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La pittura meditativa di Romeo Battisti: il vuoto, il silenzio, ma agli antipodi del Nulla


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Questo mondo
è simile all’eco
che risuona
e poi svanisce
nell’atmosfera

Ryōkan Taigu (1758-1831)

 
di Stefano Maria Baratti
Entrare in una mostra di Romeo Battisti (come nella sua rassegna “Essere nell’Essere”, Perugia, Agosto 2019) richiede un’apertura mentale che prevede un cammino d’iniziazione alla piena consapevolezza di sé, un campo d’indagine per decodificare un metodo di meditazione in cui rendere possibile ad un interlocutore l’ascolto e la reinterpretazione di partiture inedite o poco note del proprio essere.
Come la pittura zen, i giardini di pietre e gli haiku di poche righe nascono dalla meditazione – e sono gli stessi oggetti della meditazione – in egual misura l’artista e meditante Battisti esplora i diversi aspetti dell’esistenza nel prisma della mente umana, cogliendo nella sua pratica pittorica assonanze con stati di assoluta trasparenza di chi si è perfettamente realizzato, una qualità che si manifesta spontaneamente una volta scomparsa la visione duale dell’io, l’allontanemento dalle costrizioni dei cinque sensi e la positività del vuoto, considerato – contrariamente all’ horror vacui occidentale radicato sulla scia del pensiero greco – come la condizione a priori dell’esistenza stessa.

Da queste premesse – e non senza dei richiami al simbolismo di Odillon Redon – si origina nelle sue opere un’atmosfera immobile lambendo tra volti pietrificati, complessi cromatismi, geometriche e rigorose torniture di forme e il mistero di un silenzio che caratterizza la raffigurabilità onirica attraverso dei cicli di prototipi iconografici intitolati “Meditazione”, “Vuoto”, “Bendati’,”Dimensione verticale” e “Fleurs”. Le tele sono delle vere e proprie categorie di meditazione che si prestano egregiamente a esemplificare il processo di condensazione e la formazione di figure e forme miste, garbatamente asimmetriche, plasmate nello spazio vuoto, una pratica ascetica per cui i soggetti raffigurati – soprattutto volti con fisionomie orientali e occhi a mandorla – si raccolgono in sé stessi riflettendo sulla propria vita spirituale, giungendo al pieno controllo della personalità in relazione con la realtà cosmica.
I volti dei soggetti si ripetono con una serenità interiore che emana un deliquio estatico materializzando delle gigantesche masse corpose, quasi delle distese di gas e polveri plasmate da un detrito di una materia sconosciuta facente parte di un piano astrale oltre i confini del sistema solare. La tecnica mista di Battisti, un intenso collage di terre, tempere, velature a olio e densi impasti, forma dei punti non superficiali di tangenza tra campo estetico (l’agglomerato di una nebulosa «stellare») e campo analitico (il peso dell’elemento pittorico, che dagli occhi delle figure si estende in proporzione alla distanza dal centro della composizione) si inoltra in uno spazio figurativo che da un canto allontana l’osservatore e dall’altro lo riconduce in un isolamento tipico del Buddhismo, dove alla meditazione di consapevolezza si unisce il flusso continuo degli elementi fisici e degli stati mentali.
La forza direzionale dei soggetti di Romeo Battisti volge gli occhi all’interno di una spiritualità che spesso rende densa una parte di campo – come ad esempio nelle serie “bendati” – dove l’intervento della materia non permette al soggetto di ottenere un equilibrio mentale per via di inibizioni e limiti che creano la cecità e rendono inammissibile un cambiamento, e pertanto precludono l’estasi nell’appiattimento bidimensionale di uno stato di ignoranza.

Senza dimenticare che nell’Abhidharma (metafisica buddhista) il cosmo viene interpretato dallo stato subatomico a quello macroscopico in termini di elementi, atomi, sensi e immagini, analogamente le tele di Battisti ospitano delle onde e vibrazioni che la mente umana organizza elaborando sequenze di stati meditativi che intervengono sulle sue opere senza produrre nessun movimento. Le astrazioni posseggono tagli verticali e orizzontali, decentrando le immagini con un pattern decorativo a campiture omogenee (la ripetizione del medesimo sorriso dei soggetti) conferendo un equilibrio fisico e visivo multidimensionale.

L’interesse suscitato dall’opera di Romeo Battisti consiste nel fatto che egli introduce forse inconsciamente nella sua pratica pittorica alcuni processi tipici sulla scorta di discipline presenti nella scuola esoterica tibetana, nell’arte indobuddhista classica e nell’arte zen (che mano a mano diventano soluzioni basilari) dove l’equilibrio compositivo, nel senso di condizione distributiva del significato, viene conferito da onde e vibrazioni che i nostri sensi ricevono e che il cervello organizza elaborando miriadi di informazioni. Tutte le forme, direzioni e collocazioni si determinano vicendevolmente in modo da raggiungere l’immobilità, incentrata su una tecnica di meditazione, per così dire «senza proprio oggetto», o «meditazione del vuoto», assurgendo a raffigurazioni archetipiche che presentano la buddhità sia nelle sembianze pacifiche sia in quelle irate (il cosiddetto «furore dionisiaco»).
Nella rappresentazione della natura, l’artista propone infine degli alberi e delle formazioni rocciose su sfondi dorati oppure cangianti che richiamano l’estetica giapponese nella tradizione shintoista, con delle composizioni che segnano la separazione dello spazio sacro da quello profano, paesaggi metaforici e «intervalli naturali» pronti ad accogliere i Kami, gli oggetti di venerazione del vuoto, senza una forma fissa, animati solo da soffi vitali di energia immateriale, gli stessi elementi al centro dell’insegnamento buddhista in cui il concetto di vacuità e la pratica del «non attaccamento» indicano una filosofia di vita con una mente vuota da sentimenti di “io” e “mio”.
Se Jack Kerouac riteneva di essere un «poeta jazz», Romeo Battisti abbandona ogni retaggio culturale per approdare – negando dogmi e istituzioni – a un ruolo di «pittore meditativo» senza fare ricorso a verità religiose, problemi filosofici o morali che potrebbero invalidare la sua realtà multidimensionale: egli rimane un artista che interiorizza modelli autonomi e trascendentali attraverso una pratica spirituale che non conosce matrici particolari di nessun genere tranne quelli di un’attenta, profondamente severa concentrazione e contemplazione dell’universale «essere nell’essere».
[Romeo Battisti è nato a Poggio Bustone (Rieti), dove vive e lavora. Da sempre appassionato d’ arte si è laureato presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.]