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Picasso e la Morte beffeggiata, l’ultimo fervido periodo del grande maestro




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Riproponiamo, dai nostri archivi, questa illuminante intervista a  Guy Tosatto che ci porta tra i dipinti dell’ultimo periodo di Picasso, dominato da figure energiche ed allegre

di Laura Varoli

“Stile” ha intervistato Guy Tosatto, direttore del Musée des Beaux-Arts di Nantes e curatore della mostra “Picasso 1961-1972”, ospitata nelle sale di Palazzo Zabarella a Padova fino al 12 gennaio 2003.

La pittura dell’ultimo Picasso conserva una straordinaria forza espressiva ed una stupefacente modernità. Il maestro indica nuove strade, evidenti nelle opere raccolte in occasione della mostra di Padova: in esse il connubio tra arte e vita è espresso nel superamento di regole e canoni estetici. Quali sono gli elementi peculiari e distintivi di questa pittura?

La mostra di Padova, offrendo la possibilità di ammirare un numero elevato di quadri creati da Picasso nell’ultimo decennio di vita – quando l’artista è ormai ultraottantenne -, dà spazio, prima di tutto, alla libertà e spontaneità della pittura del grande maestro. In questi estremi lavori egli esprime la volontà di sintetizzare tutti i suoi precedenti stili e di immaginare un altro modo di dipingere, più “espressionista” rispetto al passato. Picasso riprende l’arte di Van Gogh (si veda, in mostra, l’“Uomo con cappello di paglia”), per lui il maggiore artista dell’Ottocento, l’unico ad avere dato la vita per la pittura. In un certo senso, pure Picasso aveva dedicato la vita intera all’arte; ma ora, come Vincent, anch’egli desidera dipingere fino a perdere la ragione, fino a dimenticare la morte. Nell’urgenza degli ultimi anni di vita egli si re-inventa, creando una “nuova maniera”, attraverso la quale affronta in modo inusuale, energico, brutale e ellittico, i temi ricorrenti della sua produzione: protagonista delle sue opere è ora solo la pittura che esprime vita e arte insieme, per un’estrema battaglia contro il tempo e contro la morte. L’inquietudine del gesto pittorico è metafora dell’inquietudine per la vecchiaia, esorcizzata attraverso un inno alla vita e alla libertà: “La libertà di dipingere – dice Picasso – è la libertà di liberare qualcosa di se stessi. E’ necessario fare in fretta, poiché ciò non dura”.
I quadri degli ultimi anni rivelano alcuni temi ricorrenti: le donne, gli autoritratti, i moschettieri e i gentiluomini dell’epoca di Luigi XIV, i toreri. A proposito di donne: qual è in questo periodo, il rapporto tra pittore e modella?
La donna degli estremi dipinti è sempre la moglie Jacqueline: tutte le donne sembrano essere lei, con il suo bel profilo classico, sempre più stilizzato ma comunque riconoscibilissimo. Insomma: Jacqueline ha mille volti, mille silhouette poiché è, allo stesso tempo, tutte le donne che Picasso ha incontrato, conosciuto e amato nella sua vita. Il rapporto che si instaura tra il maestro e la donna ritratta sulla tela diventa una commistione tra amore e aggressività, un legame amoroso-angosciato perché il pittore, con la vecchiaia, sente incombente il problema dell’impotenza sessuale. Le opere di questi anni ritraggono la modella nei modi più svariati: una volta è Jacqueline dagli occhi sgranati e spaventati; un’altra volta è Jacqueline dallo sguardo benevolo, un’altra ancora è un nudo erotico e policromo. Insomma, la donna di Picasso diventa amica e nemica insieme, amata e odiata al tempo stesso ed emblema d’eccezione di questa intima contraddizione del pittore.

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E perché riprende temi che rinviano a Velázquez, El Greco, Rembrandt, ma anche ai film di cappa e spada? Hanno forse a che fare, in qualche misura, con la moda psichedelica legata al movimento hippy e quindi con la vita moderna o indicano, invece, un ritorno al passato per far sorgere figure di altri tempi sulla scena dell’arte contemporanea?
Di sicuro è tutte due le cose insieme. Picasso lavora, negli anni ’50, sull’arte antica. E’ in questo periodo, infatti, che si intensifica l’attività incisoria, poi ampiamente sviluppata negli anni ’66-’68. I moschettieri e i gentiluomini d’altri tempi fanno la loro prima comparsa nei quadri del 1967. Questi personaggi di fantasia riescono a mixare passato e presente: attraverso i soggetti barbuti, dalle abbondanti capigliature ricciolute, Picasso riscopre i costumi ricercati e gli abbigliamenti carichi di ornamenti dei nobiluomini spagnoli di El Greco e di Velázquez, del mondo di Rembrandt ma, contemporaneamente, anche la moda degli hippies, diffusissima nel sud della Francia. L’antico rivive nel presente, e Picasso si diverte a giocare con questi “eroi da teatro” che costituiscono uno sberleffo alla società modernista della fine degli anni Sessanta.
Nel miscuglio di stili degli ultimissimi anni, emerge in modo ossessivo un elemento: gli occhi. Forse gli occhi di Picasso stesso che ci restituisce, attraverso i personaggi dei suoi quadri, quello sguardo posato sul mondo e sulla sua pittura…
Parlare di occhi, nel caso di Picasso, significa affrontare un tema molto complesso. Lo sguardo è infatti la parte più viva nel volto, nel corpo: essendo la pittura l’arte visiva per eccellenza, ad essa è affidato il compito di comunicare l’inquietudine e la malinconia degli occhi dei protagonisti di questi ultimissimi dipinti. Che sono poi gli occhi dello stesso Picasso, il quale “guarda in faccia la morte” senza più paura, poiché ha troppo amato la vita per temere ciò che egli sa essere il suo naturale rovescio.