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Luisa Turuani. Costellazioni tra le vecchie gomme americane. Una trappola per il cielo. Primo assoluto Nocivelli 2018



https://www.premionocivelli.it/opera/trappola-il-cielo
Iniziamo con una breve scheda anagrafica, come se leggessimo una carta d’identità. Sotto il profilo della produzione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?
Sono Luisa Turuani, nata a Milano l’11 giugno 1992. Ho studiato all’Accademia di Belle Arti Brera presso la Scuola di Scultura. Ora lavoro a Milano e continuo autonomamente la mia ricerca artistica. Posso considerare il mio orientamento stilistico in bilico tra un approccio materico/processuale e uno concettuale. Mi ha infatti sempre interessato il tentativo di tenere insieme un fare emotivo e fisico con uno invece più lucido e razionale. La mia produzione indaga il concetto di limite in quanto spazio abitabile; le domande sulle quali verte il mio lavoro sono: quale è l’estensione di un pensiero e di un oggetto? Quando un’operazione avente un certo scopo, si capovolge nel suo contrario? Quale è il punto oltre il quale una cosa crollerebbe? Queste domande mi hanno portata a concepire la materia non come qualcosa di inerte ma come un soggetto animato e che quindi agisce, o meglio retroagisce, su di me. Con questo non voglio portare la mia riflessione nell’ambito dell’animismo; penso solo che l’animazione della materia inerte racchiuda implicitamente un interrogativo riguardo il senso ultimo del nostro esistere, così precario e temporaneo.

Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
Tra le figure che hanno più inciso il mio pensiero ricordo Joseph Beuys, Marcel Duchamp, Gianni Colombo, Franco Vaccari, Louise Bourgeois, Alberto Giacometti, Giovanni Anselmo, Paolo Veronese, Piero della Francesca, David Hockney, Philip Guston, Anne Imhof, Aby Warburg, W. J. T. Mitchell, Gilles Clement, Pavel Florenskij, Simone Weil, Rainer Maria Rilke, Wislawa Szymborska, Andrej Tarkovskij, Pina Baush.
Anche se in modi e tempi diversi questi autori hanno segnato il mio percorso artistico perché, osservandoli, mi sono sentita obbliga ad abbandonare il giudizio estetico; in altre parole, queste figure non mi hanno fatto apprezzare un’opera o un film o un testo, ma mi hanno portata a chiedere perché amo o odio una particolare cosa. Spesso la stima verso uno degli autori che ho citato è nata da una forma di repulsione che ho poi scoperto essere la loro capacità di convertire il mio sguardo a ciò che non notavo o che consideravo con troppa superficialità. Stimo questi autori perché mi hanno fatto apprezzare il buio: mi hanno insegnato a domandare il senso di ciò che faccio e di ciò che non faccio lasciando al tempo e all’esperienza la risposta.
Può analizzare nei temi e nei contenuti l’opera da lei realizzata e presentata al Premio Nocivelli, illustrando le modalità operative che hanno portato alla realizzazione?
L’opera presentata al Premio Nocivelli si intitola Trappola per il cielo e consiste in una serie di disegni sparsi per la città di Milano. Collegando le gomme da masticare con un segno fine, le gomme si trasformano in stelle e il disegno in una costellazione urbana. Il progetto è nato dal desiderio di convertire la banalità del quotidiano, in questo caso le gomme da masticare presenti ovunque sull’asfalto della città, in qualcosa di eccezionale. Mi interessa il fatto che durante una passeggiata, guardando per terra sovrappensiero, si possa essere colti di sorpresa da un’immagine che non solo ci si aspetta in cielo e non in terra, ma soprattutto sui libri o in contesti scientifici; ovunque fuorché sotto i propri piedi. Trovo affascinante la possibilità che il sacro, lo straordinario, possa nascondersi nelle cose più ovvie che circondano la nostra vita.
Un altro aspetto che mi ha affascinata nella realizzazione dell’opera è il fatto che i disegni sono la risultante di tracce preesistenti, ovvero delle gomme che persone diverse in tempi diversi hanno lasciato durante il loro passaggio. Questo fatto ha portato a considerare il progetto non solo mio, ma della città in senso lato. Le persone più variegate per età e professione, dal bambino alla nonna, dal manager alla professoressa, dal commesso al prete, si sono sentiti coinvolti nell’operazione.
L’ultimo aspetto, ma non il meno importante, tratta l’uso della fotografia. Il medium fotografico non va considerato in forma solamente documentaria, ma soprattutto sostanziale al senso dell’opera. I disegni, essendo tracciati direttamente sull’asfalto, hanno un carattere precario e provvisorio, ed è per questo che la fotografia fissa ciò che altrimenti andrebbe perduto. La fotografia non ferma solamente un’immagine, ma opera quello straniamento spaziale e dimensionale per cui l’asfalto sembra un cielo notturno e le gomme da masticare delle stelle più o meno lontane. La fotografia seleziona e astrae il disegno dal caos del tessuto urbano, facendo così emergere una perturbante apparizione.

Sent by Barbara Bongetta

 
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