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I gioielli delle ragazze di Pompei. Cosa indossavano quella notte lontana e cosa cercarono di salvare


Fu forse l’eccesso di indugio? Fu il desiderio di non abbandonare immediatamente la casa, mettendo in salvo tutto ciò che fosse possibile? In poco tempo la situazione divenne insostenibile. I soccorsi via mare non arrivavano e la terra era infuocata.
Le donne avevano indossato i propri gioielli – molti erano sontuosi, evidenti, secondo la nuova moda legata al boom economico di quel luogo e di quegli anni – gli uomini avevano recuperato monete. Molti si erano accalcati verso la riva, in attesa che arrivassero le barche dell’esercito. Sui corpi di alcune figure femminili riaffiorano ancora le forme dei gioielli.
Decine di vittime, uomini, donne e bambini affollati in un ambiente della Villa di Lucius Crassius Tertius (la cosiddetta Villa B), poco lontano dalla famosa Villa di Poppea a Torre Annunziata, in cerca di scampo dalla furia del Vesuvio portavano con sè i propri tesori. E questo è solo un esempio: 54 fuggiaschi, i cui scheletri sono stati ritrovati avevano una ricca dotazione di monete e gioielli che avevano sperato di salvare portandoli nella fuga.

Sul corpo delle vittime dell’eruzione – trovati in diversi punti dell’area pompeiana e vesuviana – rimasero piccoli grandi tesori, come l’armilla serpentiforme (bracciale a forma di serpente) che fu ritrovata nello scavo di Murecine, con la dedica all’interno “Dominus ancillae suae” (il padrone alla sua schiava, che fa pensare ad un rapporto speciale tra i due) e l’altra rinvenuta nella “Casa del bracciale d’oro”.

Questa casa deve il suo nome a un grande bracciale in oro dal peso di 610 grammi indossato da una delle vittime che tentava di fuggire. Il bracciale è caratterizzato nella parte terminale da due teste di serpente affrontate che reggono tra le fauci un disco con il busto della dea Selene (Luna).  La donna morì dopo essere tornata a prendere i propri gioielli?
Un altro fuggiasco porta, dalla stessa casa, una cassettina in legno e bronzo con 40 monete d’oro e 175 in argento. E’ interessante sottolineare quanto i gioielli non fossero solo splendidi oggetti da esibire, ma costituissero una delle forme predilette femminili di conservazione del capitale personale.

Negli scavi di Pompei ed Ercolano numerose vittime dell’ eruzione sono state trovate con indosso accessori in oro, tra cui orecchini, collane, bracciali ed anelli. I gioielli trovati nell’area vesuviana, sono ispirati sia nelle forme che nelle tecniche, alla tradizione orafa campana, specialmente per l’uso di perle e pietre dure.
Gli orecchini ritrovati sono di due tipi: forma sferica o pendenti con perle. Le collane possono essere divise in girocollo o collane lunghe con perline in oro o smeraldo.

Gran parte dei bracciali in oro ritrovati ha la forma di un serpente arrotolato, talvolta impreziosito con pietre preziose, in particolare smeraldi. Gli anelli erano impreziositi da gemme, ed incisi con motivi di animali o divinità.

E’ probabile che la scelta delle cose da salvare riguardasse i gioielli di valore maggiore. Amuleti, gemme ed elementi decorativi in faïence, bronzo, osso e ambra rimasero negli edifici, come è stato scoperto nello scavo della Regio V. Erano monili e piccoli oggetti legati al mondo femminile, utilizzati per ornamento personale o per proteggersi dalla cattiva sorte, quelli ritrovati in uno degli ambienti della casa del Giardino.
Custoditi in una cassa in legno erano parte dei preziosi di famiglia, che forse gli abitanti della casa non riuscirono a portare via prima di tentare la fuga o forse ciò che rimase fu ciò che non fu preso durante una concitata selezione.

La traccia della cassa in legno che conteneva i reperti, le cui cerniere bronzee si sono ben conservate all’interno del materiale vulcanico, a differenza della parte lignea decompostasi, è stata individuata accanto all’impronta di un’altra cassa o mobile nell’angolo di uno degli ambienti di servizio, probabilmente usato come deposito.

Sul fondo dell’impronta sono stati rinvenuti i numerosi oggetti preziosi, tra cui due specchi, diversi vaghi di collana, elementi decorativi in faïence, bronzo, osso e ambra, un unguentario vitreo, amuleti fallici, due frammenti di una spiga di circa 8 cm e una figura umana, entrambi in ambra, probabilmente dal valore apotropaico, e varie gemme (tra le quali una ametista con figura femminile e una corniola con figura di artigiano). Diversi pezzi si contraddistinguono per la qualità pregiata dei materiali, oltre che per la fattura. Tra le paste vitree, straordinarie sono quelle con incise, su una la testa di Dioniso, sull’altra un satiro danzante.

Alcuni oggetti preziosi sono stati rinvenuti anche in una altra stanza della casa, presso l’atrio, dove sono stati documentati i resti scheletrici di donne e bambini, sconvolti da scavi clandestini di età moderna (XVII – XVIII secolo), probabilmente finalizzati proprio al recupero dei preziosi che le vittime portavano con sé. Solo un anello in ferro, ancora al dito della vittima, e un amuleto di faïence sono casualmente sfuggiti a questo saccheggio.

“Da Matera a Pompei
viaggio nella bellezza”
Per quanto concerne la moda romana legata ai gioielli e la sua evoluzione nel tempo nonché le differenze tra gli stili regionali fu di notevole interesse la mostra “Da Matera a Pompei viaggio nella bellezza” a cura di Annamaria Mauro, Massimo Osanna, Gabriel Zuchtriegel allestita al museo nazionale di Matera dal 18 novembre 2021 al 30 giugno 2022.

Un viaggio nella bellezza tra Pompei e la Basilicata, per raccontare il ruolo della donna nel mondo antico, attraverso ornamenti e gioielli, espressione del gusto estetico di epoche e contesti differenti, ma anche simbolo di uno status sociale. Da un lato la Basilicata antica, influenzata dai costumi e dalle mode del mondo greco coloniale, dall’altro Pompei e l’area vesuviana, dove nel I secolo d.C. sono ben documentati lo stile e il gusto romano.

La mostra introdusse i visitatori in un mondo dorato con l’esposizione di un vaso a figure rosse della Collezione Rizzon del Museo di Matera, che riporta nell’iconografia la rappresentazione di monili e ornamenti, e due straordinari reperti da Pompei: l’affresco di una Vittoria alata riccamente ornata e la sensuale statua della Venere da Oplontis, simbolo della mostra.

Il percorso proseguì poi con il confronto tra le due realtà. Per i contesti del Materano (Timmari, Montescaglioso, Matera, Tricarico) le più ricche fonti di conoscenza di questo aspetto della vita femminile antica sono i corredi funebri e i contesti sacri. I preziosi ritrovati mostrano la particolare attenzione che anche le popolazioni locali avevano per il gusto e l’estetica dai tempi più antichi.


Ornamenti in pasta vitrea, argento e oro, prodotti sia in Magna Grecia sia nel Mediterraneo Orientale, erano per le donne di rango elevato un vero e proprio status symbol. La lavorazione di particolari materiali, come l’ambra che era estratta nell’area del Mar Baltico e lavorata da artigiani etrusco-campani, indica anche un florido commercio legato a questo tipo di oggetti esclusivi.

I materiali provenienti da Pompei e dall’area vesuviana (Stabiae, Oplontis, Terzigno), appartenenti a cronologie più recenti, testimoniano a pieno i modelli della cultura e della società romana dell’epoca. Questi mostrano proprio l’abbandono del rigore e dell’austerità della precedente età repubblicana, in favore di esibizione di lusso in età imperiale, per le classi sociali emergenti.

L’aspetto più interessante dei ritrovamenti di Pompei, distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., è proprio legato alla vita di chi possedeva questi oggetti.

Molti di questi erano ancora indossati da coloro che fuggivano e che li avevano portati con sé nella speranza di un futuro. A chiudere l’esposizione è, infatti, la copia del calco della fanciulla della villa B di Oplontis, sulla quale si possono ammirare i monili aderenti al corpo.