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L'assunzione di san Giovanni


di Rosario Rampulla

Mettiamo il caso che Dan Brown e il suo Codice da Vinci abbiano ragione. Che nel Cenacolo che Leonardo realizzò tra il 1495 e il 1498 nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano sia la Maddalena e non l’apostolo Giovanni quella figura dai tratti lievemente femminei, delicati, che eterea si appoggia a Pietro, contrastandone la canuta spigolosità di vecchio con la dolcezza di una posa che sa di attesa, di trascendente rassegnazione. Se così fosse, insomma, Giovanni dove sarebbe andato a finire? Giovanni, l’apostolo più giovane, il prediletto del Cristo. Quel segmento di umanità salvifica che, insieme a Gesù e alla Vergine Maria costituisce (seguendo quello schema di narrazione… geometrico-fideistica tanto caro al romanziere americano) una composizione piramidale in cui confluiscono gli affetti di una sorta di famiglia ideale benedetta da Dio?
L’ipotesi di Brown, figlia di una lettura avventurosa (per qualcuno, molti in verità, vicina all’iconoclastia) dell’affresco leonardesco, usa in qualche modo la particolarissima iconografia legata a Giovanni per rileggere in chiave nuova i passaggi più delicati dei vangeli, quelli cioè che definiscono attraverso il sacrificio e la resurrezione di Gesù i precetti fondamentali del Cristianesimo. Per Dan Brown il Nazzareno non muore sulla croce, ma fugge nella Francia meridionale con la Maddalena, con cui concepirà una bambina di Sang réal, quel sangue reale che avrebbe dato origine alla dinastia dei Merovingi. Un intreccio complesso che non tiene conto di un fatto: se è la Maddalena a prendere parte all’Ultima cena, dove mai può essere andato Giovanni? Dan Brown non lo spiega, probabilmente perché assai poco funzionale alla sua storia che, per altro, si basa proprio sul possibile fraintendimento dei tratti somatici di Giovanni stesso. La giovane età dell’apostolo lo ha, di fatto, consegnato ad una immagine tradizionale che lo vede poco più che adolescente seguire Gesù, il quale diventa in senso assoluto suo Maestro. Ne è mirabile esempio il gruppo Cristo-Giovanni proveniente dalla regione del lago di Costanza ed ora custodito negli Staatliche Museen Preussische Kulturbesitz di Berlino, citato nell’interessante volume di Lasse Hodne Sponsus amat sponsam, Bardi editore. In questo caso Giovanni appare poco più che giovinetto, la testa chinata sulla spalla del Salvatore che ne accoglie la mano nella sua. Un gesto di consumata familiarità, di affetto immediato e dolce, quasi paterno.
Del resto la figura di Giovanni, sempre in riferimento alle Scritture, va ben oltre la sua presenza all’agape del sacrificio del Dio fattosi uomo per riscattare l’umanità dal peccato. A Giovanni si rivolse il Cristo sulla croce affidandogli la Vergine in virtù di un nuovo, inscindibile patto tra madre e figlio. Dettaglio da cui nacquero diverse ipotesi sul ruolo che ebbe la Madonna nell’opera di evangelizzazione dell’Asia che toccò proprio a Giovanni, le cui spoglie sarebbero state conservate a Efeso.
Eventualità confutata in epoca tardo medievale, quando si fece largo la convinzione che Giovanni fosse stato assunto in Cielo in corpo e spirito. Esattamente come la Vergine Maria. Un legame quindi che si rinnova secondo un disegno che mette Gesù come sorta di vertice di un triangolo familiare in cui Giovanni si trova nella condizione di apostolo e di fratello acquisito mentre la Madonna, che generò Cristo, diventa madre putativa dell’evangelista. Una raffigurazione potente, ricca di segnali trascendenti, che tuttavia non deve essere sembrata abbastanza affascinante a Dan Brown. Almeno non quanto l’affaire Maddalena.
Facendo però riferimento alla tradizione apocrifa, esiste anche la tradizione di Giovanni che abbandona la moglie per dedicarsi a Dio, che sceglie lo sponsale mistico con la erigenda chiesa di Cristo invece delle nozze già celebrate ma (sempre secondo il testo apocrifo) neppure consumate. Verginità di spirito e di carne. Esattamente come la Vergine Maria. Stessa condizione, stesso abbandono all’amore di Dio. Stesso privilegio di un’assunzione al Cielo senza abbandonare le mortali spoglie. Amore celeste e amore terreno. La dicotomia insuperabile vinta in nome di Cristo. Che mette sullo stesso piano due figure per lui centrali, elevandole al medesimo privilegio di lasciare la vita terrena in carne, sangue e spirito.
Volendo forzare la mano, sembrerebbero esserci più analogie tra Maria e Giovanni (similitudini trascendenti) che tra la Maddalena e l’apostolo. Sempre a patto di rivolgersi al Cenacolo con lo spirito scettico-romanzesco di Dan Brown.
Soffermandoci infine sulla questione dell’assunzione al Cielo di Maria, emerge come la tradizione iconografica collochi spesso la scena vicino ad altre, quali la Dormizione o l’Incoronazione. Va detto che la corona, oltre ad essere attributo regale, rappresenta uno degli elementi del corredo nuziale. Fatto, questo, testimoniato da reperti di origine bizantina, attraverso rituali pagani poi assorbiti dalla cultura cattolica. Il cerimoniale cristiano, ad essere precisi, introdusse la corona a partire dal III secolo, ma la novità tardò a diffondersi.
La corona non viene però raffigurata solo in simbiosi con lo scambio delle promesse nuziali. Se pensiamo, ad esempio, alle corone di fiori, va detto che queste simboleggiavano la castità pre-matrimoniale. Un simulacro di virtù così come, in una tradizione più tarda, furono i guanti. Quanto alla ghirlanda, essa era “consentita” soltanto in un’altra occasione, la sepoltura. Usanza diffusa in Grecia o in Germania era poi quella di coronare con dei fiori le spoglie di colei che si presentava vergine al cospetto del viaggio verso l’aldilà. Ghirlanda che invece era negata alle vedove ed alle donne non illibate.
Se quanto detto sottolinea ulteriormente il profondo valore simbolico che il Cristianesimo ha assegnato alla verginità, la corona era altresì un segnale del fatto che la defunta era pronta alle nozze con Dio, a quella riunificazione in Gesù che sublima l’abbandono della vita. La Vergine Maria ha in questo senso anticipato tale fusione con il divino concependo il figlio di Dio per poi accedere, immacolata, alla comunione con Colui che è. Celebrando infine quelle nozze di cui la corona può essere, forse, considerata attributo evidente agli occhi dei più.
C’è poi la verginità, attributo anche di chi sceglieva di non unirsi carnalmente a uomo o donna in attesa di Gesù Cristo, l’unico sposo cui concedere la propria essenza. Esattamente come fece, sempre secondo la tradizione apocrifa, l’apostolo Giovanni, che non visse fino in fondo il matrimonio perché scelse di predicare la parola di Dio. Ancora una volta un matrimonio spirituale, la cui ricompensa si tradusse nell’assunzione al Cielo.
Per questo, apocrifi o non apocrifi, Giovanni ha tutto il diritto di stare accanto a Cristo quando quest’ultimo annuncia che il tradimento è compiuto. Che il suo destino sta per compiersi. Un destino la cui rivelazione esplode nei tratti e nei colori leonardeschi in un caos umanissimo, che l’apostolo vive con delicato distacco. Atarassia permeata dalla consapevolezza che quel legame sfaldato dall’inganno dell’uomo si rinsalderà in Cielo. Laddove portare a compimento il matrimonio con l’essenza stessa di Dio. Ricevendo idealmente la corona della salvezza attraverso la fede.