Incredibile scoperta: la prima tomba megalitica collettiva del Neolitico rivela riti e misteri di 7000 anni fa

Un complesso funerario monumentale nel deserto di Wadi Nafūn riscrive la storia delle prime comunità dell’Arabia meridionale

Nelle sabbie del deserto omanita, là dove oggi regna l’aridità, un tempo scorreva la vita. È qui, nel sito di Wadi Nafūn, che un’équipe internazionale di archeologi ha portato alla luce la prima tomba megalitica collettiva del Neolitico mai scoperta nella penisola arabica.
Datata tra il 5000 e il 4500 a.C., la struttura custodiva i resti di oltre 70 individui, appartenenti a diverse comunità che, durante il cosiddetto Periodo Umido Olocenico, attraversavano l’area tra le oasi interne e le coste del Mare d’Arabia.

Un’architettura monumentale nel cuore del deserto

Tumulo 1 e depositi funerari al suo interno durante gli scavi (immagine di Maria Pia Maiorano; fotografie di Alžběta Danielisová).

La tomba principale, denominata Mound 1, è un’imponente costruzione circolare in lastre di calcare e dolomia, spesse fino a un metro e mezzo.
All’interno, un’ampia camera ovale di circa sei metri di diametro accoglieva deposizioni successive: i crani disposti lungo le pareti, le ossa lunghe orientate verso il centro, mentre al suolo era tracciato un pavimento di pietre irregolari destinato alle cerimonie di accesso e di culto.

Un secondo tumulo, Mound 2, costruito poco dopo il primo, ripete la stessa concezione architettonica. Le due strutture erano unite da un corridoio di lastre verticali, formando un vero complesso funerario megalitico, segno di un pensiero simbolico e sociale avanzato.

Gli antenati al centro della comunità

Le analisi delle ossa rivelano una sepoltura collettiva di lungo periodo, dove le deposizioni si susseguivano nel corso di oltre tre secoli.
All’inizio, i corpi venivano deposti dopo la decomposizione dei tessuti, ordinati con grande cura. In seguito, forse con il mutare dei riti o dell’organizzazione comunitaria, le ossa furono collocate in modo più caotico, anche nelle zone d’ingresso.
Due individui anziani, trovati interi e distesi frontalmente all’accesso, sembrano aver avuto un ruolo speciale, forse di guida spirituale o di custodi della memoria collettiva.

La camera funeraria del Tumulo 1, che mostra il livello inferiore dei depositi funerari 
in situ (A) e il dettaglio dei due corpi articolati dello strato più basso (B) (immagine di Maria Pia Maiorano).

Un popolo tra terra e mare

Le analisi isotopiche su ossa e denti hanno permesso di tracciare un quadro sorprendente. Gli individui non provenivano tutti dallo stesso luogo: alcuni avevano trascorso l’infanzia fino a 50 chilometri di distanza, segno di mobilità e scambi costanti tra gruppi nomadi e semi-stanziali.
La dieta combinava cibo marino e terrestre: carne, pesce, conchiglie e forse alghe, testimonianza di una strategia di sopravvivenza flessibile, adattata alle oscillazioni climatiche che alternavano fasi umide e desertiche.

Gioielli, denti di squalo e simboli marini

Tra i reperti spiccano perline di pietra tenera, gusci di Spondylus e pendenti ricavati da denti di squalo tigre, elementi che collegano i defunti al mare e ai suoi poteri rigenerativi.
Sul versante opposto del wadi, una serie di incisioni rupestri neolitiche raffigura pesci, onde e figure umane danzanti: un linguaggio simbolico che sembra evocare un culto delle acque e della rinascita, forse legato al ritorno ciclico delle piogge monsoniche.

Collana di conchiglie e pietre tenere (A) e altri reperti da DM28-46 (B) (figura di Maria Pia Maiorano).

Un santuario del ricordo lungo i millenni

Il complesso di Wadi Nafūn rimase un luogo sacro anche nei secoli successivi: nelle vicinanze si trovano tombe dell’età del Ferro, file di triliti megalitici e un’ampia galleria di incisioni che copre un arco temporale fino all’età islamica.
La monumentalità della struttura e la lunga frequentazione fanno pensare a un luogo identitario condiviso, dove diverse tribù si riconoscevano in un culto comune degli antenati.

Un nuovo capitolo per la preistoria dell’Arabia

Per gli studiosi, Wadi Nafūn rappresenta una svolta: è la più antica testimonianza di architettura funeraria collettiva in tutta la penisola arabica, e dimostra che già nel Neolitico esistevano forme di cooperazione e simbolismo complesse, ben prima dell’arrivo delle prime culture urbane.
Il progetto, coordinato dall’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, apre così una nuova finestra sul rapporto tra clima, mobilità e spiritualità nelle origini della civiltà.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa