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Pont-Aven, la Bretagna mitica per Gauguin. Com'è oggi, com'era. Cosa vi dipinse e perchè. Il video


Nel luglio del 1886, alla ricerca di un luogo privo degli effetti contaminanti del progresso, Gauguin raggiunge Pont-Aven, un piccolo e suggestivo borgo di 1500 abitanti nel nord della Francia. Pont-Aven – che oggi conta circa 3mila residenti – si trova dipartimento del Finistère nella regione della Bretagna. Dopo il 1870 il villaggio era divenuto punto di riferimento di numerosi artisti, specialmente statunitensi, attirati dalle favorevoli condizioni di vita della zona: ottimi paesaggi, mari, fiumi e colline, una popolazione accogliente e legata all’antico, una cucina ottima, prezzi modestissimi. Il luogo ideale in cui dipingere, tranquilli, incontrando colleghi, la sera. Era il paese dei pittori. Uno di loro, Armand Jobbé-Duval, aveva fondato la corrente del sintetismo. Nuova forza alla Scuola di Pont-Aven venne dal soggiorno di Émile Bernard, Paul Sérusier e Paul Gauguin (1886). Gauguin alloggerà nella modesta pensione di Marie Jeanne Gloanec, famosa per l’ottimo cibo e i prezzi modici, e qui incontrerà Charles Lavai e Emile Bernard, i pittori con i quali avrebbe condiviso una ricerca finalizzata a una semplificazione dell’arte, in direzione dell’individuazione degli archetipi.
La Bretagna si rivela il luogo adatto:è una terra ricca di suggestioni, di tradizioni popolari, di antichissime leggende, non nuova, peraltro, alle incursioni dei pittori che trovano qui “il primitivo”, il selvaggio: quegli aspetti cancellati progressivamente dalla civiltà industriale. Il modo di vestire, le pratiche religiose, i riti, la lingua degli “ultimi celti” esercitano un fascino fortissimo su questi artisti che, ogni giorno, lasciano i loro alloggi, mettendosi in cammino lungo il fiume, fino al “Bosco dell’amore” o sulla collina per giungere alla cappella, dalla quale Gauguin, osservando un Crocefisso, trarrà spunto per il suo “Cristo giallo”. Così l’artista descrisse quei luoghi: “Amo la Bretagna. Vi trovo il selvaggio, il primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo suolo di granito, sento il tono sordo, opaco, potente che cerco nella pittura”.
Linee chiuse, colori accesi e piatti: ed è leggenda
A Pont-Aven si delinea una tappa fondamentale per l’arte del XX secolo. Semplificando al massimo l’uso degli elementi chiaroscurali e ricorrendo il più possibile alle tinte piatte, Bernard e Gauguin mitizzano la vita quotidiana della popolazione bretone in quadri ieratici come icone bizantine, che risentono, nel contempo, degli influssi giapponesizzanti di moda all’epoca. Bernard introdurrà nell’elaborazione dei dipinti un forte, delineante contorno delle figure, sviluppando il cosiddetto “cloisonnisme”, una linea scura che contorna i margini delle figure, come avveniva nei vetri delle cattedrali gotiche.
Queste tecniche, combinate al rafforzamento antinaturalistico dei colori, contribuiranno a rendere tanto i suoi quadri che quelli di Gauguin una rappresentazione simbolica e arcana del rapporto dell’uomo con la natura e con la religione. L’elemento spirituale e la dilatazione metafisica del tempo appaiono con forte evidenza poiché le opere assumono i colori della leggenda. La teoria del colore in Gauguin era infatti basata su un estremizzante intervento che partiva dalla massima sottolineatura dei colori primari e dal rafforzamento dei secondari, in direzione di cromie assolute. “Come vedete quest’albero? – chiese l’artista al collega Sérusier – Non è forse verde? Mettete dunque del verde, il più bel verde della vostra tavolozza; e quest’ombra non è blu? Non abbiate dunque paura di dipingerla più blu che potete”.