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Oddio, il primo Cézanne


di Federico Bernardelli Curuz

Un errore, un’attribuzione errata? No, siamo proprio al cospetto di un dipinto di Cézanne, la grande colonna che sbreccia il muro dell’Ottocento in direzione del secolo nuovo, colui il quale – a partire dall’influenza strettissima esercitata sul Cubismo – si rivelerà come padre nobile della pittura novecentesca.
Ma qui dove sono i colori accesi e i reticoli di materia leggiadra, immersi nella luce intensa del Midi? Quella pittura è ancora in nuce, appartiene ancora al futuro. Agli esordi, il pittore di Aix-en-Provence, riproduceva materia – materia che, in altre forme e colori avrebbe caratterizzato pure la produzione successiva – con tonalità scure e tratti molto marcati, che realizzava con l’utilizzo di grossi pennelli dalla punta tonda. Una tecnica che costringeva Paul ad operare un’inevitabile semplificazione dei soggetti, in direzione comunque di quello che sarebbe stato un passaggio fondamentale in direzione del moderno; la pittura intesa come sintesi, come superamento del puro aspetto descrittivo.


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Il dipinto La merenda sull’erba esprime nella sua completezza la difficoltà dei primi passi di Paul Cézanne (1839-1906), compiuti all’ombra lunga di Manet, dal quale è influenzato sia sotto il profilo cromatico – attraverso la predominanza dei neri e delle terre – che in ambito compositivo. Ispirato dal celebre Le déjeuner sur l’herbe (1862-1863), il trentenne Paul immortala in questo suo dipinto un gruppo di persone immerse in un ambiente bucolico.
Come nella celebrata, sconvolgente opera dell’artista parigino – nel quale compaiono, in primo piano, due uomini distinti che discorrono in tutta tranquillità con una maliziosa fanciulla senza veli, mentre sullo sfondo un’altra donna è immersa nell’acqua fino al ginocchio – così ne La merenda sull’erba (1869) i soggetti vengono disposti su diversi piani nel tentativo di rendere la messinscena più dinamica. Al centro, una tovaglia bianca stesa sull’erba accoglie due arance; una terza compare tra le mani di una donna longilinea dai capelli biondi che cattura l’attenzione dell’osservatore.
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La donna è il nucleo nodale del quadro, poiché è posta in contrasto con la cupa sagoma di un rilievo montuoso alle sue spalle. L’uomo che le sta di fronte – e che alza un dito – probabilmente intento a discorrere con gli altri soggetti – somiglia all’autore del dipinto stesso, vittima di una precoce calvizie. Siamo allora davanti a un autoritratto. Due figure sulla sinistra sembrano scomparire nel fondale cupo: gli unici dettagli distinguibili sono l’ombrellino e il candido vestito della dama. Un cane, che emerge alla realtà attraverso una primitiva giustapposizione di masse vagamente geometriche, osserva incuriosito la scena con la stessa placidità della figura maschile, intenta a fumare la pipa.
L’opera, seppur acerba – e, se vogliamo, anche un po’ rozza per questo procedere per blocchi di pittura che tanto somigliano ad argilla mal modellata, greve di infiltrazioni nere -, colpisce per lo sguardo indirizzato dal pittore nei confronti della materia e per quel suo modo di procedere per moduli. L’occhio degli esordi, per quanto ancora molto primitivo, si pone in linea con il percorso successivo dell’artista. L’interloquire tra le forme, la percezione della realtà come insieme di unità reticolari diventerà un aspetto peculiare per la pittura del Cézanne maturo.
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Interessante, infatti, è la figura della donna bionda che sembra seguire l’inclinazione del tronco d’albero sulla destra del dipinto, oppure l’orlo della tovaglia che tenta di fondersi con i giochi di luce della gonna della giovane; e ancora le vaporose nuvole che sembrano dare continuità al profilo dei monti sullo sfondo, creando una linea immaginaria che racchiude l’opera stessa. Di lì a qualche anno giungerà il contatto fondamentale con Pissarro. Ma è dalla sovrapposizione dei modelli dell’origine alla pittura impressionista, che egli creerà quel mondo nuovo, frammentato dalla moderna geometria della luce.
 
 
NEL FILMATO LE OPERE DELLA MATURITA’ DI CEZANNE