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Pittura e Psicologia. Cosa significano le malinconiche finestre di Hopper




E.HOPPER, Domenica mattina, 1930, olio su tela, 89.4 x 153 cm, New York, Whitney Museum of American Art
E.HOPPER, Domenica mattina, 1930, olio su tela, 89.4 x 153 cm, New York, Whitney Museum of American Art

James Hillman (1926-2011), un tempo allievo di Jung,  è stato il pensatore Junghiano senza alcun dubbio più carismatico dei nostri anni. Il celebre analista – in una conferenza dedicata a Edward Hopper, che si tenne a Roma dal titolo “Finestre. Gli occhi dell’immaginazione architettonica”- ha sottolineato puntualmente quanto il pittore americano sapesse che la finestra è l’anima dell’edificio. Sempre secondo l’opinione di Hillman, sia in pittura che nel cinema, questo elemento architettonico ha svolto e svolge tuttora un ruolo decisivo per il nostro immaginario. E proprio Hopper è stato un “genio della finestra”, colta sia dall’interno che dall’esterno.

E. HOPPER, Stanza a Brooklyn, 1932, olio su tela, 85 x 72,5 cm, Boston, Museum of Fine Arts
E. HOPPER, Stanza a Brooklyn, 1932, olio su tela, 85 x 72,5 cm, Boston, Museum of Fine Arts

Prima di lui, nell’affrontare il tema, “geni” erano stati Rembrandt, Vermeer e molti altri. Tornando ad Hopper, è d’obbligo riconoscere che egli sia stato, con i suoi ambienti silenziosi e le scene distaccate, un interprete profondo delle relazioni umane. Al tempo stesso, le architetture rivestono un ruolo primario all’interno delle sue composizioni, e per questo motivo il pittore ha giocato con elementi lontani dalla mera realtà: finestre sproporzionate rispetto alla mute figure umane e una luce il più delle volte “tremenda”. Hopper interpreta la vasta solitudine dell’anima contemporanea rispetto al nulla. L’attesa di qualcosa o di qualcuno che non verrà. Un vuoto degli sconfitti.