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L'Ombra della sera, il fascino di un bronzetto dell'Aldilà




Artista anonimo, L'Ombra della sera, III sec. a.C., bronzo, h.cm.57, Volterra, Museo Guarnacci
Artista anonimo, L’Ombra della sera, III sec. a.C., bronzo, h.cm.57, Volterra, Museo Guarnacci

La solenne e arroccata Volterra, attualmente nota per le maestranze che scolpiscono l’alabastro, era in epoca etrusca una delle più prestigiose città presenti nella nostra penisola; di questo suo lontano passato rimangono le vestigia in molte testimonianze architettoniche del centro storico, dalla Porta dell’Arco, alla Porta di Diana, alla cinta muraria, all’Acropoli. Velathri, era infatti il suo nome, o come sostengono altri studiosi si chiamava Felathrash, così infatti rimane inciso su una moneta volterrana del III secolo a. C., conservata presso il Museo Guarnacci. Ed è proprio in questo antico e affascinante sito espositivo, uno dei più antichi musei pubblici d’Europa, che è conservata una scultura di epoca etrusca, altrettanto affascinante e misteriosa, che sembra guardare in modo enigmatico viandanti e viaggiatori di ogni tempo che cercano di riuscire a dare una risposta ai molti quesiti irrisolti che sono celatati sia riguardo alla sua forma allungata, sia riguardo alla sua identità, sia riguardo al suo genere artistico, L’Ombra della sera.
Lo stesso titolo dai decadenti toni poetici, che secondo la tradizione orale, da alcuni rigettata, rimanda alla penna di Gabriele D’Annunzio che soggiornò per alcuni periodi a Volterra, ambientando anche il suo romanzo del 1910 dal titolo Forse che sì forse che no, proprio nel Museo Guarnacci, dove l’opera è conservata, conferisce a questo bronzetto, dalla patina verde scuro, alto poco meno di sessanta centimetri, altrettanto fascino.
L’opera fu acquistata tra il 1744 e il 1761, per il nascente Museo, dallo studioso di antichità Anton Francesco Gori, consulente artistico dell’abate Mario Guarnacci e responsabile nelle scelte del colto collezionista. Sin dai tempi dell’acquisizione si è iniziato a porsi domande riguardo all’identità dell’effigiato, che probabilmente è un fanciullo, come si può desumere dai tratti infantili del viso, modellato come ex-voto, dunque appartenente al genere religioso. Un lare domestico dalle dimensioni non reali o forse un lemure, spirito dei morti, come scriveva Gori, una divinità giovanile , forse Tagete, dando spiegazione alla nudità che caratterizza nel mondo antico la figurazione degli dei, o come è riportato negli ultimi contributi non si è ancora in grado di sostenere in modo definitivo nessuna ipotesi, permettendo al ragazzino bronzeo volterrano di celare ancora parte di sé. L’abile e anonimo modellatore nascose nella sua realizzazione codici che rimandano al mondo romano: misurando in altezza due piedi romani, l’opera si avvicina a buon merito alle caratteristiche monumentali descritte da Plinio il Vecchio che obbligava al modulo di tre piedi, mentre comunemente i bronzetti decorativi avevano una misura nettamente inferiore. Ma ciò che ha colpito e colpisce l’osservatore è la grande attualità dell’opera, come sottolinea una mostra organizzata su due poli espositivi: la Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia e lo stesso Museo Guarnacci di Volterra, nella quale sono state presentate in stretto confronto L’Ombra della sera e Una Femme debout (1956) di Alberto Giacometti, maestro del Novecento scultoreo, debitore verso lo sconosciuto autore etrusco nella scelta delle sue figure filiformi. Un colloquio silenzioso tra due indiscussi modellatori plastici, un colloquio altrettanto silenzioso che L’Ombra della sera avvia con ognuno per la grande realtà nella resa fisiognomica del fanciullo in ogni sua singolo tratto, dal viso, incorniciato con capelli scomposti dal vento, dalle singole parti anatomiche del corpo indagate nel dettaglio con solchi precisi, dal lieve e quasi impercettibile sbilanciamento verso sinistra suggerendo il movimento.


Una composta realtà in cui è soffusa l’irrealtà nell’allungamento esasperato della figura. Le impalpabili ombre hanno solo una parvenza di realtà quando il sole è  poco discosto dallo Zenit; alla sera, invece, si allungano deformando l’immagine, proprio alla sera, quando a poco a poco la luce del giorno scema per lasciare spazio alle tenebre, momento prolungato in cui il reale si confonde con l’irreale, lasciando spazio al vagare libero dei sogni, senza i quali non sarebbe possibile affrontare il domani.
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