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Il pittore seicentesco maniaco dei serpenti e delle farfalle. Vanitas e dolore


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SNAKES AND BUTTERFLIES, VANITAS AND DECADENCE IN XVII CENTURY PAINTINGS

di Luca Turelli

Otto Marseus van Schrieck è un nome che compare raramente nei libri di storia dell’arte: eppure egli è stato un pittore singolare e degno di nota per un’ossessione tematica che riprese dalle vanitates secentesche – dipinti che rappresentavano la caducità del mondo sensibile e l’ineluttabile avanzata della morte -, ma che interpretò con una coazione a ripetere, la reiterata flagellazione di un’idea fissa: serpenti, serpenti a profusione che divorano farfalle.

I soggetti che proponeva agli acquirenti sembrano invariabilmente quelli: muta la prospettiva, cambia lo scenario, ma i protagonisti sono sempre loro. Serpi viscide (con la variante di chioccioline striscianti) e farfalle vibratili, intrise di luce-colore.
Nato in Olanda – a Nimega, nel 1619 -, ha viaggiato in Francia, Inghilterra, Germania e Italia, luogo in cui è stato apprezzato più a fondo, tanto è vero che è conosciuto anche con il nome italianizzato di Ottone Marcellis. Le sue opere erano visibili nelle capitali dell’epoca: Roma, Firenze e Napoli, città dove visse a lungo – almeno fino al 1657, quando è accertato il suo ritorno in patria -. Fu probabilmente influenzato, nell’uso del cromatismo, dalla secolare tradizione della Penisola, uno stile sempre integrato sapientemente con gli insegnamenti pittorici del nord Europa, orientati alla “fotografica” precisione rappresentativa.
Un artista particolare, abbiamo detto. Il suo linguaggio inconfondibile è molto evidente nelle tele, che non possono essere considerate semplici nature morte o piacevoli vedute di brani di bosco immersi nella quotidianità. Sotto le foglie degli arbusti, tra le fronde degli alberi si muovono creature che hanno lo scopo di offrire un secondo piano di lettura, più nascosto, meno immediato. Le farfalle, lievi ed effimere nel loro peregrinare di fiore in fiore, rappresentano la bellezza, la virtù, la giovinezza, mentre i rettili, subdolamente nascosti nell’ombra tra i sassi e le piante, raffigurati mentre scattano verso la preda (le farfalle appunto), simboleggiano l’aspetto negativo della vita, il male, ciò che distrugge la serenità dell’esistenza, il tempo, che trascorrendo cancella la grazia e la felicità insite nell’essere giovane.


Non può sfuggire, dal sadismo che si fa colore, il recupero di una dimensione simbolica religiosa giacché, com’è ben noto, il serpente rappresenta, a partire dal libro della Genesi, l’incarnazione del male, mentre la farfalla, oltre ad essere icona – lo si diceva – della bellezza effimera della vita, è spesso utilizzata come simbolo dell’anima che, aprendo il bozzolo della morte, vola in cielo.
Allora entrambi divengono protagonisti di una sequenza doppiamente drammatica: non solo contemplazione della morte, ma possessione diabolica degli spiriti erranti, che non guadagnano rapidamente un’altezza dal terreno – in direzione del cielo – in grado di porli in salvo e che pertanto divengono preda dell’azione del male.
L’allusione alla fragilità e alla precarietà della vita continua in Piante e animali selvatici nei pressi di un bosco, nella scena che vede fronteggiarsi un tasso e una donnola: uno scontro senza pietà che segue le regole ferree che vedono prevalere il più forte. Ci sono anche libellule, bisce – che spesso sono fedeli copie di quelli realmente esistenti, in particolare il Coluber viridiflavus, tipica varietà italiana -. L’attenzione ai dettagli di flora e fauna fa pensare che l’artista riprendesse i soggetti dal vero, tesi confermata dal fatto che organizzò nella propria casa un piccolo zoo di insetti e animali di altro genere (tra cui è probabile ci fosse anche qualche serpe), che venivano poi utilizzati come modelli.
Parliamo ora delle nature morte. Oltre agli immancabili insetti, posati stancamente sulle corolle dei fiori, il disfacimento appare, nelle vanitates, con la dettagliata descrizione della materia che si estingue, dei fiori che si afflosciano in un irreversibile processo di decadimento. Vegetali che stanno seccando, quindi, ripresi nel momento che precede l’appassimento, lontani dall’originario fulgore.
In Uccello, camaleonte, serpente, farfalle ritroviamo il tema della lotta, questa volta tra un camaleonte e un colubro. Fanno da contorno alla scena placidi pappagalli e insetti, intenti a compiere voli spensierati e indifferenti.
Ancora, tartarughe e conchiglie, granchi e lumache, accanto ad altri piccoli rettili e bruchi sono protagonisti di alcune opere all’interno delle quali condividono lo stesso valore simbologico: sono esseri striscianti, utilizzati pertanto con una connotazione negativa. Dice Dio, nella Genesi: “Per quel che hai fatto, tu porterai questa maledizione fra tutti gli animali e fra tutte le bestie selvatiche. Striscerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. Metterò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua discendenza. Questa discendenza ti colpirà al capo e tu la colpirai al calcagno”.
E’ da sottolineare la precisione con la quale sono rappresentate la flora e la fauna: martin pescatori, cardellini, santamarie sono riconoscibili fin nei dettagli, e ciò a dimostrazione di un approccio tipicamente fiammingo al piano della realtà, rafforzato da un’osservazione scientifica del mondo, che, grazie al razionalismo, diveniva un modello imprescindibile per rappresentare il piano del visibile.


In Uccelli, insetti e fiori, per esempio, possiamo riconoscere con precisione il parrocchetto dal collare; i serpenti non sono idealizzati ma sono riconoscibili nel genere specifico: Coluber viridiflavus in Sottobosco con animali, Elaphe quatuorlineata in Serpente, farfalle e piante, natrix o biscia dal collare in Piante e animali selvatici nei pressi di un bosco.

Questa tendenza, però, è avvertibile soprattutto parlando dei vegetali, che perdono la loro indeterminatezza per divenire varietà identificabili come il mughetto, il caprifoglio, l’iris, le peonie, le gardenie, l’orchidea Ophrys, il delphinium, il cardo rossastro, l’amaranthus, il dente di cane. In Uccelli, insetti e fiori si parla di croco, non di una pianta qualsiasi, mentre ci sono verbascum e arum in Piante, farfalle e rettili. L’autore spesso si fa ancora più pignolo nell’attenzione ai dettagli, come accade nel caso dei muschi, dei licheni, dell’edera raffigurati sulla corteccia in Rettili, farfalle e piante nei pressi di un albero.