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Due colori adiacenti vengono percepiti dall’occhio in modo diverso da come sono realmente”: così scrive Eugene Chevreul nel 1839. Le sue leggi sulla reciproca influenza dei colori e sulla loro classificazione esercitano (insieme alle intuizioni di Rood e di Sutter) un peso determinante nelle scelte di alcuni pittori tra Otto e Novecento, soprattutto in quelle di Georges Seurat e Paul Signac, padri del neo-impressionismo, movimento che segna l’inizio di una profondo rapporto tra arte e scienza. .“I colori puri rifiutano qualsiasi mescolanza” scrive Signac, confermando implicitamente l’intuizione settecentesca di Descartes il quale asseriva che “i colori”, quelli dalle molteplici sfumature, “sono una creazione della nostra mente”.

I suoi dipinti, come quelli dell’amico e compagno d’intenti Seurat, sono infatti una profusione eloquente di colori puri che, stesi per piccoli segni uguali e giustapposti, vengono impiegati con metodo rigoroso fondato sulla divisione del tono: le tinte vanno semplicemente accostate fra loro (mai mescolate) lasciando che siano l’occhio e il cervello – alla dovuta distanza s’intende – a compiere l’artificio della percezione. D’altro canto in quell’epoca “era importante per la ricerca scientifica verificare il funzionamento dei processi con cui si fa l’esperienza del reale”, spiega Argan. Per i neoimpressionisti, dipingere significa esattamente compiere un’esperienza di conoscenza oggettiva della realtà. E lo fanno ponendo un controllo di metodo sulla poetica di un’arte ormai, per loro, fatta di vibrazioni cromatico-luminose. Ma chi è davvero Paul Signac?

Un pittore autodidatta che, nato a Parigi nel 1863 da una famiglia di commercianti, giovanissimo, subendo il fascino di Montmartre, scrive a Monet: “Dipingo da due anni, non ho avuto che le sue opere come modello (…), ho lavorato con coscienza e regolarità ma senza consiglio né aiuto. Nel timore di perdere la strada la prego di permettermi di incontrarla”. L’incontro non ebbe luogo, ma Signac, folgorato dalla pittura di Seraut, conosciuto nel 1884 alla prima mostra della Società degli Indipendenti, trova ugualmente il suo percorso. Per lui e per i suoi compagni a decadere è il culto della natura, essi – a differenza dei loro più famosi predecessori, gli impressionisti – tornano a lavorare in atelier, dilatano i tempi d’esecuzione, analizzano la luce-colore, costruiscono la scena; non cercano più l’istantaneità della visione ma la sua armonia scientifica, senza per questo rinunciare a profonde suggestioni emotive.

E’ Signac stesso a raccontare, in un saggio pubblicato nel 1898, le motivazioni che sostengono le sue scelte, individuando in Delacroix il vero capostipite di tale movimento, l’estimatore della purezza cromatica che bandisce “il grigio” dalla tavolozza quale “nemico di qualsiasi pittura”. Un quadro neoimpressionista, dice, ”nasce dalla disposizione degli elementi sulla tela”, segue la tradizione alla ricerca di un’armonia d’insieme: sono linee, colori e chiaroscuro a fare la creazione del pittore. Ciò che conta è un’esecuzione sapiente, ragionata e rigorosa. A chi ascrive a tale tecnica il carattere d’artificio, a scapito del talento individuale, Signac risponde che, restando immuni dal fascino della pennellata, optando per una soluzione scientifica, il tocco stesso si fa pensiero e pone l’opera ad un livello superiore rispetto ad una semplice copia dal vero. La pittura non può forse vantare il diritto di essere insegnata al pari di musica e matematica? Inequivocabilmente sì: “I colori ubbidiscono a regole infallibili proprio come altre discipline” risponde Charles Blanc, autore di “La grammaire des arts et du dessin”. Nel corso della sua lunga esistenza – muore nel 1935 – Signac sperimenta diverse tecniche fra cui l’acquerello e il disegno che, seguendo l’approccio impeccabile alla resa dei valori e secondo i suoi principi, può, attraverso il bianco e nero, divenire “esecuzione luminosa e colorata”.

Paul Signac, Le petit déjeuner, 1886-1887
Paul Signac, Le petit déjeuner, 1886-1887

La relazione di continuità con l’impressionismo, enunciata a gran forza nel suo trattato, appare talvolta una scelta diplomatica. Come osserva Renato Barilli, sostanziali sono le differenze fra gli esponenti dei due movimenti: i primi vanno alla ricerca “della magica sintonia dell’immediatezza”, i neoimpressionisti, mediante un’analisi dettagliata, eseguono un’operazione di sintesi tale da indurli – forse inconsapevolmente – verso una primigenia forma di astrattismo molto più vicina di quanto si possa pensare al simbolismo stesso. Ed è proprio per questo che va loro riconosciuta la forza dell’innovazione, il merito di aver gettato le basi per lo sviluppo della pittura fauve, dove l’autonomia del colore e degli elementi prendono definitivamente il sopravvento sulla rappresentazione

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