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Caravaggio – La vera vita del giovane Caravaggio, dall’atto di nascita alla partenza per Roma


buona ventura, pagina e-book

 
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La biografia giovanile riscritta in sintesi in base alle più recenti scoperte di Giacomo Berra, integrate dagli studi d’archivio compiuti da Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, nel corso della ricerca confluita negli e-book “Giovane Caravaggio, le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema-Merisi”.

 





Il primo atto pubblico relativo a Michelangelo Merisi (1571-1610) è la registrazione del battesimo, sacramento impartito al bambino nella chiesa di Santo Stefano al Brolo, a Milano. La cerimonia avvenne il 30 settembre 1571, alla presenza del padre, della madre e di un padrino, Francesco Sessa. I genitori del piccolo Michelangelo erano originari di Caravaggio, un centro oggi appartenente alla provincia di Bergamo, ma, a quei tempi, feudo degli Sforza, e pertanto, legato al Ducato milanese. La casa meneghina, in cui abitavano il padre e la madre di Michelangelo Merisi – Fermo, muratore, e Lucia Aratori – era situata nella zona di Santa Maria della Passerella, un’area del centro oggi mutata dagli interventi edilizi novecenteschi.




La sua vita con il nonno

all’ombra di un blasone

 Le nozze Merisi-Aratori, celebrate a Caravaggio otto mesi prima della nascita di Michelangelo, erano state un evento per la piccola comunità.  In qualità di testimoni, erano intervenuti il marchese Francesco Sforza e un membro della nobile famiglia Secco d’Aragona.

Lucia Aratori, la madre di Caravaggio, era, infatti, figlia dell’agrimensore del paese, Gian Giacomo, uomo colto, pubblico amministratore e fiduciario dei marchesi Sforza. Apparteneva a una classe sociale più elevata, rispetto a quella del marito di Lucia. La famiglia Aratori, che ostentava un blasone con drago rampante in campo blu stellato, era vicina al patriziato professionale urbano. Uno zio del nonno materno di Michelangelo, che aveva uno studio   notarile, era proprietario di un edificio gotico, accanto alla vecchia sede municipale, che aveva fatto decorare con soffitti dipinti e tavolette, sulle quali apparivano i ritratti – suoi e della moglie – lo stemma di casa nonché i volti di personaggi illustri della storia e del mito.

Il palazzo era poi passato in eredità al bisnonno di Michelangelo Merisi ed era stato successivamente ceduto ai marchesi, che lo avevano unito a un altro palazzo (che stava a sinistra, di chi guarda, rispetto all’attuale facciata) per ricavare, dall’unione e dalla ristrutturazione degli edifici, la residenza feudale che oggi ospita le uffici municipali della cittadina.

Il piccolo Michelangelo, mentre i genitori – nei primi anni Settanta del Cinquecento – si erano fermati per lavoro a Milano con il fratellino di Caravaggio, Gian Battista (futuro sacerdote) e la sorellastra – nata dal primo matrimonio del padre – , fu inviato in paese, presso il nonno materno, nella casa di porta Folcero.

Dopo la cessione del palazzo ai marchesi Sforza, Gian Giacomo Aratori abitò, con la propria famiglia in questa zona, a porta Folcero. Qui fu accolto, in età prescolare anche il piccolo Michelangelo
Dopo la cessione del palazzo ai marchesi Sforza, Gian Giacomo Aratori abitò, con la propria famiglia, in questa zona, a porta Folcero. Qui fu accolto, in età prescolare anche il piccolo Michelangelo

Nel 1576 il suo nome non appare infatti tra quello dei familiari residenti a Milano. La sua prima educazione venne così affidata a nonno Gian Giacomo, che forse insegnò al bambino i rudimenti del disegno, lo accompagnò in visita ai cantieri del santuario e gli mostrò le opere dei caravaggini, che avevano imboccato con successo la strada della pittura, come Fermo Stella, Prata da Caravaggio, il Moietta, menzionandogli le imprese di Polidoro da Caravaggio, che tanti successi aveva riscosso a Roma, città nella quale si sarebbe poi trasferito anche Michelangelo Merisi. Centrale per la sua psicologia appare il rapporto con il nonno materno, anche ai fini di quella mentalità elitaria del pittore, incapace di subire offese o affronti di ogni tipo perché conscio di appartenere ad una classe a cui si deve rispetto. Il nonno era un personaggio di tutto rispetto. Oltre ad essere agrimensore, consigliere della Marchesa, discendente da un’importante famiglia di notai, Gian Giacomo Aratori era membro di un organo equivalente al consiglio di amministrazione del Santuario mariano di Caravaggio, nel periodo della ricostruzione e dell’ampliamento.

 

Nel 1584 il ritorno a Milano
nella scuola di Peterzano

 

Morto il padre (1577) e trascorsa l’infanzia a Caravaggio – dove forse si formò in una scuola civica o parrocchiale – Michelangelo Merisi tornò a Milano tra il 1583 e il 1584, a un’età compresa tra i dodici e i tredici anni. Lucia, forse consultandosi con il proprio padre, Gian Giacomo, che sarebbe morto di lì a poco, aveva scelto per il ragazzino la formazione artistica, non optando – come accadeva spesso – per un semplice rapporto di apprendistato, ma ponendo il figlio nella condizione privilegiata di alunno, per il quale fu pagata una retta particolarmente elevata.

Simone Peterzano stipulò un contratto con la madre di Merisi. Caravaggio non entrò a bottega come "garzone alla pari", ma come un vero e proprio allievo, che pagava una retta ingente. Per sostenere le spese - 1583-1588 - Lucia Aratori vendette una casa come questa, nel centro del paese
Simone Peterzano stipulò un contratto con la madre di Merisi. Caravaggio non entrò a bottega come “garzone alla pari”, ma come un vero e proprio allievo, che pagava una retta ingente. Per sostenere le spese – 1583-1588 – Lucia Aratori vendette una casa come questa, nel centro del paese

Con l’intenzione di offrire all’adolescente le migliori possibilità formative era stato scelto, come maestro, colui il quale, in quanto sedicente allievo di Tiziano, si mostrava in grado di trasferire le migliori novità che giungevano dalla più aggiornata capitale veneta.

La vita milanese di Caravaggio bambino e adolescente si svolse in quartieri contigui, in una zona non distante dal Duomo e dall’edificio in cui, probabilmente, era nato o dove aveva trascorso i primi giorni di vita. La casa-bottega del maestro di Merisi, Simone Peterzano, era situata nella parrocchia di San Giorgio al Pozzo Bianco. Il ragazzo vi abitò e lavorò dai quattordici ai diciotto anni, senza aver l’obbligo di collaborare con il maestro in lavori servili, poiché tutto risultava coperto dal pagamento della retta. L’individuazione dei disegni del giovane allievo – che segnano, sotto il profilo stilistico, un arco evolutivo ampio, a testimonianza del lungo periodo passato in bottega – consente di ritenere che i termini temporali del contratto, stipulato da Lucia Aratori e da Peterzano, siano stati rispettati e che Caravaggio non si sia sottratto al proprio obbligo, prima dei tempi previsti dal rogito (1588).

Un'immagine tratta dai quaderni di campo di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli,confluiti negli e-book "Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema-Merisi". A sinistra il volto della Maddalena, dipinto nel 1606 dal Caravaggio. A destra un disegno steso dal giovane Merisi, negli anni Ottanta del cinquecento, quand'era nella bottega di Peterzano. L'opera è stata individuata dai due studiosi proprio nel Fondo che conserva i disegni di Peterzano - l''insegnante di Mersisi - e dei suoi allievi - oggi di proprietà pubblica e conservata nel Castello sforzesco di Milano
Un’immagine tratta dai quaderni di campo di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, confluiti negli e-book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema-Merisi”. A sinistra il volto della Maddalena, dipinto nel 1606 dal Caravaggio. A destra un disegno steso dal giovane Merisi, negli anni Ottanta del Cinquecento, quand’era a Milano, nella bottega di Peterzano. L’opera a destra è stata individuata,con numerose altre, dai due studiosi proprio nel Fondo che conserva i disegni di Peterzano – l”insegnante di Merisi – e dei suoi allievi, oggi di proprietà pubblica e conservata nel Castello sforzesco di Milano

Numerosi disegni dell’enfant gaté
che crebbe tra tante protezioni

 Michelangelo Merisi, durante quegli anni, si trovò nella capitale del Ducato in una situazione ancora privilegiata, con protezioni e sguardi attenti attorno a sé. Oltre al proprio maestro – per il quale costituiva una preziosa entrata economica da salvaguardare – Caravaggio poteva contare su una notevole rete di protezione. A Milano abitavano il sacerdote Ludovico Merisi, fratello del padre, e alcuni ricchi parenti pellicciai. Nel capoluogo milanese, nello stesso anno in cui l’adolescente caravaggino aveva iniziato il proprio percorso di formazione, era giunta anche Costanza Sforza Colonna, una figura – cardine nella sua vita.

L’attività nella bottega si svolse con la copia dei disegni del maestro o di altri pittori, con esercitazioni dal vero e piccoli ritratti. In particolar modo, Michelangelo Merisi fu quasi tormentato nel tentativo di raggiungere un equilibrio nell’ambito della rappresentazione delle mani, che faticava a rendere in scioltezza. Interessanti risultano – tra i disegni – i reciproci ritratti maestro-allievo. E’ con un bagaglio articolato e complesso, che il giovane lombardo sarebbe partito per Roma. Ben ottantatré sono infatti i disegni da lui vergati a Milano e ripresi negli anni successivi, alcuni integralmente, altri con modeste modifiche.

DI SEGUITO LE IMMAGINI TRATTE DA “Il giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate” di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli.

Lasciata la casa-bottega del maestro (1589-1590 circa), Michelangelo andò ad abitare in un appartamento del vicino quartiere di San Vito al Pasquirolo. Nella chiesa parrocchiale venne chiamato, proprio nel 1589-1590, Simone Peterzano per la realizzazione della pala. L’opera non presenta alcuna evidenza rispetto a presunti interventi di Caravaggio stesso e questo dimostrerebbe l’allontanamento – pur temporaneo – di Michelangelo Merisi da Peterzano e un tentativo di affrancamento dal maestro.  Il ritrovamento – nel Fondo Peterzano – di un biglietto di protesta che, secondo la perizia grafologica, sarebbe da ascrivere al giovane Merisi, consente di mettere in luce attriti e incomprensioni, che risultano peraltro plausibili alla luce di due temperamenti agli antipodi, testimoniati anche dall’approccio disegnativo e pittorico. La noiosa, altissima precisione del maestro-pedante, da un lato; la spesso rapida e violenta modalità di stesura del segno dall’altro.





Nel 1590 il primo intervento
all’insegna dell’autonomia

 

Fu forse dopo l’uscita dalla casa-bottega di Peterzano che, attorno al 1590, il giovane artista riuscì ad ottenere, grazie alla propria protettrice, Costanza Sforza Colonna, un incarico di rilievo che peraltro era in grado di interferire con un lavoro svolto in precedenza dal suo stesso maestro. Costanza doveva aver finanziato, l’integrazione, con ritratti, del quadro I santi Paolo e Barnaba a Listri, 1573-1590, olio su tela, cm 305 x  410, Milano, chiesa dei santi Paolo e Barnaba, che era stato realizzato nel 1573 proprio da Peterzano. I tempi erano mutati e i cambiamenti avvenuti nella Congregazione richiedevano una revisione del dipinto che, evidentemente – come testimoniano i volti, ripresi poi da Caravaggio in opere del periodo romano e post-romano – fu commissionata proprio a Merisi. Il 1590 è un anno difficile per il giovane pittore, in cerca di denaro e di commissioni, forse proprio a causa del tentativo di svolgere la libera professione. Nel 1590, infatti, la madre, che morirà dopo pochi mesi, fu costretta a vendere un altro terreno per far fronte ai debiti del figlio. E’ comprensibile che, in questo periodo di crisi, si sia inserita anche Costanza, colei che sarebbe sempre intervenuta nei momenti drammatici della vita del pittore. Grazie a Costanza – che figura tra i massimi benefattori dei Barnabiti – l’incarico sarebbe passato a Merisi. Un ruolo centrale negli esordi artistici di Caravaggio fu così giocato da Carlo Bascapè – nel 1590 era il potentissimo generale dei Barnabiti – l’assistente spirituale di Costanza Sforza Colonna, che è presumibilmente ritratta nella stessa opera. Lo studio del carteggio tra Bascapè e Costanza consente di porre in luce un’intensa collaborazione tra i due e, fino al 1592, un sostegno reciproco, poi interrotto a causa della volontà della marchesa di lasciare Milano per Roma e di interrompere un rapporto divenuto oltremodo oneroso sotto il profilo psicologico.

L’attenzione di Costanza Sforza Colonna per i Merisi e l’intreccio di relazioni tra la marchesa, il generale dei Barnabiti, il pittore e i suoi familiari sono evidenziati dalle raccomandazioni che, in due lettere del 1600, Costanza e la nuora inviano a Bascapè, divenuto vescovo di Novara, affinché ordini sacerdote Giovan Battista Merisi, fratello minore di Caravaggio. L’ordinazione avvenne a Novara – con procedura speciale e una cerimonia ad personam – e non a Cremona, diocesi di riferimento per il chierico.

Il rapporto tra la famiglia Colonna e i Barnabiti era strettissimo. Costanza era stata seguita, nel periodo difficile dei primi anni di matrimonio, da Alessandro Sauli, poi da Carlo Bascapè, entrambi, in periodi diversi, al vertice dell’Ordine. Le lettere indicano impegni politici ed economici della marchesa a favore della congregazione. Vediamo il suo nome inserito tra i principali benefattori della chiesa di San Barnaba, in cui è conservato il dipinto.


L’individuazione di altre opere attribuibili a Caravaggio – Il ritratto di gentildonna, oggi a Bergamo, assegnato in catalogo a Salmeggia – e Il suonatore di flauto – Museo di Belle Arti di Algeri – lasciano intendere che l’artista preparò a lungo il proprio trasferimento a Roma, che dovette avvenire contestualmente allo spostamento di Costanza Sforza Colonna.  Uscendo dal proprio ambito intensamente orientato al vero, Merisi mise a punto due stili internazionali per il debutto nella città dei papi: il primo orientato a una ripresa della pittura di Giorgione e Savoldo, il secondo improntato al gusto che regnava nella capitale pontificia, con la preparazione di modelli estrapolati da Scipione Pulzone, un ritrattista in voga a Roma, le cui opere potevano essere osservate dal giovane pittore lombardo nella galleria caravaggina o milanese di Costanza Colonna, che conservava i dipinti di quel maestro. E’ dalle opere di Pulzone che Caravaggio già trasse, in Lombardia, il canone dei volti arrotondati e femminei che avrebbe caratterizzato la sua produzione, almeno fino al Ragazzo mosso dal ramarro, che andrebbe inteso come una ribellione temperamentale alla compostezza che si era pittoricamente imposto.

COSA CONTENEVA LA CASSA CHE CARAVAGGIO PORTO’ A ROMA?
L’analisi sulle radiografie delle tele condotte da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli e di enormi ingrandimenti digitali dei quadri stessi ha permesso ai due studiosi di ipotizzare quali fossero le modalità di lavoro del pittore e da dove discendesse la sua rapidità esecutiva a dir poco prodigiosa, riconosciuta dai colleghi e dai cronisti dell’epoca. Le incisioni lunghe date all’imprimitura e al primo strato di colore uniforme – un bruno rossiccio – circondavano l’ombra dei modelli, soprattutto nei punti di sovrapposizione delle figure. I volti sono spesso contrassegnati da colpi dati con una punta piuttosto grossa – il fondo del pennello o un chiodo – mentre la silhouette del volto stesso è segnata da puntini dati con un chiodo piccolo. Pertanto si può ipotizzare che Caravaggio utilizzasse le ombre umane per ricavare i corpi – come s’usava nell’antichità e com’era ben noto, ai tempi di Merisi, grazie alla testimonianza di Plinio il Vecchio sull’ombra – ottenendo così il massimo realismo – e cartoni dei volti, teste di carattere che aveva elaborato a Milano e sviluppato dimensionalmente prima della partenza per Roma. Per l’ingombro dei volti faceva uso della tecnica utilizzata negli affreschi, quella dei cartoni, che poi adattava per ricavare, dallo stesso cartone, più volti.
Ricavare ombre su una tela è semplicissimo e consente di cogliere, con la silhouette, un’immagine perfetta. Questo lavoro non richiede lenti o camere ottiche. E’ sufficiente attendere una giornata di sole e rilevare le ombre quando il sole è basso all’orizzonte, alla mattina presto o al tramonto. Il modello va messo a circa 50 centimetri la piano del tessuto. La tela può essere lievemente inclinata per consentire alla stessa di porsi come un piano quasi perpendicolare ai raggi del sole. In questo modo le ombre non subiscono alcuna deformazione e si presentano nettissime sul supporto pittorico.
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