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I segreti degli antichi dipinti su tavola, dalle assi ai colori diluiti con latte di fico




Nel riquadro rosso, particolare dove a causa del degrado della pellicola pittorica  si può intravedere il disegno preparatorio sull’incarnato del Cristo
Nel riquadro rosso, particolare dove a causa del degrado della pellicola pittorica
si può intravedere il disegno preparatorio sull’incarnato del Cristo

I dipinti più antichi erano realizzati su tavola. E’ nel corso del Quattrocento – e soprattutto durante il Rinascimento – che il supporto ligneo subirà dei cambiamenti nell’ambito della realizzazione, sino ad arrivare alla sostituzione con la tela che permetteva una più semplice preparazione, grandi dimensioni con minor peso ed un conseguente e più facile trasporto delle opere d’arte.

Soffermandoci ad analizzare un dipinto su tavola e grazie a restauri eseguiti nel corso degli anni si è potuto approfondire e studiare le tecniche costruttive degli stessi. Interessante è constatare come niente fosse lasciato al caso da parte dell’artista. Si cominciava con una scelta accurata del legno, dettata anche dalle disponibilità economiche della committenza che poteva richiederne uno più pregiato di quello utilizzato normalmente dalla bottega. L’essenza più utilizzata in Italia era il pioppo. Questo legno doveva essere ben stagionato, per evitare deformazioni e fessurazioni successive, ed importantissimo era il tipo di taglio delle assi (mediano e/o radiale) che garantiva la piattezza del supporto e la conservazione nel tempo del dipinto. Le assi venivano unite tra loro, coese con colle e, nello spessore, potevano essere inseriti perni lignei per garantire maggior stabilità al supporto. La colla utilizzata era di natura proteica: sostanze di derivazione animale o caseinato di calcio (collante conosciuto sin dall’antichità). Sul retro dei dipinti venivano fissate delle traverse, in legno più duro, con dimensioni calcolate in base alle dimensioni del dipinto stesso con funzione di rinforzo e controllo.
Schema costruttivo con perni lignei inseriti nello spessore delle assi costituenti il dipinto
Schema costruttivo con perni lignei inseriti nello spessore delle assi costituenti il dipinto (sopra, nel disegno). I perni sono gli stessi utilizzati per la costruzione dei mobili.  Per evitare che la tavola creasse problemi, oltre ai perni inseriti tra asse, venivano collocati listelli che coprivano, come vediamo nella fotografia qui sopra, a desta

Prima di procedere alla realizzazione dell’opera, la tavola poteva essere coperta totalmente, o parzialmente in prossimità delle giunzioni delle assi, con tela di lino, che aveva la funzione di cuscinetto ammortizzatore tra il supporto ligneo e gli strati pittorici. Dopodiché si procedeva alla stesura dello strato preparatorio – sul quale sarebbe stata eseguita l’opera – in genere a base di gesso e colla, che veniva levigato, una volta asciutto, con pelli di pesce, particolari tipi di erba o con raschietti metallici. A questo punto l’artista realizzava il suo dipinto a volte su uno schizzo preparatorio ad acquerello o leggermente inciso nella preparazione. Le tecniche pittoriche erano varie a secondo del periodo e della preparazione di ogni singolo autore. Molto usato come legante, facendo fede alle indicazioni date dal Cennino Cennini nel “Libro dell’arte”, manuale di pittura della fine del XIV secolo, era l’impiego del “rossume d’uovo” miscelato con i vari pigmenti, mentre sempre il Cennini raccomandava una colla “chiarissima”, ottenuta con colla di pecora al posto del rosso d’uovo. E ciò per evitare che alcuni azzurri virassero in verde a causa delle sostanze contenute nell’uovo. Conferme alle metodologie di preparazione delle tavole ci giungono anche da “Le vite dei più eccellenti pittori,scultori e architetti” del Vasari (testo del XVI secolo), secondo il quale aggiungere al rosso d’uovo lattice di fico risultava un ottimo metodo per avere una buona tempera. Sempre il Vasari decanterà come “una grande commodità all’arte della pittura il colorito a olio” importato dalle Fiandre. Tecnica, secondo l’Aretino, ottima perché “accende più i colori” e più facile alle miscelazione e alle sfumature cromatiche. Ultima fase, molto importante, era la verniciatura finale del dipinto, che doveva essere applicata dopo un’attesa ragionevole dal completamento dell’opera.

L’attesa, per evitare che i pigmenti del colore fossero sciolti dalla vernice, era minimo di un anno. Nota curiosa: sempre il Cennini consigliava di verniciare il dipinto in una giornata senza vento, in un luogo non polveroso – l’aria muove la polvere che viene catturata dalla vernice, creando grumosità sulla pellicola – e dopo aver riscaldato vernice e tavola al sole per giungere, attraverso la fluidità del trattamento finale, a una stesura più uniforme. (mariella omodei)