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Perino del Vaga, un protagonista del ‘500 tra Michelangelo e Raffaello



Nel cinquecentenario della nascita di Pietro Buonaccorsi, detto Perino del Vaga, il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te a Mantova dedica a questo maestro del nostro Rinascimento la mostra «Perino del Vaga: tra Raffaello e Michelangelo», aperta dal 18 marzo al 10 giugno. Il percorso espositivo, allestito nelle Fruttiere, è diviso in sei sezioni e presenta 187 opere, tra cui si annoverano dipinti, disegni, affreschi staccati, arazzi, cristalli incisi ed argenti. Questa di Mantova è la più importante mostra mai dedicata finora a Perino; è curata da Elena Parma, docente di Storia del disegno e dell’incisione all’Università di Genova, insieme a un comitato scientifico composto da Giuliana Algeri, Sovrintendente per i Beni artistici e storici di Mantova, da Alessandro Cecchi, Direttore del Dipartimento di pittura dal Medioevo al primo Rinascimento degli Uffizi, da Catherine Goguel, Direttore di ricerca Cnrs del Louvre e da Konrad Oberhuber dell’Università di Tokyo. Ad Elena Parma abbiamo rivolto alcune domande sull’evento.

Quella da lei curata si configura come la più significativa rassegna dedicata a Perino del Vaga: quali le precedenti?
Fino ad oggi di Perino del Vaga sono stati esposti soltanto disegni in una mostra al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, nel 1966. Si trattava allora della prima riproposta moderna di opere di un maestro che fu molto conosciuto nella sua epoca – tanto che Vasari gli riserva la biografia più lunga dopo quella di Michelangelo -, ma che venne a lungo trascurato dagli esperti, probabilmente per il cattivo stato di conservazione di molte delle sue opere e per la dispersione di tante altre. Oggi comunque la critica ha ormai compreso di trovarsi in presenza di un artista autonomo, di un protagonista della pittura del primo Cinquecento. Inoltre, negli ultimi anni sono più visibili al pubblico sue importanti opere. A Genova, ad esempio, Palazzo Doria, ancora di proprietà dei principi, è stato aperto al pubblico nel 1994 dopo un accurato restauro; Perino lavorò intensamente alla sua decorazione, essendo artista di corte del principe Andrea Doria.


Nel titolo dell’esposizione il nome del pittore viene affiancato a quello dei più illustri artisti del Rinascimento, Raffaello e Michelangelo. Quali gli apporti di questi grandi all’arte del Buonaccorsi?
L’artista si forma alla scuola fiorentina di disegno, d’ispirazione michelangiolesca, e successivamente lavora con Raffaello alle Logge Vaticane acquistando ben presto una cifra espressiva personale, caratterizzata da raffinatezza e freddezza, molto elaborata. Il confronto con Raffaello influì sulla composizione del quadro, classica e con ritmo fluido, sulla tavolozza smagliante di buon colorista, sul suo ideale di bellezza. Da Raffaello prese anche la capacità di organizzare una scuola, che gli venne utile quando, alla prematura morte del Sanzio, gli allievi dovettero completare gli incarichi lasciati in sospeso dal maestro e poi nel 1527, quando venne chiamato a Genova da Andrea Doria con l’incarico di decorare, in tre anni, il palazzo di famiglia. Ciò gli fu possibile grazie alle direttive date ai suoi allievi, che eseguirono parte della commissione mentre lui si riservò di fornire i disegni e di realizzare il resto dell’opera. Egli insomma comprese subito la portata della rivoluzione di Raffaello, consistente nel superamento del vecchio concetto di bottega in favore del nuovo ideale di scuola di pittura e di cantiere di lavoro, che sarebbe stato inammissibile da Michelangelo, noto per il suo lavoro solitario. Perino utilizzò ampiamente gli allievi anche nell’ultima parte della sua vita quando, ritornato a Roma, divenne tra i più ricercati artista della città ed ebbe importanti commesse dalla famiglia Farnese – dal cardinale Alessandro e poi da papa Paolo III -, tra cui ricordiamo la Sala Paolina ed altre stanze di Castel Sant’Angelo nonché la famosa “Spalliera”, pensata per il “Giudizio Universale” della Sistina, che venne approvata da Michelangelo ma, giudicata non conforme al gusto più severo del periodo tridentino, fu scartata ed entrò a far parte degli arredi di Palazzo Spada, dove oggi si ammira. Perino del Vaga viene ritenuto uno degli iniziatori della nuova Maniera fiorentina, cioè di quel nuovo stile formatosi attorno al 1520, definito dal Vasari “la bella Maniera moderna”, caratterizzato da fluidità ed eleganza, da figure con impianto anatomico classico, dai volti espressivi dei moti dell’animo.


Qual è la strutturazione del percorso espositivo a Palazzo Te?
La mostra è divisa in sei sezioni: la prima è dedicata ai maestri contemporanei a Perin del Vaga e contiene disegni di Raffaello, Michelangelo e Polidoro; la seconda, intitolata “Fiorentino per sempre”, è una selezione di lavori che tiene conto della sua formazione. La terza sezione è dedicata alle opere sacre – polittici, pale, Madonne – mentre la quarta, intitolata “Erotica”, contiene le incisioni dedicate agli amori degli dei, molto copiata anche su maioliche. La quinta parte dell’esposizione riguarda palazzo Doria e i dieci anni di incarico come artista di corte presso quella famiglia. Qui troviamo decorazioni, affreschi, apparati effimeri, cartoni per arazzi – amatissimi dal Principe genovese -, oggetti preziosi e la serie “Amori di Giove”, andata perduta ma testimoniata da un unico, prezioso cartone, raffigurante gli amori di Giove e Danae, concesso dal Louvre al termine di un restauro durato due anni. La sesta sezione riguarda le importanti commissioni degli ultimi dieci anni a Roma. Sono esposte a Mantova 187 opere del pittore: la maggior parte sono schizzi, cartoni, disegni preparatori e finiti, spesso acquerellati con grande finezza e con l’uso, molto raro, del colore, a riprova della superiorità riconosciuta alla grafica nell’epoca di Perino. Tra di essi spicca il disegno preparatorio del celebre cartone – oggi perduto – dei “Diecimila martiri”, giunto da Vienna. Troviamo poi quattro tavole su legno, arazzi di palazzo Doria provenienti da Vienna, Palermo e Genova; si notano infine alcuni oggetti preziosi, con incisioni su cristallo o argento copiate da opere del pittore.




L’oggettistica di pregio era considerata allora prestigiosa quanto la pittura?
Il ruolo di artista di corte era molto vasto, e implicava il doversi impegnare in tutto ciò che qualificava una famiglia; in quest’ottica si comprende come Perino potesse disegnare polene per le galee dei Doria o ricavare schizzi per ricami. I disegni realizzati per l’oggettistica preziosa, per esempio per il cofanetto Farnese, presentano la medesima cura dei disegni per la Sala Paolina. Ricavare riproduzioni dei suoi disegni su oggetti o vasellame era inoltre un modo per far conoscere la sua arte anche in luoghi lontani da quelli in cui operava: esemplare in proposito è il “Piatto dei giganti”, prestito viennese alla mostra, che “miniaturizza” un suo affresco.


Un’ultima curiosità: il pittore lavorò anche a Mantova?
Mai. Sia lui che Giulio Romano erano allievi di Raffaello, con personalità autonome e ben definite, ma non ci fu simpatia tra di loro. Lavorarono in contemporanea, portando a termine commissioni del loro maestro; Giulio a Mantova in Palazzo Te, Perino a Genova in Palazzo Farnese. Federico II Gonzaga e Andrea Doria si conoscevano, erano entrambi sostenitori di Carlo V, ebbero due allievi di Raffaello come artisti di corte. Un confronto tra i due palazzi non è mai stato fatto, ma indubbiamente sarebbe stimolante.