Press "Enter" to skip to content

La stabilità sfuggente della tavola degli Amori di Lorenzo Bartolini. E tu, quale amore scegli?


«Di saggi in Grecia, in questo mondo intero,
Saviezza perfetta non si trova.
Gli uomini son folli, e di lor cure ad onta,
Chi più, chi meno, non son tra lor diversi.»

Nicolas Boileau Despreaux, Satire, IV, 40-45, 1666

 

di Stefano Maria Baratti

Una questione difficilmente risolvibile è legata al confronto dialettico tra “La Tavola degli Amori” – scultura allegorica di Lorenzo Bartolini, realizzata nel 1845, per il principe russo Anatolij Demidov – e le Satire di Nicolas Boileau-Despréaux (1636-1711), il maggiore teorico dell’estetica classica del Seicento francese, detto anche «législateur du Parnasse». In una lettera inviata all’amico Giovanni Benericetti-Talenti, datata 3 Febbraio 1845, lo scultore pratese chiede di ricevere il testo delle Satire: «Mandami il Boileau, perché dovendo fare la descrizione del tema della tavola, ho bisogno di decifrare il soggetto quale ho estratto dalle Satire del suddetto…»¹; una richiesta presumibilmente basata sull’edizione italiana del 1826.2

Il gruppo di Bartolini, ospitato al Metropolitan Museum di New York, sembra ascritto a un regime allegorico pulsionale che coagula in sé il corporale e lo spirituale, il reale e il simbolico. L’artista realizza un’opera composta da tre figure che simboleggiano il vizio sensuale e dionisiaco nella figura di un Bacchino ubriaco che cade in un sonno profondo, privo di preoccupazioni, l’amore divino nell’immagine di una figura angelica che tiene il Bacchino tra le braccia e da ultima la virtù apollinea nella rappresentazione di un putto che regge un compasso, mentre è tormentato da un sonno agitato. Le figure sono addossate le une sopra le altre e poste su una tavola circolare, una sorta di «piano del mondo» corredato dai segni zodiacali (originariamente che ruotava su un apposito meccanismo) le cui proiezioni ortogonali, partendo dal piano orizzontale sulla base circolare della tavola, formano l’assonometria di un volume di cono tronco avente alla sua sommità il capo del fanciullo angelico; il gesto emblematico di questo fanciullo – che solleva il dito indice della mano sinistra, unico orientamento verticale del gruppo, presumibilmente in tono di avvertimento sugli eccessi dionisiaci – suggerisce un genere anacreontico compatibile con la liricità dell’Amore idilliaco del primo Ottocento. Ne consegue un’ambigua chiave di lettura tra la segretezza di un «signum harpocraticum» – emblema di silenzio sacrale – e un gesto di «mediazione» tra cielo e terra, additando nella sensibilità cosmologica un movente primario dell’eccellenza poetica.

L’opera di Bartolini non sembra tuttavia attenersi ai testi delle Satire di Boileau-Despréaux – un ammiratore di Molière – e non appare tantomeno riconducibile a nessuno dei passaggi del libro, caratterizzati da una notevole parodia ai danni di scrittori contemporanei che l’autore considerava di cattivo gusto e che attirarono l’acredine di coloro che, come Jean Chapelain, ne erano stati criticati. Le Satire di Boileau- Despréaux, ispirate da quelle di Orazio e Giovenale, si avvalgono di rappresentazioni realistiche – e non allegoriche – di vari personaggi, rispecchiando il pensiero letterario dell’autore, la sua avversione per il preziosismo, la difesa della nuova poesia in seno alla polemica che egli stesso promulgava riflettendo il clima generale di condanna del vizio intellettuale e di esaltazione della semplicità.

Malgrado sia arduo stabilire in maniera inequivocabile un nesso tra le espressioni plastiche che coniugano le scelte bartoliniane di tenera e vibrante naturalezza – definite nel cosiddetto «bello scelto», oppure «bello riunito e non ideale» – con i passaggi precisi dell’opera del poeta francese, si potrebbe avanzare un’ipotesi di paragone. Il tema centrale di Boileau-Despréaux – la polemica che instaura contro il preziosismo formale e tutte le sottigliezze enfatiche di un sentimentalismo classicheggiante e artefatto – viene contrapposta alla rivolta di un «purismo toscano» in atto nella statuaria di Bartolini, contro gli irrigidimenti dogmatici del canone neoclassico. In quest’ottica si pongono da un lato le forme meditate sull’arte rinascimentale nel solco di una riflessione romantica sull’imitazione della natura, e dall’altro, le formule stilistiche di una letteratura che favorisce la semplicistica enunciazione del vero, basata sul cartesiano Discours de la Méthode, avvalendosi di versi armoniosi e concreti, dominati dalla ragione, causa di varie polemiche letterarie e artistiche che agitarono l’Académie française alla fine del XVII secolo.
 
In un articolo pubblicato nel Metropolitan Museum Journal , la studiosa Deborah Menaker (ex-curatore del Williams College Museum of Art di Williamstown, nel Massachusetts.), sostiene: «(…) È evidente che il Bacchino nudo ed ebbro, colto nel momento della possessione estatica, fa cadere una coppa di vino, addormentandosi nel grembo dell’Amore divino, mentre in piena antitesi, il putto sconvolto da un sonno tormentato afferra un compasso, simbolo di razionalità, ingegno e ambizione, dimostrando che le vere azioni riprovevoli dell’umanità non sono quelle dell’erotismo o della dissolutezza, ma quelle invece di un esagerato senso di razionalizzazione, istruzione e correttezza, stati d’animo pervasi da un’ossessiva mania del calcolo e della riflessione.»3 La tesi della studiosa americana, mette altresì in rilievo un ulteriore campo d’indagine, quello introdotto nel linguaggio filosofico da Frederich Nieztsche rivolto all’antitesi terminologica della coppia «apollineo/dionisiaco», laddove sono evidenziati i due impulsi fondamentali dai quali nacque la tragedia attica. Da una parte lo spirito apollineo, che equivale all’armonia e all’ordine delle forme, dall’altra lo spirito dionisiaco, caotico, privo di forme, in preda all’ebbrezza come esaltazione dell’estasi creativa. Parimenti, nel gruppo bartoliniano, si esplicita un parallelo tra le due figure addormentate e la straordinaria forza vitale delle fonti letterarie e iconografiche della tragedia greca antica.

L’elemento dionisiaco è rappresentato dal Bacchino che, ubriaco, cade in un sonno compiaciuto e profondo – come nelle tragedie di Eschilo e Sofocle – ed esprime l’ebbrezza creativa e la passione sensuale per l’accettazione della vita derivata dal caos primordiale ed entropico. Diametralmente opposto all’elemento dionisiaco è il putto apollineo che, turbato da un sonno agitato, racchiude in sè l’incapacità di sostenere la tragicità della vita – con i suoi contrasti, i suoi controsensi, le sue assurdità – e il desiderio di rappresentarla nei limitanti canoni dell’ordine e della razionalità. Il potere simbolico del sonno tormentato come esasperazione della virtù e del lavoro suggerisce la sintesi del filosofo tedesco, secondo cui la perdita dell’elemento dionisiaco è all’origine della decadenza del mondo occidentale.

Ne consegue che la plasticità scultorea di Bartolini interpreti tale declino con l’abbandono sensuale del Bacchino nel grembo del fanciullo efebo (l’Amore divino), e in seno al sonno turbato del putto virtuoso, proiettando la perdita di un punto di equilibrio sulla tavola circolare che trasforma l’ordine compositivo in una stabilità sfuggente. Nasce quindi un movimento circolare a ritmo centrifugo e radiale, che si espande dall’interno all’esterno della tavola. L’osservatore incontra nel gruppo scultoreo un cerchio, dove sia la presenza delle figure, raggruppate le une sopra le altre, sia i segni zodiacali connotano una pluralità di significati in un linguaggio visivo che suggerisce l’idea di un eterno ricorso temporale. Niente comincia né finisce, ma tutto gira intorno a un punto invisibile centrale, ben definito. Si codificano ambivalenza, polarità e la propensione a inglobare distorsioni e rovesciamenti semantici, come accade anche a conferma nel sottotitolo stesso dell’opera: “La Tavola dei Geni; Il Mondo; Il Sonno della Virtù e l’Opulenza Lussuriosa”.
 

Cfr. M.Tinti, Lorenzo Bartolini, con pref. R. Romanelli, 1936, Roma, Tip. Del Senato, vol. II, p. 76
N.Boileau-Despréaux, Satire, traduzione C.Martinelli Braico, 1826, Napoli, Tip. Pietà de’ Turchini, passim
Cfr. D. Menaker, Lorenzo Bartolini’s Demidoff Table, in “The Metropolitan Museim Journal”, 1984. New York, The Metropolitan Museum of Art, vol.17, p.80 (traduzione dell’autore)