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I sette colori di Hsiao Chin. Come scrivere un menù con eleganza


di Gualtiero Marchesi

marches11Nel mio pervicace rovello di rappresentazione – anche cromatica, anche visiva – di quell’impalpabile, ma esatta, cattedrale di sensazioni che sta dietro e dentro il sapore di un piatto, cercavo, un giorno, un’idea, anzi “l’idea” giusta per il racconto di un menù. Un menù di sette portate, legate in una concatenazione rigorosa: cosicché, non era tanto la decrittazione di ciascuna di esse, che mi interessava, quanto il dipanamento del filo comune, l’incasellamento della sequenza dei contrasti, dell’avvicendarsi di successive sollecitazioni, gustative ma pure – allo stesso livello, se non più – tattili. Un concetto che mi è caro, del resto: il lettore ricorderà la mia pasta ispirata alla serialità di Warhol, di cui ho parlato sul numero 49 di “Stilearte”.


E fu a quel punto che ebbi l’intuizione. Chi, meglio di Hsiao Chin, avrebbe potuto interpretare tale “viaggio in sette tappe”? Hsiao, amico di vecchia data, accettò la sfida. E la vinse nel modo più limpido e lineare. Con il quadro che vedete in questa stessa pagina. Fatto di sette, semplici, magici colpi di pennello. Maestro acclamato della pittura internazionale, Hsiao Chin ha saputo come pochi coniugare la millenaria tradizione cinese con gli aspetti, anche i più estremi, della cultura occidentale. In Europa ha conosciuto Miró, in America tutti i grandi dell’Action painting e del Gestualismo, con una particolare predilezione per Rothko. L’astrazione lo ha segnato con forza, senza peraltro soffocarne gli equilibri: si deve proprio all’esperienza di “Punto”, il movimento da lui fondato agli inizi degli anni Sessanta, una delle più autorevoli riflessioni sugli “eccessi” del Gestualismo e sulla necessità di una rinnovata, profonda meditazione filosofica.