Nelle pietre silenziose delle antiche catacombe romane, tra graffiti e iscrizioni appena incise, emerge un segno semplice ma straordinariamente potente: il pesce. Questo umile animale acquatico, o ichthys (ἰχθύς) in greco, non era scelto per la sua eleganza né per la sua importanza economica, bensì per il suo valore simbolico e pratico. Nei primi secoli della storia cristiana, quando confessare la propria fede poteva significare la condanna a morte, l’ichthys divenne un codice segreto, un segnale di appartenenza e di speranza. Lo ha voluto ricordare, tra lingua greca e tradizioni romane, il collega Nick Kampouris, con un saggio su Greek reporter

Camminando per le strade affollate dell’antica Roma, i cristiani non potevano dichiarare apertamente la propria fede senza rischiare la persecuzione. L’ichthys, spesso tracciato rapidamente nella polvere o inciso sulla pietra, permetteva ai credenti di riconoscersi tra loro. Un arco tracciato per terra poteva sembrare un semplice scarabocchio a chi non conosceva il segreto, ma se un passante lo completava con un altro arco, si formava la figura di un pesce: la conferma di un alleato spirituale. Era un gesto silenzioso e al tempo stesso profondamente rivelatore.
Il simbolo era anche un gioco di lettere. La parola ichthys non indicava solo un pesce: era l’acronimo della frase greca Ἰησοῦς Χριστός, Θεοῦ Υἱός, Σωτήρ (Iesous Christos, Theou Yios, Soter), che significa “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. Ogni lettera rappresentava una pietra angolare della fede cristiana: Ι (Iota) per Iesous, Χ (Chi) per Christos, Θ (Theta) per Theou, Υ (Upsilon) per Yios e Σ (Sigma) per Soter. Era un codice di vita, una dichiarazione di appartenenza e una misura di protezione in tempi di repressione.
La scelta del pesce non era casuale. La Scrittura stessa lo rendeva simbolo di abbondanza, di nutrimento e di missione. Gesù chiamava i suoi discepoli “pescatori di uomini” (Matteo 4:19), e il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Matteo 14:13-21) rafforzava il legame tra fede e provvidenza divina. I primi Padri della Chiesa, come Tertulliano, collegavano inoltre il pesce al battesimo, immaginando i cristiani come “pesciolini” immersi nelle acque del sacramento: un’immagine poetica e potente, capace di unire esperienza spirituale e simbologia quotidiana.
Non sorprende che l’ichthys fosse perfettamente integrato nella cultura greco-romana. Motivi decorativi a forma di pesce erano comuni nelle case, nei mosaici e negli oggetti d’uso quotidiano, permettendo ai cristiani di mimetizzare il proprio segno tra elementi familiari senza destare sospetti. Dalle catacombe di San Sebastiano e Domitilla a Roma fino alle rovine di Efeso, archeologi moderni hanno documentato centinaia di rappresentazioni di pesci, talvolta accompagnate dall’acronimo ΙΧΘΥΣ o persino raffigurate come ruote a otto raggi, simbolo di eternità e perfezione.
Oggi, il pesce cristiano ha varcato i confini segreti delle catacombe e dei graffiti per diventare un simbolo visibile e riconoscibile in tutto il mondo: suguri sulle auto, ciondoli, tatuaggi e gioielli, quasi a ricordarci che ciò che un tempo era un mezzo di salvezza e discrezione oggi celebra liberamente la propria fede. È un legame tangibile tra passato e presente, tra paura e coraggio, tra segreto e rivelazione.
In fondo, il pesce è più di un animale: è un messaggero silenzioso, un simbolo che parla di protezione divina, di speranza e di appartenenza. E come ogni grande simbolo, continua a vivere, ad attraversare secoli e culture, senza perdere la sua capacità di parlare al cuore dei credenti.








