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Le Croci di Giotto – Analisi tecnica e stilistica del restauratore, le convergenze con Assisi


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Stile rivolse alcune domande a Marco Ciatti che, con la collaborazione di Cecilia Frosinini, coordinò i lavori di restauro della “Croce di santa Maria Novella” di Giotto, Dopo dodici anni il grande crocifisso tornò allo splendore di un tempo grazie a un intervento eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro di Firenze, sotto le direzioni di Antonio Paolucci, Giorgio Bonsanti e Cristina Acidini. Il tempo è passato, ma fondamentali restano le sintesi degli studiosi che hanno potuto entrare in contatto con i materiali di Giotto.
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La ricollocazione del Crocifisso di Giotto nella sua sede originaria, la chiesa di Santa Maria Novella, a conclusione del lungo lavoro di restauro da lei diretto, ha rappresentato un momento di grande soddisfazione anche da un punto di vista prettamente scientifico…
Quando un’opera viene sottoposta a restauro essa subisce prima di tutto un profondo lavoro di pulitura della pellicola pittorica, spesso, come in questo caso, pesantemente alterata e ritoccata, consentendone una più chiara lettura da un punto di vista stilistico oltre che tecnico. E’ quindi è possibile dare inizio a una fase di studio e di indagine che conduca alla più approfondita conoscenza possibile del dipinto.
Vuole spiegarci precisamente quali sono i particolari stilistici emersi che, oltre a confermare la piena autografia giottesca dell’opera e a testimoniarne le novità fondamentali, aggiungono anche dati di conferma rispetto alcune delle teorie più discusse della storia dell’arte italiana, come quella fondamentale dell’attribuzione “Storie d’Isacco” di Assisi?
Direi che da questo punto di vista due sono i punti emersi che svelano uno stretto rapporto con l’opera del Maestro delle Storie di Isacco. Il primo è il panneggio del perizoma del Cristo della Croce, che, dopo la pulitura, mostra una grande raffinatezza di esecuzione, svelando delicate trasparenze e le stesse pieghe, ottenute con un effetto tecnico dall’incisività quasi scultorea, del personaggio sdraiato sul letto nella scena “Esaù davanti ad Isacco” del ciclo assisiate. Il secondo invece è la sconcertante vicinanza tra i volti del San Giovanni del Crocifisso e quelli di Esaù nella scena “Isacco che respinge Esaù” e del giovane che assiste, a destra, alla “Deposizione del Cristo” di Assisi: una coincidenza dall’evidenza lapalissiana, che davvero lascia pochi dubbi in merito all’attribuzione. Una coincidenza che può non essere colta solo da chi non la vuole vedere. La costruzione dei volti, la posizione della testa e i lineamenti sono talmente simili da sembrare tratti dallo stesso cartone..
A suo avviso, come si pone tutto ciò in relazione alla scoperta degli affreschi di Pietro Cavallini nella chiesa di Santa Maria in Ara Coeli, che recentemente ha riacceso i termini della disputa intorno all’attribuzione di merito – a Giotto o al romano Cavallini, appunto – del rinnovamento della lingua pittorica italiana?.
Innanzitutto sottolineerei che la questione è stata senz’altro mal posta, da un lato da quegli stessi studiosi che l’hanno sollevata, ma in gran parte a causa della strumentalizzazione attuata dai mass media. Concordo con chi sostiene che il problema sia senza dubbio più complesso, e che non vada ridotto ad una disputa tra due città, Roma e Firenze, quasi si trattasse di una partita di calcio. A mio avviso, Giotto fu senza alcun dubbio la personalità centrale ad Assisi, anche perché, se così non fosse, risulterebbe difficoltoso capire come mai la grande committenza si rivolse a lui e non ad altri, dopo la prova di Assisi, per l’esecuzione di opere fondamentali come quelle di Padova, di Roma, di Rimini. Inoltre, non dimentichiamo che le “Stimmate di San Francesco” del Louvre, dipinto assolutamente vicino stilisticamente agli affreschi, reca la scritta “Opera Iocti”, a conferma dell’autografia. Con tutto ciò, non si vuole certo negare l’evidenza del fatto che nel cantiere di Assisi fu fondamentale anche l’intervento dei pittori romani: del resto, a Roma vi erano personalità sicuramente forti, e Giotto, che era stato nella capitale, seppe cogliere molto da loro. Io credo che la questione fondamentale sia il fatto che Giotto, più di tutti, seppe costruire un’incomparabile sintesi autonoma delle soluzioni che si andavano sviluppando in un’opera che, non dimentichiamolo, era un’opera di “artigianato”. E’ in questo che va riconosciuto il suo primato, la sua genialità..
Ritornando al “Crocifisso”, quali altre importanti scoperte sono state fatte grazie all’intervento di restauro?.
Fondamentale è stata la scoperta delle modifiche strutturali che Giotto fece apportare alla Croce. Il supporto ligneo era stato concepito e strutturato in modo diverso, con le misure tradizionali che si ritrovano nella precedente produzione duecentesca -per intenderci, in quelle realizzate da Cimabue, il che ci consente di ipotizzare che l’incarico fosse stato inizialmente affidato proprio a lui (cfr. lo schema pubblicato sul precedente numero di “Stile”). Il giovane Giotto, prima di iniziare il suo intervento, fece dunque modificare le misure in maniera da renderle adatte ad una rappresentazione più naturalistica del Cristo, volendolo raffigurare come un vero corpo umano crocifisso, con le braccia flesse verso il basso dal peso del corpo: così, la figura è scesa ad occupare maggiormente la zona sottostante, a differenza dell’innaturale arcuatura verso sinistra dei modelli precedenti. Un altro punto di fondamentale importanza è la scoperta del disegno preparatorio del volto di Cristo, evidente nella riflettografia a raggi infrarossi, che si mostra come un vero e proprio studio dal vero: un disegno attento e meticoloso, ma realizzato con immediatezza e decisione. Ciò che più colpisce è il senso di spiccato naturalismo, che poi, nella copertura pittorica, viene un po’ smorzato, ma che non può che sbalordire se si pensa alla precoce datazione della realizzazione..
Il progetto di ricerca ha inoltre consentito un’ipotesi di riscrittura della cronologia complessiva dei lavori del periodo giovanile del maestro….


Seguendo la cronologia proposta da Luciano Bellosi, e tenendo in considerazione il rapporto col probabile committente dell’opera, Riccardo de Montecroce, si può ipotizzare per la Croce una datazione intorno al 1288-89. Di pochissimo posteriore è la “Madonna di Borgo San Lorenzo”. Tecnicamente, si osserva una vicinanza con la “Madonna di San Giorgio alla Costa” (per cui si presume una data riferibile alla prima metà dell’ultimo decennio del Duecento), la Croce di Rimini e le “Stimmate” del Louvre. Altre similitudini tecniche sono osservabili nel “Polittico della Badia”, le cui forme si avvicinano e precedono gli affreschi degli Scrovegni e il connesso Crocifisso.
GIOTTO, CROCE DI SANTA MARIA NOVELLA

 
GIOTTO, CROCE DEGLI SCROVEGNI

 
GIOTTO, CROCE DEL TEMPIO MALATESTIANO DI RIMINI

 
GIOTTO A NAPOLI, GIOTTO E IL CROCIFISSO DI TEANO

 
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