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Madonna del pollice di Giovanni Bellini – Il messaggio nascosto. Scopriamolo


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Giovanni Bellini, Madonna del pollice, tempera e tecnica mista, tavola di abete, 79x63cm, Venezia, Gallerie dell'Accademi
Giovanni Bellini, Madonna del pollice, tempera e tecnica mista, tavola di abete, 79x63cm, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Giovanni Bellini (Venezia, 1433 circa – 1516) , con mirabile sintesi affettiva e semantica, riesce a trovare il punto di raccordo tra l’amore filiale-materno e l’illustrazione del mistero della Trinità. Il dipinto conosciuto come Madonna del pollice, una tavola conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, si presenta cpme una delle opere di tutti i tempi, in cui meglio è prospettata l’intensità del legame fisico e psicologico tra la Madonna e Gesù Bambino. Una dolcezza naturale pervade l’opera che, comunque, veicola, al contempo un messaggio teologico. Il Bimbo, con la propria mano sinistra impugna, come spesso accade – specie da parte dei neonati -il dito della madre. A Bellini non sfugge queste osservazione, colta con acutezza dalla quotidianità. Un segno di legame potentissimo. Ma al tempo stesso, trasforma questa intensa stretta in un messaggio legato alla natura divina del Bambino e alla sua collocazione naturale e soprannaturale.
Giovanni Bellini, Madonna del pollice, (particolare), tempera e tecnica mista, tavola di abete, 79x63cm, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Giovanni Bellini, Madonna del pollice, (particolare), tempera e tecnica mista, tavola di abete, 79x63cm, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Gesù, infatti, benedice, utilizzando le tre dita della mano destra. Le dita, come argomenta Maurizio Bernardelli Curuz, rappresentano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’azione dell’altra mano, che stringe il pollice della Madonna, riporta il tre all’uno, all’unità. Ciò avviene nel perfetto linguaggio dei gesti. L’estensione dei pollice indice e medio indica, nel linguaggio del gesti il numero tre, mentre l’innalzamento del solo pollice indica il numero uno. (maurizio bernardelli curuz) Se letta da sinistra a destra, questa azione rivela che il piccolo Gesù riporta la Trinità all’Unità. Se letta dalla parte umana della Madonna l’Uno – Gesù – viene riportato all’essenza trinitaria. Ma l’insieme è pervaso da amore; un amore dolce e senza limiti. Risulta straordinaria la capacità naturalistica di Bellini di evidenziare un messaggio così alto e complesso attraverso un’azione che si connota principalmente per una domestica effusione di affetti. Sotto il profilo stilistico, il quadro venne realizzato negli anni della giovinezza di Bellini, quand’era ancora particolarmente intenso il confronto con le figure statuarie di Mantegna – al quale era legato da consonanza, amicizia e parentela, poichè l’artista padovano aveva sposato la sorella di Bellini -. A differenza di Mantegna, il Giambellino va comunque in direzione di un naturalismo sempre più intenso, come dimostra questa opera. Essa fu realizzata su una tavola di conifera – pino o abete -, un supporto piuttosto raro nella pittura veneta, i cui artisti prediligevano legni più duri, compatti, meno inclini alla deformazione o al pericoloso, imprevedibile rilascio, con il tempo, delle resine. Il legno di abete era comunque diffusissimo a Venezia per interventi edilizi e facilmente reperibile perchè la palificazione della città avveniva con queste essenze arboree. Bellini stese sulla tavola un’imprimitura con gesso e colla, con il fine di rendere liscia la superficie del legno e di ottenere la massima regolarità del materiale sul quale poter lavorare.
L’artista concluse questa preparazione con una mano di colla animale, non solo – o non tanto – per migliorare il fissaggio dell’imprimitura, ma per per poter ridurre al minimo l’assorbenza del colore che egli avrebbe steso. Il maestro realizzò poi il disegno preparatorio sull’imprimitura della tavola utilizzando un pennello fine. Due sarebbero stati gli strati di pittura stesi da Bellini.
Il fondale nero fu ottenuto con il nero-fumo, il bistro, che veniva ricavato dalla polvere sottile e unta dei camini. Nella zona delle ombre dei panneggi sono presenti stesure di lacche. La tavola, prima del trasferimento del 1812 alle Gallerie dell’Accademia, era stata conservata nell’ufficio del Magistrato del Monte Nuovissimo, nel palazzo dei Camerlenghi. In quell’ufficio, il piccolo, ma intenso dipinto, si trovava appeso accanto accanto a due opere di ben maggiori dimensioni: l’Allegoria del Monte Nuovissimo (1559) e Venezia incorona la Virtù (1551), entrambe del pittore Vitrulio Buonconsiglio.”L’opera ha molto sofferto – ha scritto la restauratrice Gloria Tranquilli – e la pellicola pittorica risulta assai danneggiata e abrasa, tanto che si è deciso di non procedere con ulteriori operazioni, limitando l’intervento a un atto di manutenzione ordinaria”

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