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di Costanzo Gatta
Suo padre, dal 21 agosto 1911 al 13 dicembre 1913, dove nascose la Gioconda?
A Parigi, in rue de l’Hopital Saint Louis, sotto un piccolo tavolo, lo stesso sul quale un distratto poliziotto aveva redatto il verbale di perquisizione della stanza.
Come portò il quadro in Italia?
In valigia, fra la biancheria sporca, che i doganieri non guardarono.
E’ vero che aveva lasciato impronte digitali sul vetro di protezione?
Sì. Se la Sureté le confrontava con quelle d’archivio sarebbe risalita a papà, che in passato aveva avuto due piccole noie con la giustizia.
Ne avevano 750mila da controllare. Un po’ difficile, non le pare?
Non è così. In realtà, pensarono che il furto potesse servire alla Germania per distrarre l’opinione pubblica. Tra Parigi e Berlino c’era tensione per la questione del Marocco.
Sospetti sugli italiani?
A fine settembre due poliziotti ispezionarono la collezione del signor Spiridon di Roma. Fra il 1911 e il 1913, quando un italiano (anche della nostra valle) rientrava dalla Francia, i Carabinieri gli perquisivano la casa a sorpresa.
Quali altre false piste ricorda?
Ipotizzarono un furto su incarico di un miliardario americano.
Parigi fu passata al setaccio?
Sì. Scaricarono persino il carbone dalle locomotive dirette all’estero.
Perché suo padre andò a Londra?
Nel 1913 scrisse all’antiquario Duwen, firmandosi Vincent Leonard. Chiese un incontro, ma quello se ne liberò presto. Si rivolse allora ad Alfredo Geri di Firenze, al quale scrisse il 29 dicembre con lo stesso nome di fantasia. Il contatto funzionò.
Fu un processo chiaro o con lati oscuri?
I difensori d’ufficio (papà non poteva pagare legali di fiducia) chiesero, non ascoltati, il rilascio.
Con quali tesi?
Primo: il “furto” era avvenuto in Francia. La costituzione di parte lesa del governo francese era illegittima in quanto iniziativa personale dell’ambasciatore di Francia a Roma e non dietro richiesta del suo governo. Secondo: l’accusa di estorsione era infondata: papà riconsegnò la Gioconda senza condizioni, chiedendo solo il riconoscimento di un qualsiasi beneficio.
Cosa pensa?
Fu condannato, credo, perché c’era di mezzo la politica.
In che senso?
C’era un contenzioso per via di due navi francesi sequestrate dalla nostra marina, che sospettava un contrabbando di armi a favore della Turchia durante la guerra di Libia. Condannando mio padre si intese non inasprire tale contenzioso.
Sua madre Annunciata, morta nel 1978, non le parlò mai del fatto?
Mi disse solo di quando papà la portò al Louvre. Davanti alla Gioconda disse in dialetto: “Marciranno le tegole del tetto ma il mio nome rimarrà scolpito nei secoli”.
Il suo desiderio?
Che la memoria di mio padre non sia ancora infangata con menzogne.
E’ già accaduto?
Sì. Con lo sceneggiato tv. Se venisse riproposto nel clima degli anniversari non vorrei rivedere papà presentato come un ubriacone che muore dimenticato in Savoia. Non accetterei inesattezze che toccano la mia onorabilità e quella di mia madre. Mi riferisco a chi lo fece morire 12 anni dopo facendo risultare mia madre bigama.
Una sua considerazione?
Papà ha pagato il suo sbaglio, ha fatto il suo dovere di soldato, ha lavorato onestamente. Penso che la sua memoria non debba essere profanata.
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