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Martina Hoogland Ivanow, estranei a sé e al mondo. Poesia e malinconia. Gli scatti dell'autrice


Il tormento di non aderire. Di scomparire sul fondale di un divano, d’essere invisibili agli altri. D’essere parti di un tutto sommamente insensibile. Come un fumo, una sostanza diafana, come un’ombra priva di un soggetto che la proietti. Di rilievo, le fotografie di Martina Hoogland Ivanow, fotografa-artista svedese, che lavora sul concetto di estraneità esistenziale, lungo una linea di malinconia e dolore che percorre l’arte scandinava e che caratterizza anche i giovani fotografi di quell’area geografica, che penseremmo felice, poichè là “tutto funziona”. E se la tecnica si fosse sostituita al piano metafisico?
Martina Hoogland Ivanow, nata a Stoccolma nel 1973, si è trasferita, a diciotto anni, dalla Svezia a Parigi e, successivamente, a New York. Dagli anni ’90 vive a Londra dove, in un primo tempo, si è concentrata sulla fotografia commerciale per passare poi, attorno al 2005 a dedicarsi, quasi esclusivamente, alla ricerca artistica e alle mostre. Nel 2010 ha ricevuto una sovvenzione IASPIS e una residenza di un anno presso la Kunstlerhaus Bethanien di Berlino e un premio fotografico Scanpix per il suo progetto “Satellite”.