Press "Enter" to skip to content

Quel Pilato sembra Bosch


di Giovanni Ranieri Tenti

1_15Nientemeno che Hieronymus Bosch è stato scomodato per la paternità dell’affresco “Cristo davanti a Pilato”, dell’abbazia di Chiaravalle Milanese; in effetti, tanto la fisionomia dei personaggi quanto le gotiche iscrizioni, un tempo probabilmente dorate e punzonate, sottintendono una mano “nordica”. L’opera, sita nella cappella dedicata a San Bernardo, e in origine datata intorno ai primi del Cinquecento, in concomitanza col noto soggiorno del maestro fiammingo in Italia, in realtà risalirebbe al XV secolo. Le analogie con la pittura di Bosch sono senz’altro intriganti, vedi la tendenza all’horror vacui, retaggio di bizantiniana memoria, o le fattezze caricate espressivamente di alcuni personaggi, privi però di accenti realmente grotteschi. Le figure risultano allampanate, gli incarnati lividi, ma la composizione ad arazzo coi piani salienti dal basso verso l’alto, di matrice eyckiana, tipica delle opere giovanili del pittore, stride con questo impianto architettonico dalla prospettiva autonoma dalla lezione fiamminga, di cui pure è cosciente. Paragoniamo il dipinto al “Trittico delle delizie” (Madrid, Prado) del 1503-4: soffermandoci sulla figura di Cristo nel particolare del “Paradiso terrestre”, ci rendiamo conto che l’affresco di Chiaravalle manca di quel gusto per il realismo coltivato da van Eyck, che invece è pregnante nella pittura di Bosch. Appaiono poi altri elementi discrepanti: in primis la tecnica – l’affresco appartiene più alla nostra che alla sua tradizione -, tecnica alla quale però potrebbe essersi adeguato (si è appurato infatti che non si tratta del tipico buon fresco italiano, ma piuttosto di un “acquerello a fresco”). Altra divergenza lampante è la peculiarità dell’aureola iscritta, estranea o comunque poco congeniale alla sua produzione. E “stona” la mancanza delle classiche creature mostruose all’interno della scena, certo imputabile, peraltro, alla differente committenza locale, poco avvezza, al contrario della spagnola, ad un gusto così personale nell’interpretazione dei temi sacri. Insomma la “teoria Bosch” sembrerebbe basata più su analogie che su elementi concreti. Lasciata questa pista ne è stata intrapresa un’altra, che porta sempre nel Milanese, a Brugherio. Qui sorge infatti la chiesa di Sant’Ambrogio, in cui era collocata – oggi è nelle mani di ignoti privati – la pala “Cristo che mostra la ferita del costato tra Sant’Ambrogio e Sant’Agostino”, secondo lo storico dell’arte Federico Cavalieri riconducibile allo stesso autore dell’affresco (menzionato col generico appellativo di “Maestro tedesco di Chiaravalle”). Quasi speculari, nelle due versioni del Cristo, la morfologia, le barbe lanose, la capigliatura morbida e, nonostante la diversa procedura tecnica, le pennellate fitte e veloci. Lo stesso Sant’Ambrogio è molto simile – solo espressivamente meno carico – al volto soprastante il Cristo di Chiaravalle. I dettagli architettonici e le sculture dipinte all’interno delle elaborate nicchie sono pressoché identici; l’assoluta padronanza del disegno dimostrata nell’affresco si riflette nei virtuosismi gotici eseguiti a mano libera nell’intreccio della finta cornice in trompe-l’oeil sulla tavola di Brugherio. Un’altra ipotesi, secondo la quale l’affresco risalirebbe alla seconda metà del 1400, rimanda a Giusto di Ravensburg, autore dell’“Annunciazione” conservata a Genova in Santa Maria del Castello. La tesi si basa su similitudini sorprendenti di tale opera con la pala di Brugherio, come la rappresentazione di Dio Padre, i nervosi seppur molli panneggi “crestati” di luce, ben poco fiamminghi in definitiva, e la cornice che astrae lo spazio pittorico da quello reale. Le mani dei personaggi hanno identici leziosi atteggiamenti, come identico è il gusto per i dettagli architettonici, capitelli, fogliami e sculture. Elemento che aumenta di credibilità la teoria è la presenza sia a Genova che a Chiaravalle di un eguale, insolito particolare decorativo a merli sopra oculi tondi. Ultima ipotesi, quella di Frederic Elsig, che attribuirebbe al misconosciuto maestro Hans Witz le due opere milanesi. Le opinioni, seppur differenti, convergono tendenzialmente verso un punto comune per quanto riguarda l’estrazione geografica a cui apparterrebbe ed in cui avrebbe agito l’artista, ovvero quella renano-alpina. Maestro fiammingo o, più probabilmente, tedesco? La cosa certa è che il suo… scarso interesse per la pittura italiana contemporanea ci ha regalato questi “esotici” exploit.