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La nuda idea della bellezza


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di Maurizio Bernardelli Curuz

“Stile”, sul rapporto tra Michelangelo e l’estetica e sulle modalità di diffusione del linguaggio michelangiolesco, Franca Falletti, che curò la mostra “Venere e Amore. Michelangelo e la nuova bellezza ideale”

1_7Firenze è prima stilnovista – e sappiamo cosa implica la ricerca di una bellezza ideale, che sia al contempo forma e virtù -, quindi, su una linea contigua, approfondisce il suo slancio ideale con il neoplatonismo. Michelangelo cresce alla corte dei Medici, dove il concetto della “bellezza che eleva” era uno dei principali argomenti esplorati…

Michelangelo compie uno studio di forme concettuali ed estetiche. Certamente sappiamo quali sono gli elementi che contraddistinguono la corte di Lorenzo il Magnifico, un ambiente nel quale il neoplatonismo risulta elemento centrale. Non per nulla, in questa mostra, intendiamo esplorare, attraverso le opere, la nuova bellezza ideale, che non è tensione verso il bello individuale, ma assunzione di un modello non legato al contingente.

La corte medicea è un grande serbatoio del “bello antico”. Michelangelo entra in contatto con le forme eterne testimoniate dalle collezioni dei suoi committenti. Si conosce la consistenza di quelle raccolte antiquarie?

Il modello esplorato da Michelangelo trova ampio riferimento nei modelli antichi, quindi possiamo parlare di una rivisitazione molto approfondita dell’arte classica. Per sottolineare il raccordo tra modelli e ricerca compiuta ai tempi di Michelangelo abbiamo esposto un bronzetto appartenuto alla collezione di arte antica dei Medici e due cammei, uno dei quali raffigurante Leda – che diventerà un soggetto michelangiolesco -, l’altro, invece, raffigurante Venere che cavalca un capro. Per quanto concerne la consistenza e il valore della raccolta archeologica medicea, possiamo certo dire che essa costituiva una collezione importantissima. Il giovane Michelangelo aveva frequentato, stando accanto al Magnifico, il giardino di San Marco, dove Lorenzo aveva radunato la collezione di “anticaglie”, come venivano definite a quei tempi. Quindi, com’è noto, già qui a Firenze – e pertanto in un periodo precedente alla partenza per Roma – Michelangelo aveva avuto il modo di avvicinare l’arte antica in maniera diretta, attraverso un’osservazione approfondita.


L’impresa del giovane Michelangelo nel confronto con gli antichi è, tra l’altro, rappresentata dalla realizzazione del “David”.

Indubbiamente. Il “David” è frutto di una rilettura dell’antico. Eppure Michelangelo non è un pedissequo copista. Compie una rilettura molto personale.

Ecco. Sarebbe interessante che lei definisse, come in un titolo di giornale, le caratteristiche peculiari della tensione michelangiolesca al bello, sia rispetto all’antico che nei confronti della produzione contemporanea.

I caratteri più evidenti delle opere di Michelangelo possono essere sintetizzati nella definizione di un maggior plasticismo. Proviamo a fare un esempio. Osserviamo le figure femminili di Michelangelo, paragonandole alle figure femminili dell’arte veneta – noi abbiamo a disposizione, a questo proposito, una “Venere” di Tiziano -. L’opera di Michelangelo ha caratteri più accentuatamente plastici. Egli cerca un dinamismo di elevata tensione. Un contrasto di forme dal quale, certamente, traspaiono anche i conflitti interiori dell’artista. In tutte le composizioni c’è sempre una grande tensione… Ora vediamo, osserviamo Tiziano. La naturalezza delle sue donne…la sensualità resa attraverso un colore che risulta molto più importante di ogni linea scultorea e di ogni disegno…
Indubbiamente. L’importanza della linea-forma, in Michelangelo, è testimoniata, tra l’altro, da un’opera in mostra che nasce dall’artista e da un suo collega toscano, il Pontormo. Come ha origine questa collaborazione?

“Leda” (1532-33) è nata intenzionalmente come frutto di una collaborazione coordinata. Pontormo non utilizza casualmente un disegno di Michelangelo, ma “il” disegno di Michelangelo, riprendendolo su tavola. Il committente dell’opera, Bartolomeo Bettini, si accorda con Michelangelo e Pontormo affinché il primo fornisca il cartone e il secondo realizzi un dipinto. L’opera preparatoria non è quindi un bozzetto. Ha la grandezza della tavola ed è pronta ad essere trasferita, ad essere calcata sulla preparazione. Il profilo delle figure, per intenderci, è assolutamente identico. Michelangelo lavora sulla linea, il Pontormo lavora sul colore.

Quali erano i rapporti tra i due?

Molto buoni, senz’altro. Il Pontormo era un grandissimo ammiratore di Michelangelo, fin dall’inizio. Non poteva che essere attratto dalla fortissima personalità di Buonarroti. Quella di “Leda e il cigno” non è l’unica collaborazione. La stessa situazione si era verificata per il “Noli me tangere”.

Pontormo “spolvera” il disegno di Michelangelo, ottenendo un tracciato di linee a cui attenersi scrupolosamente per la costruzione delle figure. E nell’uso del colore? Può essere avvertita l’influenza degli accordi cromatici del grande artista sul collega fiorentino?

Sì. Pontormo avverte fortemente questo confronto. Cerca pertanto di limitare la sua personalità, di adattarsi per quanto è possibile – sotto il profilo cromatico – alle atmosfere michelangiolesche suscitate dal disegno. In questo caso smette allora d’essere quel colorista acidulo e forte che noi conosciamo. Qui utilizza colori caldi, bruni. Una gamma cromatica, rispetto ai normali accordi del Pontormo, meno squillante… Michelangelo, Pontormo e Bronzino lavorarono per Bartolomeo Bettini, che commissionò i dipinti.

Il lavoro convergente di Michelangelo e di Pontormo – quanto quello di Rosso Fiorentino – testimonia un modo di operare che, a noi, può risultare singolare.


E’ il discorso delle repliche (no, non chiamiamole copie… ). Lei consideri che abbiamo enumerato tra le 30 e le 35 repliche – di diverse dimensioni – della “Venere e Cupido” di Michelangelo-Pontormo. I lavori sono di Vasari, Allori, Michele di Ridolfo del Ghirlandaio. La nostra cultura, filtrata dalla dimensione romantica dell’artista come unico creatore, non ci permette di afferrarne fino in fondo il valore. La mostra dà invece risposte in quel senso.