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La madre di Leonardo era schiava e straniera, del Caucaso. Trovato un documento che lo conferma


Un documento trovato nell’archivio di Stato di Firenze da parte del professor Carlo Vecce dell’Università di Napoli conferma le origini straniere di Caterina, la madre di Leonardo. La donna era una circassa, di origini caucasiche, che fu portata a Firenze da un uomo di nome Donato. Il suo lungo viaggio, prima di arrivare alla capitale fiorentina, la portò, in stato di schiavitù, probabilmente sul mare di Azov, nell’attuale territorio compreso tra Russia e Ucraina, poi a Bisanzio, quindi a Venezia. Successivamente, Caterina fu acquistata e portata a Firenze.

La Turchia ospita oggi la più grande comunità circassa del mondo. Sotto il profilo fisionomico i circassi sono molto simili alla popolazione italiana. Le donne circasse, per centinaia d’anni, sono state considerate tre le più belle del mondo.

La loro reputazione risale al tardo medioevo quando la costa circassa era frequentata da commercianti genovesi e veneti; il fondatore della dinastia dei Medici, Cosimo il Vecchio, ebbe un figlio illegittimo (Carlo di Cosimo de’ Medici) da una schiava circassa di nome Maddalena.

Vecce ha utilizzato tutti i dati del documento ritrovato per scrivere una biografia romanzata della madre di Leonardo, intitolata ‘Il sorriso di Caterina’, edita ora da Giunti. In queste ore il professore ha pubblicato anche l’immagine del documento originale.

Il documento ritrovato dal professore, redatto da Piero da Vinci

Secondo il documento dell’Archivio di Stato di Firenze – datato 2 novembre 1452 – Caterina era figlia di un certo Jacob, un circasso, che il professor Veccia immagina, con “licenza poetica”, un principe del Caucaso. In seguito – e qui si torna alla piena realtà – la ragazza fu resa schiava dopo essere stata rapita, probabilmente dai tartari. A Firenze giunse nel 1442, intorno a 15 anni, dove lavorò come serva e balia in casa di Ginevra d’Antonio Redditi, moglie di Donato di Filippo di Salvestro Nati, l’uomo che l’aveva acquistata. Fu qui che Caterina conobbe Piero da Vinci, il notaio con cui concepì il figlio illegittimo nato il 15 aprile 1452, ad Anchiano, piccolo borgo del comune di Vinci. Quando partorì Leonardo, era pertanto una donna di 25 anni. Poiché Piero da Vinci riconobbe come proprio il bambino, possiamo ipotizzare che Caterina e Piero ebbero modo di convivere sotto lo stesso tetto e che Piero avesse pertanto certezza che quel figlio fosse suo. Si può pensare che il notaio Piero da Vinci sia stato il primo promotore della libertà di Caterina, esercitando pressioni sui suoi conoscenti – che erano proprietari della “sclava” – e, forse, versando denaro per il “riscatto”.Egli si trovò poi a redigere l’importante atto notarile che sanciva la libertà della venticinquenne.

Il documento ritrovato è, infatti, atto di affrancamento dalla schiavitù, redatto da Piero da Vinci, padre di Leonardo e compagno transitorio della donna. La rinunzia a Caterina come a un “oggetto di proprietà”, da parte della signora Ginevra, avvenne sei mesi dopo la nascita del grande artista. Il ritrovamento conferma ciò che già indicavano le indagini sulle impronte digitali di Leonardo stesso, condotte nel passato. Le impronte presentavano anomalie, rispetto alla popolazione italiana, segnalando una possibile ascendenza levantina o ebraica della madre del pittore. Riproponiamo ora un’importante intervista relativa allo studio sulle impronte del maestro, che già conducevano a una Caterina giunta da lontano

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di Costanzo Gatta

 All’Università di Chieti, dopo anni di ricerche su oltre 200 impronte lasciate su 52 fogli leonardeschi è stata ricostruita, con sofisticate tecniche dattiloscopiche, l’impronta di un polpastrello del genio di Vinci, forse l’indice della mano sinistra. Il dermatoglifo rivela caratteristiche arabe, la struttura risulta tipica in due terzi della popolazione, per l’esattezza il 65%.
Stile aveva pubblicato in proposito due ampi servizi nel dicembre 2004, quando le ricerche erano agli inizi. “La trama dei polpastrelli
– scrivevamo allora – avrebbe una tipologia orientale; ciò potrebbe confermare che la madre del pittore fosse una schiava venuta da lontano”.

Sangue mediorientale nelle vene di Caterina, madre di Leonardo? Da un pezzo lo si diceva, senza dar eccessivo credito alla storia. Ora c’è un motivo in più per tornare a parlare delle origini orientali di quella donna: non una contadinotta della campagna toscana ma una giovane levantina che avrebbe avuto una relazione con ser Pietro, il padre del futuro genio da Vinci.

Già molti anni fa si diceva che la mamma fosse una delle tante schiave che nel ’400 erano state portate a lavorare in Toscana: una poveraccia senza alcun diritto, senza un patronimico, forse appena convertita. Una serva chiamata come mille altre: Catharina.
Uno studioso toscano aveva frugato negli archivi per cercare contratti d’acquisto di schiavi. Voleva raccapezzarsi in questo mistero. Aveva ripercorso i vari flussi migratori ipotizzando che la donna fosse ebrea, circassa, araba. A quei tempi i risultati furono negativi.

Leonardo e il mistero della madre

E così, ai tanti misteri della vita di Leonardo, si aggiunse anche questo della madre, la povera Caterina, con la quale il donnaiolo ser Pietro faceva bellamente all’amore, nonostante stesse per portare all’altare Albiera, figlia dell’Amadori, notaio.

La storia – prima della scoperta del 2023 – dice poco. Si sa solo che quando la serva fu mandata – secondo il costume dei paesi sulle colline toscane – a sgravarsi nel casale che ancora oggi esiste, era l’aprile del 1452. Una camera dal soffitto basso con pagliericcio, attaccata alla cucina col camino, poche nicchie nel muro per riporvi ramaiole, caldaie e il pennato: qui la giovane Catharina attese, assieme alla levatrice, che si rompessero le acque. Non era misteriosa la relazione del giovane ser Pietro, uno dei tanti borghesi di Vinci, la cui casata sfornava rampolli notabili che alternativamente venivano avviati alla carriera legale o alla vita ecclesiastica.

Per i casi della vita la nascita del genio venne messa – nero su bianco – da Antonio, il nonno. “Nachue (nacque) un mio nipote, figliuolo di ser Piero mio figliuolo, a dì 15 d’aprile (1452) in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo…”.
Il resto si può immaginare: quattro soldi di dote per mandar via Caterina contenta e poi il battesimo, senza nemmeno la mamma. Lo sappiamo ancora dal nonno, che ebbe a registrare con precisione i presenti attorno a quel fonte di pietra, tuttora intatto. “Battizzollo Piero di Bartolomeo da Vinci, in presenza di Papino di Nanni, Meo di Torino, Pier di Malvolto, Monna Lisa di Domenico di Brettone”.
Insomma c’erano tutti: prete, testimoni e intimi. Mancava Caterina, che ritroveremo poi sposata a tale Antonio del Vacha, detto Accattabriga, soprannome che non prometteva nulla di buono. In gioventù doveva essere stato un soldataccio di ventura.

I documenti amministrativi “raccontano” la famiglia di Leonardo

Nelle note del catasto di Vinci per l’anno 1457 si trova che nonno Antonio, di 85 anni, abitava nel popolo di Santa Croce, era marito di Lucia, di anni 64, e aveva per figli Francesco e Piero, d’anni 30, sposato ad Albiera, ventunenne.
Convivente con loro era “Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legiptimo nato di lui e della Chatarina, al presente donna d’Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d’anni 5”.
Albiera non poteva avere figli e Piero aveva accolto in casa l’illegittimo. Intanto Caterina lavorava con il marito un piccolo appezzamento di proprietà e i campi delle suore del convento di San Pier Martire.

Nonno Antonio morì novantaseienne, nel 1468, e negli atti catastali di Vinci Leonardo, che ha diciassette anni, risulta suo erede insieme con nonna Lucia, il padre Piero, la matrigna e gli zii Francesco e Alessandra. L’anno dopo, la famiglia del padre, divenuto notaio della Signoria fiorentina, e quella del fratello Francesco, che era iscritto nell’Arte della seta, erano in una casa di Firenze, abbattuta già nel Cinquecento, nell’attuale via dei Gondi.
Madonna LittaDell’Accattabriga si hanno invece notizie da un verbale di citazione durante un processo alla Curia vescovile di Pistoia. La data è il
26 settembre 1470, dopo i disordini verificatisi all’inizio del mese nella pieve di Santa Maria di Massa Piscatoria, nella palude di Fucecchio. Alcune persone, armate di lancia, capeggiate da due preti (uno della diocesi di Lucca, l’altro sotto la potestà del vescovo di Firenze) avevano disturbato la celebrazione durante la festa in onore della Madonna e interrotto la Messa. Antonio fu chiamato a testimoniare ma non si presentò.

Chi era Caterina

Di Caterina si sa che fu donna prolifica, e da Accattabriga ebbe sicuramente almeno quattro femmine e un maschio. Rimasta lontana da Leonardo, si ricongiungerà al figlio – pare certo – nel 1493 a Milano. E in una casa di Porta Vercellina, nel territorio della parrocchia dei Santi Nabore e Felice, morirà il 26 giugno 1494, dopo lunga malattia. Per le cure prima e poi per i funerali, Leonardo annotò le spese (eccessive per una servente, non certo per una madre): “Quattro chierici, cinque sotterratori, un medico, le candele…”.

Oggi Caterina ritorna in scena. A parlarci di lei sono le impronte digitali del figlio, quei polpastrelli che hanno creato uno sfumato magico, inimitabile. Evocano la donna, quelle ditate rimaste fra il cielo e il fogliame che fa da sfondo al ritratto di Ginevra Benci o su un disegno della Battaglia di Anghiari, fra i capelli di Cecilia Gallerani o sulle pagine dei Codici voltate con mani sporche.
Gli studi sulle impronte di Leonardo sono stati illustrati da Luigi Capasso, direttore dell’Istituto di antropologia e del Museo di storia delle scienze biomediche dell’Università di Chieti e Pescara, e da Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale di Vinci.

“Sulle pagine e sui dipinti di Leonardo – ha detto Capasso – possiamo trovare tantissime tracce, non necessariamente dell’epoca, come per esempio macchie, aloni e tracce biologiche. Il nostro primo compito è stato quello di distinguere le tracce sincroniche da quelle non sincroniche e ci siamo concentrati sulle macchie d’inchiostro, dato che è stato più semplice stabilire se la macchia derivava dallo stesso inchiostro usato per vergare le frasi”.

Proprio nelle macchie d’inchiostro sono state scoperte numerose impronte digitali, anche se parziali, che hanno portato alla ricostruzione di un intero polpastrello dell’artista.
“L’impronta – ha aggiunto Capasso – ha tra l’altro una struttura a vortice con diramazioni a y, dette triradio: tale tipologia di impronte è comune a circa il 65% della popolazione araba”.
“A questo punto – affermava Vezzosi – si rafforza l’ipotesi che la madre del genio fosse orientale: nello specifico, secondo i miei studi, una schiava”.
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In queste ultime ore, la conferma dell’identità è stata data dal documento trovato all’Archivio di Stato di Firenze