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Perchè De Chirico dipingeva cavalli. E perché Marini, Messina e Sassu


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Una mostra sollecita sempre diverse necessità critiche; stimola e tocca il sentimento e l’intelligenza dei suoi visitatori. E permane nel tempo, come idea, punto fisso, invito all’approfondimento. E questo è il caso di un appuntamento espositivo che Villa Filippini, a Besana in Brianza, che si era posta – con esiti di grande interesse – come un momento di “indagine settoriale” di un tema, quello del cavallo, che ha accomunato quattro grandi artisti del XX secolo: Giorgio de Chirico, Marino Marini, Francesco Messina e Aligi Sassu. Nella varietà di accenti che hanno contraddistinto il secolo appena passato, caratterizzato anche da quella regressione alle forme arcaiche che l’espressione dell’arte ha saputo cogliere, i “nostri quattro”, in tutta evidenza, si pongono ai vertici di una testimonianza poetica, in un atteggiamento umano ed etico capace di avvalorare, sinesteticamente, l’originalità della loro ricerca.

Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico, un artista che ha sempre difeso i diritti dell’immaginazione. “Lo stile non si cerca – affermava il maestro -; lo stile viene da sé. Quello che si deve cercare è di fare sempre meglio”. (…) In questa mostra possiamo contemplare la bellezza dei suoi “destrieri”. I Cavalli di De Chirico sono vibranti di vita; mossi dalla materia pittorica e dalla fantasia onirica, paiono animati da una vita inesauribile. Se per il grande artista di origine greca, l’aquila è l’animale più libero e l’asino il più intelligente, il cavallo è senza dubbio quello maggiormente “pittorico”. (…)La presenza dei cavalli, agili e potenti, viene addolcita da un’espressione mite e indifesa, perché, come lui stesso afferma: “Voglio bene agli animali perché li considero esseri indifesi, non protetti. Per questo li amo. Ogni vittima, ogni essere sopraffatto dalla prepotenza altrui gode di tutto il mio amore”. Così disegno, pittura e scultura diventano una dichiarazione di amore per la vita del più fragile; una vita più esposta alla crudeltà umana; una difesa fatta con gli strumenti eterni dell’arte. (…)


Marino Marini
l messaggio universale di Marino Marini è “capace di esprimere dei sentimenti così profondi da superare confini geografici, storici e sociali” (Marina Marini). Nella scultura e nella pittura quattro ambiti tematici furono per lui di significato decisivo: il Ritratto, la Pomona (nudi di donna), il Cavaliere e il Cavallo, i Giocolieri (danzatori, acrobati). I cavalli e i cavalieri hanno dato a Marini fama internazionale. (…) Per Marino Marini, il Cavallo – che trasmette forza e coraggio al Cavaliere – è quella “figura” che egli ha imparato ad amare dopo un viaggio in Germania, nel 1934. Fu lì che l’artista rimase impressionato da una magnifica statua equestre, collocata nella cattedrale di Bamberga. (…) E’ ancora lo scultore che afferma, nel 1972: “Le mie statue equestri esprimono il tormento causato dagli avvenimenti di questo secolo. L’inquietudine del mio cavallo aumenta a ogni nuova opera, il cavaliere è sempre più stremato, ha perduto il dominio sulla bestia e le catastrofi alle quali soccombe somigliano a quelle che distrussero Sodoma e Pompei. Io aspiro a rendere visibile l’ultimo stadio della dissoluzione di un mito, del mito dell’individualismo eroico e vittorioso, dell’uomo di virtù degli umanisti. La mia opera degli ultimi anni non vuole essere eroica, ma tragica”. (…)
Francesco Messina
Francesco Messina – artista che racchiude in sé una millenaria tradizione mediterranea – è indubbiamente un altro grande “animalista” della storia dell’arte del XX secolo. La rappresentazione del cavallo non era per lui “una divagazione, un riposo o un divertimento. Essa era, al contrario, la percezione acuta e commossa di un universo vivente (come quello degli animali tutti) che ci è contiguo, fraterno e al tempo stesso essenziale. Perché gli animali vivono la nostra vita, abitano il nostro mondo sotto lo stesso cielo, come noi gioiscono e soffrono. Sono amici e sono complici. A volte ci parlano, come parlavano ai tempi di Esopo e di Fedro” (A. Paolucci). In un’intervista del 1991 dichiarava: “Sono per forza un realista, perché sono un tradizionalista, ma non certo avverso al migliore astrattismo, quello veramente poetico, metafisico”. Nelle sue sculture (…) la cristallizzazione di un movimento si fonde con l’intensità psicologica del personaggio rappresentato, sia esso figura umana o animale. I suoi celebri Cavalli sono tutti “scattanti” nel movimento e nel gioco dinamico delle posture. Sono tutti cavalli senza cavaliere, dotati di una bellezza esuberante ed erotica. (…)


Aligi Sassu
Nelle opere di Sassu ritroviamo cavalli restituiti mediante la pittura, con la ceramica e con il bronzo. Cavalli che paiono emergere dalle viscere della terra o scaturire dal mare, in mitologiche trasposizioni. Cavalli restituiti pittoricamente in un caldo colore “rosso”, che li lega all’elemento “fuoco”, a significare “distruzione” o, all’opposto, “rigenerazione”. Ma ritroviamo anche cavalli dipinti di un candido “bianco”, che si collega al simbolo fertile dell’elemento “acqua” e alla nascita di Venere. Forse in omaggio alle antiche esperienze sciamaniche. Da Mallorca nel 1973, egli scrive: “Sì, continuo a dipingere e a disegnare ancora cavalli, non frivoli perché vengono dai recessi dell’anima, ogni volta che un’idea mi viene alla mente (così mi pare scrisse un certo Raffaello da Urbino) o arde una subitanea immagine di pura materia pittorica”. Il cavallo è dunque come una fonte costante d’ispirazione che Aligi Sassu affronta con le “armi” dell’arte. Così una pura materia pittorica, e plastica, dà vita ai suoi Cavalli – pensiamo al ciclo degli “uomini rossi” e al tema del Mediterraneo -. Sono puledri selvaggi che hanno la criniera sconvolta dal vento, che si scagliano davanti a paesaggi “infuocati” o nello spazio infinito, con ardore e temerarietà. (…)