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Da dio pagano a figura socialmente emarginata nella tradizione medievale, quando per la Chiesa era una personificazione del demonio, fino ai santi eremiti di Lorenzo Lotto. Questa è la parabola che, nel corso dell’evoluzione storico-artistica, ha mutato i connotati simbolici dell’uomo selvatico.
L’essere, che trova la propria origine nel nume latino Silvano, entità dapprima assimilata a Pan, ma poi, come conseguenza di un processo di emancipazione del ruolo, diventata autonoma, acquista su di sé alcune caratteristiche strettamente legate alla tradizione più arcaica.
Per certi aspetti ricorda la figura di Marsia, il cantore vinto e scuoiato da Apollo, (qui sotto, il quadro di Tiziano Vecellio) a dimostrazione di una lettura traslata dell’evoluzione nell’ambito delle arti e della cultura.
L’aspetto animalesco dell’uomo selvatico che si riscontra nei quadri medievali e rinascimentali è retaggio della sfera mitologica, ma si nutre, al contempo, della presenza, in zone isolate di montagna, di genti che vivono in uno stato che sfiora l’animalità.
Eccone, in un bestiario dell’VIII secolo, la descrizione: “… pilosum toto corpore quoddam genus hominum didicimus, qui in naturali nuditate, setis tantum more ferino contencti”, un uomo selvaggio che vive allo stato ferino ricoperto solo dal proprio pelo. A documentazioni di questo genere può essersi ispirato Albrecht Dürer (1499)per i due battenti che in origine dovevano chiudersi a libro sul Ritratto di Oswolt Krel, ricco rappresentante di una nota impresa commerciale a Norimberga. Le tavole (qui sotto) mostrano due uomini selvatici che reggono con una mano le insegne araldiche di Krel e della moglie, Agathe, e con l’altra un nodoso e massiccio bastone. La scelta iconografica è sicuramente curiosa, ma una spiegazione può essere avanzata confrontando i dati biografici dell’effigiato con le caratteristiche comunemente attribuite all’essere primitivo raffigurato sui pannelli.
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