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Paolo Paci, fotografo – L'inconscio collettivo di New York viaggia in metropolitana




Nato a Roma, Paolo Paci ha studiato arte, viaggiato, lavorando come fotoreporter in Venezuela per circa dieci anni, collaborando con giornali, riviste e architetti. Il suo obiettivo è uno strumento per indagare il mondo circostante e riprodurlo nelle sue dimensioni universali, un’artista che attinge la propria ricchezza espressiva da eterogenee esperienze umane e artistiche che ne delineano il percorso originale e in continua evoluzione. L’artista ha colto, in New York, la città oscura, parallela, vitalistica, infera della metropolitana.

 “

Non fermate la vostra attenzione sul volto di questo contadino, né sull’abito di questo avvocato: guardateli tutti, uno alla volta, per poi metterli insieme e avere così l’insieme della società cui apparteniamo”

August Sander (1876-1964)

 
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di  Stefano Maria Baratti
Nel tessuto urbano dell’isola di Manhattan, in cui viene adottato un rigido orientamento cartesiano a griglia,  la metropolitana  si prefigura come un contenitore sotterraneo di immagini vivide e dissacranti, che danno quasi adito ad un  rapporto di antagonismo – ma anche di inevitabile collaborazione – tra le due parti della città postmoderna  (l’ambiente “di sopra” e quella “di sotto”), in un quadro che non è mai fisso,  e che coinvolge elementi in continuo mutamento.
 
FOTO PACI 3
 

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In questi “bassifondi”, un fiume umano viene inghiottito dalle porte automatiche dei treni, si stringe e si accalca tra percorsi e cunicoli , tunnel, scale mobili, corridoi dalle pareti tappezzate di mappe, indicazioni e pubblicità.  Questa reversibilità tra due ambienti urbani , non meno di questa polivalenza, conferisce al viaggio in metropolitana un campo universale d’applicazione, un labirinto della mente alla ricerca di un’ identità del sottosuolo.
 
 
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A partire dagli anni 70,  la “New York Subway” – una delle più antiche ed estese reti di trasporto pubblico al mondo – ha svolto due funzioni:  quella di sistema di trasporto urbano di massa e quella di laboratorio artistico. In questo palcoscenico ideale accessibile a chiunque,  luogo e veicolo di tematiche diversissime e antropologia del quotidiano, si esibiscono graffitisti, musicisti di strada e giocolieri, e si esprimono mode bizzarre, personaggi eccentrici, coniugando tecnologia e performance  all’interno di in un sistema di segni ed effetti decontestualizzanti.
 
 
 
 
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In quest’ottica, la metropolitana diventa così una zona di contatto e di appartenenza in cui condividere linguaggi comuni, tra i quali quello fotografico come mezzo espressivo in grado di far risuonare emozioni inconsciamente temute, una molteplicità di choc che rivelano la nostra essenza autentica e vivificatrice dell’esistenza.
 
 
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Il repertorio di scatti  di Paolo Paci – fotografo italo-americano  attualmente residente a New York e specializzato nella street photography  –  viene raggruppato sotto il titolo Subway Portraits. Le immagini propongono uno sguardo vivo, a volte caldo, malinconico, umoristico ma anche commovente, a testimonianza di un universo underground come sintesi ed espressione istantanea  sia del disagio e contrasto dell’individuo nei confronti della frenetica metropoli, sia di un’esplosione di creatività . Siamo, tout court, di fronte a uno spazio ancora umanistico, dove il comportamento del singolo viene letto in relazione alla sua sopravvivenza quotidiana.

 
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Malgrado la sensibilità  artistica dello street photographer  sia caratterizzata da un forte realismo,  non rientra tuttavia nella logica casuale del quotidiano, ma  è apparentata a degli aspetti chiave, quali l’inquadratura e il tempismo di un momento decisivo, parametri essenziali per documentare le oscillazioni dell’identità di un soggetto. Il volto umano (il significante) diventa documentario sociale (il significato) la cui ricerca rappresenta il fulcro dell’idea che continua a guidare Paolo Paci dietro il suo obiettivo.
 
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L’ambiente della “New York Subway”, come nel dramma teatrale I bassifondi  di Maksim Gor’kij,  funge da territorio dell’immaginario collettivo,  acquistandone doppia condizione esistenziale ed estetica . C’è dunque, in questo tessuto connettivo che mette in comunicazione Manhattan con la sua vita sotterranea, un salto dimensionale dove convergono pulsioni anticonformiste tra la metropoli  “di sotto”, luogo simbolico di ribellione e  di depauperamento estetico,  (spesso proposta dal circuito mediatico che amplifica a dismisura i segnali di pericolo), con  la New York “di sopra”, il complesso espositivo dello status quo e del conformismo.
 
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Nondimeno la metropolitana è l’essenza della città stessa, o meglio ancora, di un contenitore dinamico in cui esibirsi liberamente e rappresentato per sineddoche dalla sua metropoli, come sua ragione monumentale.
 
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Avventurandosi nell’inconscio cittadino, l’obiettivo fotoreporter di Paolo Paci (come un tempo quello di Eugene Atget o Robert Capa), ricerca nei suoi soggetti il “fattore umano”,  attraverso una vitalità caratterizzata ora dalla ricerca di uno stile di vita alternativo ed esasperato, ora da un’identità individuale.
 
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L’obiettivo passa in rassegna le  caratteristiche tipiche di intere categorie sociali (ma anche atteggiamenti e tensioni antisociali oppure di stampo conformista) dove vige un massimo comun denominatore:  la crisi ideologica dello spirito consumistico e materialistico della società postmoderna, che spesso trova il suo significato in un grande collage di contrasti che solo la città metropolitana può offrire.
 
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Tematicamente, i soggetti e i dettagli inquadrati dall’artista in questo mondo sotterraneo con l’immediatezza caratteristica della street photography, provengono da un mondo parallelo e da un sistema di segni dominante e collettivo (la città “di sopra”), quasi simbolicamente in continua opposizione alla rete sotterranea e alle sue tendenze anticonformiste individuali.  Sono immagini che ritraggono nei volti un senso di prossimità umana, di vicinanza silenziosa, una serie di momenti registrati dalla spontaneità del fotografo, osservatore distaccato ma partecipe, che improvvisa e coglie quell’attimo irrepetibile  – coniato come “momento decisivo” da Henri Cartier-Bresson, il  capostipite della street photography.
 
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Paci interpreta la realtà mutevole che si crea davanti ai suoi occhi, alla stregua di un genere immediato, reale – la foto di strada – che ci ricorda Robert Doisneau,  Alfred Eisenstaedt, Brassaï e Garry Winogrand, uno stile che nella storia della rappresentazione fotografica, esiste da quando le macchine diventano  portatili – fino all’avvento del digitale – permettendo esposizioni brevi,  per registrare una vasta gamma di emozioni, relazioni ed eventi quotidiani.
 
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Gli esseri umani e i loro atteggiamenti, spesso conflittuali, sono protagonisti in base alla propria spontaneità, e non fotografati in uno studio o in posa. Non si tratta di immagini che “spiano” la vita di una singola persona, ma sono invece veri e propri affreschi che descrivono la pluralità dei tempi in cui viviamo, una  Lebenswelt  che tramite l’autoevidenza del reportage manifesta  il fondamento antropologico nella relazione dell’uomo con il mondo.
 
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Nel 1857 John Ruskin lancia l’ideale di un “occhio innocente” e gli artisti contemporanei, volendo liberarsi dalle restrizioni di certe convenzioni, cercano mezzi idoeni ad un’espressione più autentica quanto primitiva, in un  processo interdisciplinare che anticipa un sistema d’indagine che sarà rivendicato più tardi come conquista dalla cultura moderna.  Come il “silenzioso” fotografo ceco Miroslav Tichy, sfidando la censura, era costretto ad avvicinarsi ai suoi soggetti quasi guadagnandosi connotazioni negative di “guardone”, Paci si affida all’immediatezza e all’improvvisazione , usando lunghezze focali corte o grandangolari (spesso ricorrendo alla fotografia digitale del suo I-phone) , immergendosi nella scena per dipingere la propria poeticità e  per dare al soggetto la giusta rilevanza all’interno dell’inquadratura.
 
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Ogni sua foto fissa un momento che non si ripeterà mai identico, uno scatto irrepetibile che documenta, nell’espressione del soggetto in primo piano, oppure in un solo particolare,  una proiezione conoscitiva della figura umana, spesso circoscritta in una topografia demografico-antropologica del mondo sotterraneo.
 
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