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Icone pop anni Novanta. Va all’asta l’edificio del Mulino Bianco. Dov’è e perché è diventato un mito


Il Mulino bianco, un’icona pop degli anni Novanta, legata al sogno di un nuovo modo di vivere, in campagna, con antiche gioie e comodità contemporanee, va all’asta. Va all’asta l’edificio in sé – meta di turisti, legati sentimentalmente a quelle splendide immagini di un’Italia, più giovane, alla quale non era impedito sognare – proprio nel momento in cui lo smart working sembra creare una situazione di parallelismo stringente tra il sogno degli anni Novanta e gli aspetti positivi del lavoro da remoto, che abbiamo scoperto negli ultimi due anni. Il prezzo base è fissato in poco più di un milione di euro, l’offerta minima è 831.204 euro e 89 centesimi. La notizia è pubblicata da “La Nazione”.

Negli ultimi vent’anni il mulino era stato trasformato in un agriturismo con una decina di stanze, un solarium, una bella piscina, ristorante e un piccolo museo dov’è possibile vedere i macchinari utilizzati per produrre energia elettrica dalla ruota del mulino stesso e il funzionamento delle macine per il grano. La struttura si trova in un’area splendida, in Toscana, nel Comune di Chiusdino, non lontano dall’abbazia di san Galgano e dalla chiesa della Spada nella roccia.
Nel 1989 l’edificio venne scelto per ambientare i cortometraggi raffinati di pubblicità dei prodotti del Mulino bianco (Barilla) realizzati dal creativo Armando testa con la regia di Giuseppe Tornatore e la colonna sonora di Ennio Morricone.

Il mulino restaurato, nei pressi di Chiusdino, che fu l’iconico simbolo e lo sfondo scenografico per gli spot del Mulino Bianco. Immagine wikimedia commons di Barilla, Archivio Storico Barilla – ICAR, Direzione Generale degli Archivi – MIBACT

Armando Testa colse, in modo magistrale, la perdita di appeal delle metropoli e delle città – presente in quegli anni nella società italiana – e il modello nuovo che era un sogno collettivo. Su quello sfondo strepitoso dell’edificio toscano, dotato di una ruota che creava, sulla scena il dinamismo di un movimento costante e possente, ma placido – come fosse un nuovo metronomo, antitetico rispetto al ritmo caotico delle città – si muoveva la famiglia che tutti sognavano di essere. Papà e mamma erano due intellettuali. Federico, giornalista, Giulia, insegnante elementare. Con loro i due figli Andrea e Linda e il nonno. La vita, in quel luogo, era semplice e modernamente antica. Ogni comfort consentiva ai protagonisti di godere della modernità, raccordandola alle tradizioni arcaiche e alla campagna. La Famiglia del Mulino assurse ben presto a stereotipo della “famiglia perfetta” inserita in un luogo fiabesco, locuzione oggi comunemente utilizzata per riferirsi a rappresentazioni edulcorate della realtà. Qualcuno disse, negli anni, che il modello di benessere indicato dalla pubblicità era irraggiungibile e – specie gli intellettuali di sinistra – criticarono quel modo di “sognare di essere”. In fondo la pubblicità sembrava mettere in crisi l’idea di lotta di classe, poichè borghesi od operai desideravano, insieme, la stessa cosa. Ma la pubblicità è entrata nel cuore degli italiani, al punto che il Mulino bianco è un’immagine iconica di un mondo che non c’è più ma che potrebbe tornare ad essere, come, del resto. dimostra – dopo il lockdown -la ripresa economica frenetica attorno alla vendita di case e appartamenti in borghi o case di campagna.


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