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Versace – L’estro ri-creante. Il rapporto dello stilista Gianni Versace con l’arte



di Enrico Giustacchini

Prosegue il nostro viaggio nell’Alta moda, per indagare il complesso di relazioni che intercorrono tra questo ambito creativo e le arti figurative. “Stile” ha incontrato Santo Versace.

x_12Gianni Versace vantava collaborazioni con numerosi tra i maggiori artisti contemporanei: da Pomodoro, a Rotella, a Veronesi, per non citarne che alcuni. Si trattava oltretutto di collaborazioni non episodiche, di rapporti che perduravano nel tempo. “Sono in contatto con molti artisti, perché penso che rappresentino una realtà importante” dichiarava “Mi piace capirli, lavorare con loro a certi progetti”. Un’autentica “intesa creativa”, insomma. Ricorda qualche episodio in particolare relativamente a questi sodalizi?
Ce ne sono parecchi. Ricordo – per fare solo un esempio – che Gianni era molto orgoglioso degli esiti della collaborazione con Veronesi nell’allestimento della “Josephlegende” di Richard Strauss alla Scala, allestimento per cui avevano realizzato scene e costumi. Altre collaborazioni artistiche, ma di genere diverso, sono state quelle che mio fratello ha avuto con il teatro, disegnando costumi per coreografi e registi come Maurice Béjart, William Forsythe, Bob Wilson e Joseph Russillo. Il teatro lo appassionava perché gli dava la possibilità di esprimersi con la massima libertà, stimolando la sua creatività.

 
Gianni Versace era una persona di vasta cultura artistica. I suoi rapporti con l’arte superarono sempre l’aspetto della riproducibilità, nella direzione di un’interpretazione, di una ricreazione. “Mi sembra stupido prendere un quadro di Picasso, scopiazzarlo e metterlo su un vestito” dichiarò in un’occasione. In una mostra a Milano presentò un astrattismo tutto nero, in cui il maestro catalano era “rivisto” puntando solo sui tagli e sulle forme. Quando gli capitò di affrontare Kandinskij, si impegnò in un’elaborazione che partiva dalle opere ma andava avanti in nuove concezioni di forme e di colori, realizzati perfino con l’aiuto del computer. “A volte” confessava “mentre lavoravo partendo da un’opera d’arte, l’opera stessa era talmente dentro di me che le idee si creavano spontaneamente, in pratica senza che io ci pensassi”.
Mentre i modelli storici di Gianni sono legati al rispetto per tutta la storia dell’arte, era la tradizione moderna – dai primi anni del secolo scorso, con Klimt, Delaunay, Calder, il Cubismo, l’Art déco, fino ai tempi più recenti di Andy Warhol, Jim Dine, Julian Schnabel, dell’Op art, di Frank Moore, Rotella, Schifano… – che destava maggior piacere e interesse nel collezionista e nello stilista. Quando a volte veniva bonariamente criticato da qualche artista, che pure aveva sostenuto e collezionato, per averne usato i motivi, Gianni replicava che l’arte è di tutti, che esiste per essere condivisa e per aumentare il piacere di vivere. Anche se questa posizione è difficile da accettare per un artista quando si accorge che qualcun altro ha “approfittato” del suo lavoro, possiamo dire che nel campo dell’arte mio fratello era idealista e generoso, di una generosità sempre evidente nella sua attività e nella sua vita. Come traeva da altri elementi della cultura contemporanea ossigeno per alimentare lo stile e l’energia, così Gianni sentiva che l’arte poteva trasmettere ulteriore calore alla sua moda sfolgorante. Nel grande desiderio di utilizzare l’arte non era quasi mai intimidito dalla solennità di un museo o dalla superiorità di un autore: anche quelle potevano essere per lui immagini interessanti. Negli ultimi anni visitava ad esempio spessissimo il Metropolitan Museum. Queste visite complete offrivano alle sue riflessioni tutte le forme d’arte sul medesimo piano, senza che una prevalesse sull’altra. In ognuna delle sue creazioni ispirate all’arte è possibile ritrovare sia il paradigma originale che lo slancio dello stilista e l’impegno per rimodellarlo in forma diversa e vitale. Si potrebbe dire, in conclusione, che l’arte era per mio fratello uno stimolo continuo. E come in tutti gli altri campi di ispirazione, egli non copiava mai: egli rigenerava ogni cosa, e la proiettava nel futuro.

“Oggi ci si chiede se la moda sia vera arte. Guardando i quadri di Boldini o del Rinascimento, osservando l’arte in ogni epoca, perfino i quadri astratti di Picasso, emerge sempre una figura di donna, o di uomo, consona al periodo in cui è stata dipinta, cioè alla moda che ci accompagna e che ha accompagnato l’umanità in altre epoche. La moda, quindi, è indubbiamente vera arte, e la prova sta nel fatto che essa è presente nei musei”. Questo era il pensiero di Gianni Versace a proposito di un tema sicuramente complesso ed aperto a diverse convinzioni. Egli andò addirittura più in là, sottolineando non solo la pari dignità, ma altresì la reciprocità dell’influenza delle due forme espressive, e la radicata convinzione che “nella moda non è artista solo chi la crea, ma anche chi la interpreta, cioè chi si porta addosso un certo abito”.
Non solo la moda è arte, ma molto spesso l’arte collabora con la moda. E la moda rappresenta con esattezza il suo tempo. Oltre ad essere, appunto, arte a tutti gli effetti, la moda influenza certamente le arti figurative. Addirittura, abbiamo casi di autori che nascono pittori e diventano stilisti. Mi piace aggiungere, a proposito del rapporto di Gianni con l’arte, un’osservazione a mio parere significativa. Mio fratello apprezzava molto, dell’arte, anche l’aspetto per così dire “manuale”, che non giudicava affatto secondario rispetto all’estro e alla creatività. Poteva restare ore ad ammirare un pittore che dipingeva, ma pure un bravo artigiano al lavoro.

 
Sono davvero tanti gli artisti e i movimenti a cui Gianni Versace ha fatto riferimento: a partire dalla cultura classica e mediterranea (la pittura vascolare e murale greca ed etrusca) passando per il Rinascimento, il Romanticismo, Mariano Fortuny, il Liberty… Per non dire del Novecento italiano ed internazionale, a cui già abbiamo fatto cenno. Ricorda, in questo ambito, qualche capo o qualche collezione di cui Gianni Versace era particolarmente fiero?
Senza dubbio le creazioni ispirate alla Pop art. Si trattava di invenzioni straordinarie per diversi aspetti. Ricordo che Gianni si divertì anche parecchio, con queste collezioni. Se guardiamo ad esse, vi leggiamo tanta ironia, che si fa strada grazie a rielaborazioni di sorprendente modernità, ad accostamenti insoliti e provocatori. In tale contesto, l’affinità artistica forse più nota di mio fratello è quella con Andy Warhol. Entrambi creativi ma anche attenti agli aspetti commerciali del loro mestiere, provocatori e voyeurs, entrambi affascinati dalla cultura popolare. I modelli “Pop art” di Gianni testimoniano del posto da lui occupato nel mondo, trasmettendo il loro sensazionalismo ancora oggi, che tanti anni sono trascorsi dalle azioni “impertinenti” di Warhol. A proposito invece di Calder, scriveva Amy Spindler sul “New York Times” del 21 gennaio ’97: “Versace ha tradotto i suoi modelli in sculture mobili che camminano, realizzandoli in abiti diafani e ariosi, sui quali sono dipinte le forme e i fili di Calder”. Così oggi la scultura mobile di Calder non è soltanto appesa ad un soffitto, ma danza su una veste in chiffon di seta senza spalline. Analogamente, reinterpretando Delaunay, Gianni media le idee di Robert con le brillanti invenzioni tessili di Sonia, catturandone l’essenza nel desiderio di vedere la loro arte tradotta in un abbigliamento fatto per essere spettacolo.

 
Gianni Versace “artista” ha goduto di universale fortuna. Pensiamo alle grandi mostre in templi dell’arte come il Victoria and Albert Museum di Londra, il Palais Galliera di Parigi o il Castello Sforzesco di Milano…
Si è trattato di eventi davvero memorabili. La mostra del 1985 al Victoria – ricordo l’incredibile incontro di Gianni con gli studenti, nella Sala dei Preraffaelliti – ha avuto un seguito recente, con una seconda rassegna dedicata dal museo londinese a mio fratello che si è conclusa a gennaio di quest’anno riscuotendo un clamoroso successo. A Parigi Gianni fu insignito dall’attuale presidente della repubblica francese Chirac della medaglia d’oro, riconoscimento attribuito a pochissime altre personalità straniere della cultura. La mostra allo Sforzesco, intitolata “L’abito per pensare”, rappresentò un momento cruciale per la definizione, anche a livello della critica, dell’itinerario creativo da lui compiuto in correlazione con il mondo delle arti figurative.

 
…pensiamo alla rilettura della sua produzione da parte della critica più autorevole (vorrei citare almeno l’analisi dell’utilizzo dell’asimmetria come rivoluzionaria cifra stilistica, espressa da Gillo Dorfles in occasione dell’evento allo Sforzesco). Secondo lei, come giudicava l’interessato questo enorme consenso? Ritiene che abbia in qualche modo influito sul suo lavoro?
Gianni era conscio di saper fare bene il proprio lavoro, che amava più di ogni altra cosa: tuttavia era molto esigente con se stesso, e spietatamente critico. Pur apprezzando il consenso generale non si è mai montato la testa. Inoltre, egli amava mettersi in gioco. Gli piacevano le sfide. Faccio un esempio, che riguarda proprio la mostra allo Sforzesco. Egli chiese ad importanti studiosi – Cristina Aschengreen, Omar Calabrese, Alessandra Mottola Molfino, Grazietta Buttazzi, Claudio Salsi, Chiara Buss – di entrare a far parte del comitato scientifico dell’evento. Alcuni di essi risposero che avrebbero accettato, ma a condizione che non fossero messi loro dei paletti, che potessero esprimere in assoluta libertà le proprie valutazioni. Mio fratello accettò: corse il rischio. Questo è un episodio che ben esprime le idee di Gianni in proposito, l’approccio che aveva con il mondo dell’arte, e della critica d’arte.

 
E di Gianni Versace grande collezionista, che cosa possiamo dire?
Ah, qui la sua follia di genio superava ogni limite. Era un entusiasta, un entusiasta con antenne particolari, sia per l’arte antica che per quella moderna. Subiva il fascino dell’arte antica, certo, ma ultimamente si era avvicinato anche alle avanguardie, pur con un’attenzione inferiore per il concettuale, che avvertiva evidentemente meno vicino alla sua sensibilità. Giudicava indispensabile trasferire nei luoghi dove viveva – e insieme, nei luoghi dove “vivevano” le sue creazioni, ossia nelle boutique – storia ed atmosfere peculiari dell’ambiente circostante. Così, ad esempio, nella boutique di Parigi fece collocare opere classiche, di gusto molto “francese”, con affreschi e trompe-l’oeil di giardini alle pareti; arricchì la casa di New York con una collezione di arte moderna (Picasso, Moore, Dine, Schnabel, Hockney, Lichtenstein, Warhol, Basquiat, Matisse); volle che la casa di Miami fosse piena di gioia e di sole, con lavori di Schifano, Rotella, Paladino, Moore, Dufy, Picasso; mentre per la casa di Milano lasciò emergere tutto il suo amore per l’arte antica, in particolare greca, fatto convivere con l’arte moderna (in primis Paladino, autore con un retroterra imbevuto di classicità mediterranea; ma anche de Chirico, Rotella, Schifano, Léger, Sironi). Un momento importante della passione di collezionista di Gianni Versace è quello legato ai suoi ritratti, commissionati a noti maestri così come le interpretazioni della “Medusa”.

In effetti, numerosi sono gli artisti che hanno ritratto Gianni: da Dine a Paladino, da Pistoletto a Schnabel. Il tema della “Medusa”, poi, è stato affrontato, fra gli altri, da Matta, Dine, Clemente, Rotella, Ruhs…

 
Veniamo ora al presente, e al futuro in casa Versace. Il binomio moda-arte continua con Donatella. In che modo, in quali forme ci si è riferiti a tale fonte d’ispirazione in questi ultimi anni? E quali sono i programmi, le idee per l’avvenire?
Sì, il lavoro prosegue, nella continuità e insieme nel cambiamento. “Tutto quello che ho imparato nella moda” afferma Donatella “lo devo a Gianni. Gianni era un genio molto generoso. Divideva con gli altri il suo sapere e questa è una cosa che non fanno in molti. Ho imparato a provare sempre cose nuove, anche rischiando molto, senza avere mai paura delle critiche”. Donatella trae le sue idee da tutto ciò che la circonda: dai suoi viaggi, dalle città in cui si trova, ma anche dai giovani, dal loro modo di esprimersi. Le è assolutamente necessario, come stilista, essere al passo con i tempi. Focalizza la sua attenzione sulla vita delle grandi città come New York, punto d’incontro di tante differenti etnie e culture, sempre in movimento. Ogni forma d’arte l’interessa, sia che si tratti di musica o di cinema. Tutto questo fa parte della sua immagine, assolutamente eclettica, che rispecchia uno stile ben definito e molto personale.