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Lo sapevate che Modigliani era pronipote del filosofo Spinoza?




Amedeo Modigliani, “Nudo sul divano, con le mani dietro la testa”
Amedeo Modigliani, “Nudo sul divano, con le mani dietro la testa”

E’ difficile pensare a Modigliani distinguendo l’uomo dalla leggenda, l’artista dalle stravaganze più note. E’ difficile, certo, ma indispensabile se si vuole comprendere a fondo l’innovazione e la forza della sua pittura; se si desidera indagare le ragioni di una vocazione all’arte che sin dall’età di diciassette anni diviene per lui totale abnegazione. E’ alla madre che all’epoca, malato, in preda alla febbre tifoidea, confessa con insistenza la sua scelta irrinunciabile di dedicarsi alla pittura. Di donne, amori, ubriachezze moleste, “sedute di hascisc”, abusi d’assenzio è già stato detto. Del suo fascino bohemien, della bellezza aristocratica, dell’eleganza consunta, vissute in uno stato di indigenza assoluta fra l’aura mitica di Montmartre e Montparnasse si è scritto a lungo. Con ogni probabilità Modigliani è stato tutto questo. C’è però dell’altro, la sua essenza creativa. Quando nasce (Livorno, 1884), ultimo di quattro fratelli, la sua famiglia sta attraversando una “catastrofe economica”. Dedo, così viene affettuosamente chiamato fra le mura domestiche, trascorre un’infanzia in un’atmosfera tutt’altro che allegra e spensierata senza per questo subire eccessive privazioni.

Il compagno di giochi più caro è il nonno materno, Isaac Garsin, uomo illuminato, colto, dai solidi principi morali che vanta fra i suoi antenati il filosofo Spinoza. E’ lui ad iniziarlo alla lettura, mettendogli a disposizione la biblioteca di famiglia. Ecco allora sbocciare l’amore per la poesia che lo accompagnerà per tutta la vita: sono in molti, infatti, a ricordarlo mentre declama a memoria, in preda ad un “impeto melodioso”, versi di Dante, Carducci, Pascoli, Mallarmé, Baudelaire e Rimbaud. Assorbe così abitudini serie, modi gentili, capacità di concentrazione. Nel 1898 inizia a frequentare lo studio del pittore livornese Micheli dimostrando un innato talento per il disegno. A causa della salute cagionevole (dopo il tifo contratto in giovane età fu colpito da varie pleuriti, dalla scarlattina e dalla tubercolosi) intraprende, accompagnato dalla madre, un viaggio verso il sud del Paese; un pellegrinaggio culturale che si rivela determinante per la sua ispirazione e formazione: Torre del Greco, Napoli, Capri e Roma (dove “raccoglie la verità sull’arte e la vita”). Sulla strada del ritorno sono Firenze e Venezia a lasciare il segno. La città lagunare – siamo nel 1905 – gli dà la possibilità di assaporare il riflesso mai sopito dell’oriente, di respirare un’intrigante contaminazione mitteleuropea. E’ qui che decide di trasferirsi a Parigi. Quando arriva oltralpe Modigliani ha appena ventidue anni. Affitta uno studio a Montmartre accanto al famoso Bateau-lavoir. Frequenta Derain, Picabia, Gris, Apollinaire, Andrè Salmon, Utrillo, Soutine, Max Jacob (colui che lo inizia allo spiritismo).
“Jeanne Hébuterne con collana”. E’ uno dei numerosissimi ritratti della donna che vivrà accanto al pittore negli ultimi, tribolati anni, e che gli darà una figlia. Quando Modì muore di tubercolosi, a 36 anni, Jeanne, incinta di otto mesi del secondo figlio, si suicida gettandosi nel vuoto dal tetto della casa paterna
“Jeanne Hébuterne con collana”. E’ uno dei numerosissimi ritratti della donna che vivrà accanto al pittore negli ultimi, tribolati anni, e che gli darà una figlia. Quando Modì muore di tubercolosi, a 36 anni, Jeanne, incinta di otto mesi del secondo figlio, si suicida gettandosi nel vuoto dal tetto della casa paterna

Guarda a Toulouse, a Boldini, ai quadri blu di Picasso (evidenti sono le tracce ne “L’ebrea” esposta al Salon del 1907); come gli altri è attratto dalla pura essenzialità “dell’arte nera” conosciuta al Trocadero, anche se ad infiammare la sua immaginazione sono le soluzioni formali adottate dagli egizi e tanto ammirate nelle sale del Louvre. A colpirlo sono inoltre l’attitudine psicologica di Munch, la sensualità dell’iconografia klimtiana, la lezione magistrale di Cézanne. Modigliani “si interessava di tutto, capiva tutto”, scrive Paul Alexander, suo amico e confidente sino al 1914. Sebbene il suo modus operandi affondi le radici più profonde nell’arte toscana del Trecento e nel classicismo rinascimentale, egli segue la nuova pittura senza mai servirsene sino in fondo. La sua lucidità intellettuale fa sì che l’innovazione del suo lavoro risieda nella poesia della figura umana secondo un’accezione che non è sbagliato definire neoplatonica; nella capacità di rappresentare ciò che vede e che sente in modo del tutto intimo e intimista. Una delle peculiarità che lo contraddistinguono è quella di essere rimasto una voce fuori dal coro. Individualista, solitario, fa della sua arte qualcosa di singolare, di non assimilabile ad alcuna corrente. Come osserva Osvaldo Licini, “Modigliani ha dimostrato che concentrando tutto sull’uomo (…), facendone il centro del mondo, si poteva fare una grandissima pittura di portata eterna e universale”. E così è stato. Basta prendere in esame la sua opera per constatare che ci troviamo di fronte ad una enorme quantità di ritratti e figure (ha dipinto solo quattro paesaggi e una natura morta). Ritratti che sono divenuti il marchio indelebile della sua identità, che – come sostiene Cocteau – riportano tutti i soggetti ad un principio che aveva dentro di sé.
E’ come se il Nostro cercasse nei volti che dipingeva una somiglianza con l’idea di uomo e donna che egli conservava nella mente; dipinge per trovare se stesso. L’insistenza con cui torna sui volti, semplificandone via via i tratti somatici (visi allungati, linee tonde, occhi dal contorno a mandorla e spesso vuoti – quasi il “medium visionario” fra dentro e fuori -, bocche piccole, colli lunghi), indica il tentativo costante di immedesimarsi nei suoi personaggi: una reiterata volontà di autorappresentarsi. La sua ricerca lo conduce verso una semplificazione sublime della forma che sottrae ad ogni stereotipo e declinazione d’avanguardia elevandola a qualcosa di primigenio, ancestrale. Mosso quasi da un’urgenza espressiva, e in seguito all’incontro con Brancusi (giunto a piedi dalla Romania per amore dell’arte), a partire dal 1909 si dedica quasi completamente alla scultura. La sua innata sensibilità plastica lo induce, subito, senza esperienza, a tradurre il disegno nella pietra. Sostenitore della scultura quale sottrazione di materia, si applica con rigore alla stilizzazione geometrica della stessa sino a giungere a realizzare vere e proprie maschere. Egli mira dunque ad una fisionomia priva di espressione, ieratica, senza rinunciare però all’indagine introspettiva che si fa sempre più acuta quanto nascosta dietro le apparenze del visibile; denunciando così un’attitudine inconscia al simbolismo e alle teorie psicoanalitiche di Freud. In tal senso le “Cariatidi” rappresentano il culmine della sua produzione plastica, un esito raggiunto attraverso un processo creativo che prima di essere pratico è assolutamente intellettuale.
“Donna con vestito giallo (Madame Modot)”
“Donna con vestito giallo (Madame Modot)”

Controvoglia, a causa delle condizioni di salute, è costretto a tornare alla tela abbandonando il progetto utopico e grandioso di costruire il “Tempio della voluttà”. Voluttà che ritroviamo però nei nudi dell’ultimo periodo (1917-19). Una pennellata più fluida, una tavolozza più chiara, un uso della tela come supporto che in qualche modo deve rimanere visibile fungono da proscenio per i corpi eleganti nei quali Giuliano Briganti legge “sensualità e innocenza, inquietudine e provocazione, ironia e amore”. Gli stessi nudi audaci e languidi che esposti in mostra nella galleria di Berte Weill vengono sequestrati dalla polizia. I nudi dalle tonalità albicocca che, astratti e distanti, connotati da particolari realistici (capezzoli, peli pubici) disorientano i contemporanei facendoli gridare allo scandalo. Sono gli anni in cui conosce Jeanne Hebutherne, la donna che condividerà gli stenti degli ultimi anni, la madre di sua figlia, la protagonista, fragile, di molti ritratti; colei che non riuscirà a sopravvivergli se non per un giorno, uno solo. Modigliani muore di tubercolosi nel gennaio del 1920 alla sola età di 36 anni. Jeanne, incinta di otto mesi del secondo figlio, si getta nel vuoto dal tetto della casa paterna.