell’intera umanità.
Osservando la mia mente, ho trovato un solo e continuo divenire di esseri che, uno dopo l’altro, hanno lasciato il loro contributo.
Concludendo, posso dire che il nucleo della mia ricerca artistica è la ricerca della forma primigenia dell’uomo; nella storia per le immagini primitive, e nella spiritualità con le figure dei Buddha Occidentali.


La formazione vera e propria. Dove e su cosa ha particolarmente lavorato? Sono esistite, in quel periodo, infatuazioni espressive poi abbandonate? Come si sviluppa e si conclude – nel senso stretto dell’acquisizione dei mezzi espressivi – il periodo formativo?
 
Particolarmente incisiva, nella mia formazione di scultrice, è stata la collaborazione con fonderie d’arte nel settore dell’arte sacra, importante per le acquisizioni tecniche, ma anche per l’allenamento a mediare tra la richiesta del committente e la mia visione artistica. Traumatico agli inizi, vittorioso alla fine, con la creazione del Monumento alle Due Carrare.
dama degli alberiAltro tema fondamentale nella mia formazione è stata la frequentazione dello studio dello scultore Buddhista Alfredo Baracco, di cui sono stata allieva. Da lui ho appreso tecnica, meditazione, pulizia, buddhismo; ma ho rifiutato perfezionismo, leziosità, stereotipi artistici e decorativismi sterili. Da qui è nata la mia necessità assoluta di estrapolare la figura di un Buddha libero da condizionamenti culturali, direttamente connesso alla fonte originaria e quindi adatto ad esseri senza connotazione geografiche.
Altri elementi importanti nella mia formazione sono l’acquisizione di tecniche adoperate nella scultura industriale e scenografica.
 
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
 
E’ difficile rispondere sinteticamente ad una domanda di tale vastità culturale, ma ci posso provare. Nell’arte, Giacometti con l’Ombra della Sera etrusca alla quale sono stata sempre molto legata; l’arte buddhista; la Madonna di Antonello da Messina; i graffiti rupestri. Nella filosofia, naturalmente il Buddhismo con la sua ricerca del Vuoto; precedentemente il Taoismo, nell’equilibrio cosmico espresso attraverso il movimento. Nella politica devo confessare di avere sempre coltivato volutamente un forte disinteresse: tutti questi litigi poco edificanti mi sono sempre apparsi come una perdita di tempo. Nel cinema, sicuramente “Sogni” di Akira Kurosawa e in particolare l’episodio delle Volpi, in cui compaiono strani personaggi mitologici che camminano in processione.  Nella letteratura, un primo grande amore, “Al dio sconosciuto” di John Steinbeck, in cui ho intravisto l’aspetto selvaggio e sacerdotale della natura.
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Gli esordi come e dove sono avvenuti? Ci può descrivere le opere di quei giorni e far capire quanto e come le stesse – anche per opposizione – abbiano inciso sull’attuale produzione?
Gli esordi sono avvenuti a Padova, la mia città natale, subito dopo essere uscita dall’Accademia (1993). A quell’epoca creavo dei quadri che chiamavo sculture da muro, pannelli in legno materici che per me rappresentavano i muri antichi che sempre mi hanno affascinato nelle mie ricognizioni delle aree archeologiche; rimanevo ipnotizzata nell’osservare quelle pietre composte da mani di uomini di migliaia di anni fa, appartenenti ad un mondo quasi fantastico eppure così reali nella loro manifestazione compositiva, quasi si potessero ripercorrere i pensieri che aveva fatto quella persona costruendoli. Per me era fondamentale creare qualcosa che “esistesse”, una presenza fisica, piuttosto che rappresentare qualcosa con un artificio. Volevo insomma ripercorrere il momento unico che presiede ad ogni evento della vita. Poco tempo dopo cominciai a creare i “Guerrieri”, totem in legno in cui le mie sculture da muro finalmente trovavano il coraggio di esistere di per sé stesse. Erano, queste, statue esagerate nella loro altezza; quasi delle ombre che uscivano dalla nebbia riportando alla mente “L’ombra della Sera” degli Etruschi e di Giacometti. Numi tutelari forse, o guardiani della soglia che separa il mondo diurno da quello onirico. I loro colli lunghi sembravano proiettare gli sguardi, nella loro alterigia, oltre orizzonti invisibili quasi a scrutare la circolarità del tempo, dove passato presente e futuro si incontrano per ricominciare così, in un ciclo infinito. Questo per me è stato l’inizio di un percorso profondo e complesso, sempre nel tentativo di  afferrare quel qualche cosa che si nasconde dietro il mistero dell’esistenza e che a volte sembra essere sulla punta della lingua. Non ho mai abbandonato questo percorso, anche se poi ho cambiato stile espressivo dirigendomi verso la scultura figurativa; questa “presenza”, questa sospensione nel tempo e questo “esserci qui e ora, assolutamente ed immediatamente” è sicuramente il nucleo centrale dei miei Buddha Occidentali, dove gli sguardi continuano ad osservare paesaggi sconfinati dentro una mente primordiale.

Quali sono stati gli elementi di svolta più importanti dall’esordio ad oggi. Possiamo suddividere e analizzare tecnicamente, espressivamente e stilisticamente ogni suo periodo?
 
Sicuramente l’inizio della collaborazione con le fonderie d’arte, in cui la forzatura a temi religiosi su commissione ha creato in me una forte scissione stilistica dal periodo dei totem. Qui mi trovavo a dover rappresentare, imitare la realtà con il massimo sforzo ed “artificio”.  La serie di statue intitolate “Mutanti”, edite nel catalogo della mostra avvenuta all’Accademia dei Concordi a Rovigo nel 2004, porta in sé tutto questo conflitto; tecnicamente l’uso della terracotta, nuovo per me, fa il suo ingresso nella creazione di figure molto bloccate, dai colli esageratamente lunghi, i cui sguardi (che nella mia visione dovevano contemplare il tempo come nelle statue precedenti) risultano di una severità glaciale, quasi un distacco dalla realtà. In questo periodo nascono però anche la “Dama degli Alberi” (soggetto ripreso per due monumenti nel 2012, uno a Due Carrare -Pd e uno a Shanghai)  e la “Silfide”, statue in cui la fissità finalmente si rompe per ritrovare il respiro vitale. Queste statue sono realizzate con la tecnica vuota, banalmente chiamata colombino; raggiungono altezze anche di mt 1.60 come nel caso della Silfide, cosa difficile da fare senza la minima crepa, a detta del maestro di fornace che cuoce per me. Questa statua in particolare ha un baricentro cosiddetto impossibile; può stare in piedi grazie alla differenza degli spessori che si assottigliano verso l’alto, rendendola più pesante alla base e quindi stabile.
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Nel 2007 creo un video intitolato “La Danza delle Donne” in cui raccolgo tutto il lavoro collegato al tema dell’archeologia e agli insegnamenti di mio padre. Faccio una personale in cui espongo tutto ciò che riguarda l’argomento, pensando di chiudere un capitolo della mia vita artistica; in realtà da questo evento nasce una nuova fase legata ai graffiti e al tema delle Ballerine (o Danza delle Donne), che continua il filone storico.

La tecnica vuota mi toglie libertà espressiva, per cui comincio a lavorare sul pieno, a seguito dell’aver raffinato tecnicamente la realizzazione dei modelli per le fonderie: scopro l’uso della plastilina sul polistirolo armato, che mi permette la creazione di forme ardite, per il bronzo, con il quale realizzerò nel 2008 il Monumento alle Due Carrare, per 4 metri d’altezza.
Parallelamente l’uso della creta piena mi porta ad una distensione delle forme e ad un figurativo più rilassato, sempre con i limiti della terracotta nella quale è limitato l’uso di armature. La creazione di questo monumento segna sicuramente la svolta stilistica più importante, dove per la prima volta un committente mi chiede un’idea completamente mia; qui, dieci anni di esperienza di fonderia diventa l’asso nella manica, sia dal punto di vista costruttivo, ma soprattutto dal punto di vista espressivo. Una scultura da piazza di quelle dimensioni rischia di sembrare un robot, se non si tratta con gli accorgimenti di un’opera monumentale.
Le due statue di questo monumento sono graziose, armoniche, in continuo movimento e con panneggi fluidi; ma quello che pochi notano è che sono molto, molto lunghe nelle proporzioni; guardano in alto, in contemplazione, e i loro occhi vedono orizzonti lontani. Le loro vesti drappeggiate a tratti  ricordano le vesti delle regine egizie; c’è qualcosa di primordiale, sotto la loro apparenza armoniosa, due esseri senza tempo. Potrebbero essere tranquillamente due guerrieri del mio primo periodo, ricoperti delle carni e di belle sembianze.
Un paio d’anni prima un altro evento segna un cambiamento stilistico che tende a integrare la tecnica figurativa delle fonderie: la creazione dei primi Meditatori, nati dall’incontro profondo col Buddismo Tibetano. Qui la ricerca dell’armonia trova il gusto di ricercare il “bello” dei tratti unendolo alla profondità degli sguardi, nuovamente liberi; nel 2010 nasce il Western Buddha, il primo Buddha Occidentale completo.
Questa ricerca si svolge unitamente al mio percorso nel buddhismo addentrandosi sempre di più nei suoi misteri.
Ci sono persone, colleghi, collezionisti, galleristi o critici ai quali riconosce un ruolo fondamentale nella sua vita artistica? Perché?
 
Il Direttore Artistico delle Fonderie Caggiati, Umberto Asti, già regista televisivo, con il quale il rapporto decennale di committente si è trasformato negli anni in qualcosa di molto vicino ad un mentore. Asti ha avuto il ruolo fondamentale di spingermi a fondere la professionalità tecnica con l’autenticità artistica, e tutt’oggi è un punto di riferimento quando cerco dei consigli.
Di fondamentale importanza anche un altro committente, il Sindaco di Due Carrare, Sergio Vason che è entrato immediatamente in sintonia con la mia potenzialità artistica e che non ha mai smesso di credere in me. A lui si deve la nascita del Monumento alle Due Carrare, Il Monumento agli Antichi, Il Crocifisso della sala consiliare e il Progetto del Parco Tematico “La Valle degli Antichi”. Grazie a questo ho potuto procedere considerevolmente nel mio sviluppo professionale.
Due artisti e amici poi hanno avuto parte importante nel mio cammino artistico: Nicola Artuso, scrittore e compagno di meditazione, con il quale si è messo in moto un proficuo “effetto specchio” e ho imparato ad estrapolare i contenuti dalle mie opere mettendoli in relazione col percorso, e Zhou Zhiwei, pittore cinese, Curatore del Museo d’arte moderna di Shanghai, con il quale il singolare incontro oriente-occidente ha assunto aspetti intercambiabili;  mi ha fatto realizzare la Dama degli Alberi – versione 2012 in Cina; questo viaggio, durato 2 mesi, ha segnato un momento di profonda evoluzione artistica, apertura di orizzonti e cambiamento personale.
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Materiali e tecniche. Ci può descrivere, analiticamente, come nasce una sua opera del periodo attuale, analizzandone ogni fase realizzativa, dall’idea alla conclusione?


Terracotta e bronzo. Una mia opera nasce sempre da una visione. Nulla può nascere se prima non lo si vede. La visione avviene in seguito ad uno stimolo: una committenza, una visione filosofica, una suggestione storica. Cerco di annotare con schizzi sommari tutto quello che mi passa per la mente, a volte cercando riferimenti sui libri di scultura; quello che mi piace di più lo sviluppo meglio, generalmente sono due o tre soggetti. In questa fase c’è il committente, che la maggior parte delle volte sceglie il soggetto che piace di più a me, quindi realizzo il bozzetto vero e proprio.
Nel caso di opere di grandi dimensioni realizzo dei cartoni in scala 1:1 del disegno e procedo nel costruire la statua; plastilina e polistirolo armato per il bronzo, creta per la terracotta. Il resto è il comune procedimento di fusione o cottura della terracotta.

Progetti nell’ambito espressivo e tecnico?
La realizzazione del Parco tematico sui Paleoveneti, progettato qualche anno fa per il Comune di Due Carrare, nell’area dei Colli Euganei; una quindicina di sculture per dare forma completa al tema archeologico con cui sono nata. Lo sviluppo dei Buddha Occidentali, per i quali ho trasferito il mio studio vicino all’Istituto Buddhista Lama Tzong Khapa, in Toscana.
 
Ha gallerie di riferimento? Dove possono essere acquistate le sue opere?
Ho sempre lavorato in modo autonomo, attraverso committenze da fonderie d’arte, enti pubblici, studi di architettura. Posso essere contattata tramite il mio sito www.arteurso.com e http://www.buddhaoccidentali.onweb.it;  prossimamente sarò presente in uno showroom a Padova.
Orientativamente, quali sono le quotazioni o comunque i prezzi delle sue opere, indicando le commisurazioni?
I Buddha Occidentali si aggirano tra i 3.000 e i 5.000 euro; il Monumento alle Due Carrare, esclusa l’installazione, intorno ai 70.000 euro.
 
 A parte lei – che diamo come autore da acquisire – può indicarci il nome di colleghi di cui acquisterebbe le opere nel caso fosse un collezionista?
Silvio De Campo, pittore padovano di grande perizia tecnica e dalla creatività dirompente; figlio diretto dei figli dei fiori e che mi riporta alla mente i Pink Floyd. Zhou Zhiwei, pittore cinese che è diventato italiano più di trent’anni fa, per studiare la pittura dei grandi classici italiani; dai suoi quadri trapela tutta l’armonia dell’antica Cina. Maurizia Manfredi, pittrice padovana che ha fatto della tecnica rinascimentale uno strumento di introspezione attuale.
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