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Il mistico e celestiale Moretto ispirato da un libro equivoco



di Giuseppe Fusari
Nella storia, come accade nella costruzione di un romanzo, si ama contrapporre a un eroe positivo un altro negativo, affinché il meccanismo narrativo risulti avvincente e la scelta di campo (o l’immedesimazione) sia più facile e chiara. Così, fin dal titanico duello ingaggiato, attraverso le parole di Giovanni Testori, tra Moretto e Romanino, complici le tele della cappella del Sacramento in San Giovanni evangelista a Brescia, il rapporto tra i due artisti è stato inteso come lo scontro tra il mite Moretto e l’irregolare Romanino, dando a quest’ultimo l’anacronistica palma dell’eroe maledetto, scontroso e perciò amabile dalla nostra turbolenta modernità.

Per questo risulta difficile avanzare l’ipotesi che, non Romanino, ma Moretto potesse, nel corso degli anni Quaranta del Cinquecento, ispirarsi a un libretto poi giudicato eretico come il Beneficio di Cristo. L’ipotesi pare ‘eretica’ essa stessa, visto il ritratto agiografico che, anche in tempi abbastanza recenti, si è continuato a fare del Bonvicino. Eppure l’artista, a detta di tutti gli studiosi, è stato uno dei maggiori interpreti della pre-riforma cattolica che vedeva Brescia all’avanguardia nelle proposte e nelle discussioni. A Brescia, complice l’humus culturale e religioso, la dolce dottrina del Beneficio poteva trovare più di un motivo per essere accolta e amata: libretto di piccola mole, in volgare, era adatto a farsi leggere e comprendere soprattutto perché si serve di una scrittura semplice fatta di immagini.
E questo doveva contare non poco per un pittore, e più ancora per il Moretto la cui arte, d’ispirazione mistica, poteva trovare nelle immagini del Beneficio elementi efficaci per veicolare l’idea di una religione pura, cattolica e riformata, probabilmente secondo quel modello di riforma della Chiesa alla quale pensava la stessa Angela Merici nei suoi Ricordi. Moretto non si sottrae a questa curiosità spirituale, in nessuna contraddizione con le pratiche devote tradizionali, come dimostra l’intrinsecità con Lorenzo Lotto e la stessa partecipazione ‘in spirito’ alle idee di purificazione della chiesa propugnate dal Savonarola. D’altro canto, non è soltanto la notizia della grande diffusione del libretto che, nella sola Venezia, secondo la testimonianza di Pier Paolo Vergerio, avrebbe raggiunto in sei anni una tiratura di 40mila copie, a lasciare il sospetto che Moretto e altri potessero abbeverarsi a questa fonte, ma l’apparizione a Brescia (quasi in contemporanea con Roma), l’anno successivo alla pubblicazione del Beneficio, cioè nel 1544, di un’operetta a firma di Ambrogio Catarino Politi, nella quale si svelavano gli errori luterani contenuti nel trattato di Benedetto da Mantova. Tutto ciò, se non la certezza, lascia il dubbio che davvero, per un tratto di strada, anche Moretto si sia lasciato affascinare da questo piccolo libro che – come scrive Adriano Prosperi – raccoglieva “un’idea diffusa, presente quasi nell’aria che si respira”, l’idea di una religione “che aveva il centro nella memoria di un dono straordinario, capace di risarcire i debiti e di rendere agli uomini la giustizia di cui erano in cerca”. Fino a un certo tempo, infatti, la risposta italiana alla ‘scoperta del Vangelo’ di Lutero fu in diretto rapporto con l’atteggiamento mistico della devotio moderna e della imitazione di Cristo, riempita dal messaggio consolante della remissione delle colpe operata da Gesù per tutti attraverso la sua passione.
moretto cristo e l'angelo
Questo tema viene messo in scena, oltre che nelle cosiddette ‘pale eucaristiche’ di Marmentino e di Castenedolo, scalate durante gli anni Quaranta, in due capolavori della maturità del Moretto: l’Ecce Homo di Capodimonte e il Cristo con l’angelo della Pinacoteca di Brescia (qui sopra), realizzati in estrema contiguità temporale. Quanto al primo, lo si è genericamente fatto risalire al contesto storico bresciano. Tuttavia la classica imago doloris del Cristo in passione, viene qui proposta nella sua carica emotiva per suscitare la contemplazione, più che per spingere alla imitazione e alla condivisione. Mancano qui tutti i particolari truculenti; domina, piuttosto, un senso di sospensione e di stilizzazione iconica che spinge alla considerazione devota e intellettuale. E’ una spiegazione in immagine di un’asserzione, ovvero della certezza che “la gravezza del peccato non debbe esser causa di diffidenza”, come recita il titolo di uno dei paragrafi centrali del capitolo III del Beneficio che diviene, insieme alla citazione biblica desunta dal libro di Isaia (53, 1-7), motivo ispiratore del piccolo dipinto del Moretto nel quale l’accento non è posto sul dolore della passione ma sulla sicura speranza che ispira l’immagine erculea del Cristo sofferente. E non solo: attraverso il testo è spiegata la divisione spaziale delle due arcate che simboleggiano il prima e il dopo, l’antico e il nuovo Testamento.
Ecco il sangue simboleggiato dalla tunica rossa abbandonata a terra e le battiture adombrate nel fascio di rami spinosi usati per la fustigazione. Ma il punto di arrivo è, senza dubbio, il Cristo con l’angelo, un tempo sopra l’altare della cappella delle Sante Croci in Duomo Vecchio nel quale domina, brandita da un angelo in lacrime, una tunica bianca, immagine, forse, della tunica senza cuciture di cui parla il Vangelo di Giovanni e simbolo dell’unità della Chiesa minacciata, in quegli anni, dalle tensioni scismatiche dei protestanti. Ma proprio alla tunica e al vestirsi di Cristo è dedicato tutto il capitolo V del Beneficio che è capace di illuminare la lettura del dipinto bresciano meglio di ogni altro commento. Il Cristiano è chiamato a vestirsi di Cristo imitandone la mansuetudine e contemplandolo (anche visivamente) da un lato crocifisso e dall’altro flagellato. Nella pala del Cristo con l’angelo tale forte simmetria non è più visibile oggi, ma dalle radiografie effettuate nel 1988 è emerso che nel progetto originario del Moretto la croce aveva una posizione quasi eretta, in diretto rapporto con il Cristo col quale formava una sorta di grande V ove si inscriveva la tunica sorretta dall’angelo. Nulla di più chiaro nella resa per immagini delle parole del Beneficio, che parlano di contemplare Gesù da un lato in croce, dall’altro flagellato per i nostri peccati. Ed è chiaro che il procedimento artistico, come già altrove, non poteva permettere una duplicazione della figura del Cristo, ritratto qui della umiltà e della mansuetudine, come scrive il libretto, virtù di cui si deve vestire il cristiano conscio della sua giustificazione, cioè del suo rivestimento grazie al battesimo con il quale “sotto questa preciosissima veste li peccati, che commette la nostra fragilità, saranno coperti, né ci sono imputati da Dio”. Ciò fa anche capire perché la figura dell’angelo nella prima redazione era più ridotta e non presentava segni di sofferenza sul viso: come una sorta di Veronica era solamente un sostegno neutro e pertinente al linguaggio dell’artista. In un secondo momento il Moretto ha preferito trasformare l’icona in un grumo di tensione emotiva, facendo campeggiare l’angelo piangente e mettendo in secondo piano la croce. Tuttavia in questa nuova sistemazione qualcosa di incongruo rimane, qualcosa di non pienamente amalgamato, seppure reso nella più eccelsa delle pitture del Bonvicino.
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STILE ARTE 2007