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Oggi proibita, un tempo un linguaggio. La sigaretta come simbolo nel cinema. Il video


Certo, fa malissimo. Ma per il cinema, oltre ad essere stata una risorsa di sponsorizzazione attraverso la pubblicità occulta, ha rappresentato anche un mezzo non trascurabile, sotto il profilo del lessico e dell’interpunzione. Come minimo la sigaretta equivaleva a tre punti di sospensione, quando l’attore o l’attrice, sulla scena, fingevano di meditare, di sprofondare in un quesito, di interrogarsi, di sognare. E’ pertanto un automatismo legare la sigaretta all’idea di un meccanismo esterno che consentirebbe una maggior concentrazione e favorirebbe l’introspezione. Ma sotto il profilo rappresentativo il movimento – elegante o rude che fosse – della mano che stringeva la sigaretta o la portava alle labbra, ci forniva anche un’infinità di informazioni psicologiche. C’era la fumata sprezzante del “duro”, quella della prostituta”, quella del parvenu, del bandito, della brava mamma, per procedere, quasi all’infinito, all’interno di teste di carattere. Oltre alla comunicazione del carattere, le scene di fumo consentivano di sottolineare o di mettere in luce – sempre nel rapporto tra il movimento delle mani, delle labbra e degli occhi – il sentimento che attraversava il protagonista, in quell’attimo. Altro fattore fondamentale: la sigaretta creava movimento nella scena fissa di un primo piano insistito che avrebbe raffrenato il flusso del film se si fosse basato solo sullo sguardo dell’attore.